DIALOGO DEL PASSEGGERE CON DOSTOEVSKIJ

Passeggere: Illustrissimo Signore, non Le nascondo che ho come l’impressione di vivere un sogno, di trovarmi coinvolto in un qualcosa più grande di me: essere davanti al “maestro” che, con le sue opere mi è compagno di strada da ormai tanti anni. Non mi sembra affatto vero di avere davanti il grande Fedor Michajlovic Dostoevskij. Ma, debbo dire che l’espressione del suo volto mi incute timore, perché si nota un’espressione troppo severa nel suo volto? 

Dostoevskij: Mio caro amico, non bisogna far finta di non vedere come tutte le qualità del popolo sono state derise e disonorate. Si dirà che soprattutto il regno tenebroso è stato deriso. Ma è proprio questo il punto, che assieme al regno tenebroso è stato deriso anche tutto ciò che era luminoso. Appunto ciò che dà luce viene osteggiato: la fede, la dolcezza, la sottomissione alla volontà divina. I nostri democratici amano un popolo ideale, verso il quale sono tanto più pronti a compiere il loro dovere, quanto più si sa che esso non è mai esistito né mai esisterà. A me sembra fuor di dubbio che, se lasciaste a tutti questi alti maestri contemporanei la piena possibilità di distruggere la vecchia società e ricostruirla a nuovo, ne verrebbe fuori una tale tenebra, un tale caos, qualcosa di talmente volgare, cieco e inumano, che tutto l’edificio crollerebbe sotto le maledizioni dell’umanità prima di essere compiuto.

Passeggere: Devo confessare che spesso non sono riuscito a seguirla quando ha scritto della “Bellezza”. Proprio mentre lei brama la Bellezza come sete di assoluto, di infinito, di eterno, allo stesso tempo contrappone l’istinto carnale, passionale, tutto terreno della Bellezza. Lei descrive tutto questo come “insopportabile” per l’uomo che non conosce la misericordia di Dio, per l’uomo che ribellandosi a Dio, confida soltanto nelle sue forze. Da una parte descrive mirabilmente la rivolta dell’uomo contro Dio, dall’altro non censura la ricerca appassionata di Dio. Fra questi due poli lei inserisce lo scorrere dell’esistenza umana che cerca la Bellezza.

Dostoevskij: La bellezza è una cosa terribile e paurosa. Paurosa, perché è indefinibile, e definirla non si può, perché Dio non ci ha dato che enigmi. Qui le due rive si uniscono, qui tutte le contraddizioni coesistono. Quanti misteri! Troppi enigmi sulla terra opprimono l’uomo. La bellezza! Io non posso sopportare che un uomo, magari di cuore nobilissimo e di mente elevata, cominci con l’ideale della Madonna e finisca con l’ideale di Sodoma. Ancora più terribile è quando uno ha già nel suo cuore l’ideale di Sodoma e tuttavia non rinnega nemmeno l’ideale della Madonna, anzi, il suo cuore brucia per questo ideale, e brucia davvero, sinceramente, come negli anni innocenti della giovinezza. No, l’animo umano è immenso, fin troppo, io lo rimpicciolirei. Chi lo sa con precisione cos’è? Lo sa il diavolo, ecco! Quello che alla mente sembra un’infamia, per il cuore, invece, è tutta bellezza. Ma c’è forse bellezza nell’ideale di Sodoma? Ma, mi creda, proprio nell’ideale di Sodoma si trova l’enorme maggioranza degli uomini! Lo conosceva questo segreto, o no? La cosa paurosa è che la bellezza non solo è terribile, ma è anche un mistero. E’ qui che Satana lotta con Dio, e il loro campo di battaglia è il cuore degli uomini.

Passeggere: Nelle sue opere ho notato come la figura di Cristo ha sempre dominato la sua mente, soprattutto dopo la condanna alla pena capitale tramutata all’ultimo momento a lunghi anni di lavori forzati in Siberia. Una figura che prende una forma concreta nel protagonista del romanzo “L’Idiota”: un romanzo straordinario e interessante, anche se si ha l’impressione che non sempre i critici hanno compreso il valore del libro e quello che lei ha voluto mettere in risalto.

Dostoevskij: Caro Signore, se ha letto le mie opere sa che ho scritto in maniera chiara che se da una parte ci fosse la verità e dall’altra ci fosse Cristo, io sceglierei Cristo. Non sa quali terribili sofferenze mi è costata, e mi costa tuttora, questa sete di credere, che tanto più fortemente si fa sentire nella mia anima quanto più forti mi appaiono gli argomenti ad essa contrari! Ciò nonostante Iddio mi ha mandato talora degl’istanti in cui mi sono sentito perfettamente sereno; in quegl’istanti io ho scoperto di amare e di essere amato dagli altri, e appunto in quegl’istanti io ho concepito un simbolo della fede, un Credo, in cui tutto per me è chiaro e santo. Questo Credo è molto semplice, e suona così: credete che non c’è nulla di più bello, di più profondo, più simpatico, più ragionevole, più virile e più perfetto di Cristo; anzi non soltanto non c’è, ma addirittura, con geloso amore, mi dico che non ci può essere. Non solo, ma arrivo a dire che se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità. Eppure quei porci dei censori, nei punti in cui mi faccio beffe di tutto e talvolta bestemmio facendolo apposta, hanno lasciato correre, ma laddove da tutto ciò faccio derivare la necessità della fede e di Cristo, quel punto l’hanno vietato.

Passeggere: Illustrissimo maestro, Lei ha sempre creduto alla vita senza stare maliziosamente a sofisticare, spesso senza stare troppo a ragionare, a fare calcoli. Il suo scrivere è stato sempre un “inno alla vita”, un grido a non preoccuparci troppo, perché sarà la vita stessa che, in qualsiasi occasione, ci porterà in salvo. Buona parte delle sue opere si collocano a questo livello, quasi come una sua risposta a ciò che nella sua vita ha cercato e vissuto come una missione?

Dostoevskij: Credo che tutti dovrebbero amare la vita prima di ogni altra cosa al mondo… Amare la vita più del senso della vita? Proprio così: amarla prima della logica,  assolutamente prima di ogni logica, e solo allora se ne afferrerà il senso E dopo averne afferrato il senso si può ben dire che Shakespeare e Raffaello stanno più in alto della liberazione dei contadini, più in alto dello spirito popolare, più in alto del socialismo, più in alto della giovane generazione, più in alto della chimica, quasi più in alto dell’umanità intera, giacché sono già un frutto, il vero frutto dell’umanità intera e, forse, il frutto più alto che mai possa essere!

Passeggere: Spesso mi sono chiesto come mai i suoi personaggi sono caratterizzati da stati mentali estremi, alcuni sull’orlo del suicidio. L’assenza di Dio, l’uomo e il nulla, il mondo come male oscuro e incomprensibile sono tra i tanti enigmi sui quali si è tormentato per tutta la sua esistenza. Illustre maestro, lei ha sempre mostrato un comportamento orgoglioso, spesso parlando solo con il suo silenzio: ha parlato tacendo e, sicuramente, ha vissuto con sé stesso, tacendo, tutte le sue tragedie. In questa sua condizione di vita è emersa la sua felicità o la sua infelicità?

Dostoevskij: Io sono un maestro nel parlare tacendo, ho parlato tacendo per tutta la mia vita e ho vissuto delle vere tragedie dentro me stesso tacendo alla ricerca di un intero attimo di beatitudine, avendo come armi per sconfiggere il tempo solo la memoria e la fantasia. Quelli che sognano li riconosci, hanno negli occhi un velo di tristezza. Hanno la malinconia addormentata agli angoli della bocca, hanno l’aria di chi cerca ma non trova. Sognare è faticoso, sognare non è da tutti. E’ per le persone coraggiose, sognare. E, alla ricerca di quest’attimo di beatitudine, se ho mai provato la felicità, non è stato nei primi momenti inebrianti del mio successo, ma quando ancora non avevo letto né mostrato ad alcuno il mio manoscritto: in quelle lunghe notti piene di entusiastiche speranze, di sogni e di appassionato amore al lavoro; quando vivevo con la mia fantasia, con i personaggi da me creati come fossero parenti, come se esistessero realmente; li amavo, mi rallegravo e mi rattristavo con loro, talvolta piangevo anche lacrime sincere sui miei protagonisti.

Passeggere: Caro Maestro, il grido che esplode dalle sue opere è un invito ad amare il Creato nel suo insieme: in ogni granello di sabbia, in ogni fogliolina, in ogni raggio di sole… in ogni cosa. Ha scritto che mai gli uomini riusciranno, con l’aiuto della scienza e del profitto, a godere senza ingiustizie le loro proprietà e i loro diritti. Sono passati anni e anni, e gli uomini continuano a mormorare, a invidiarsi e sterminarsi a vicenda. Ci sono tutte le condizioni per pensare che le sue parole sono cadute nel vuoto?

Dostoevskij: Negli ultimi secoli, infatti, gli uomini si sono tutti divisi in tante singole unità, ognuno si ficca nel proprio buco da solo, si allontana dagli altri, si nasconde e nasconde quello che ha, e così va a finire che respinge lontano da sé gli altri uomini e viene a sua volta respinto, sempre per colpa sua. Accumula ricchezze in solitudine e pensa: ‘Come sono forte ora, come sono al sicuro!’ E non sa, questo sciocco, che quanto più accumula, tanto più affonda in una impotenza che è autodistruttiva. Perché si è abituato a sperare solo in sé stesso, e si è staccato dal tutto isolandosi, ha abituato la sua anima a non credere nella solidarietà umana, negli uomini e nell’umanità, e trema soltanto all’idea di perdere il suo denaro e i diritti acquisiti con esso.

Passeggere: La sua arte è stata grande quando ha scritto della incommensurabilità tra la realtà e la teoria, e tra la vita e la filosofia, facendo primeggiare la realtà e la vita perché il pensiero razionale non può racchiudere, in modo esaustivo, la vita ed il suo senso. Caro Maestro, questo è un grande problema per chi cerca di etichettarlo come letterato, filosofo, nichilista, uomo di fede… e altro ancora! I suoi libri sono, ancora ai nostri giorni una sfida continua, e tutte le etichette che le sono state attribuite hanno mostrato la loro insufficienza. A conclusione di questo nostro dialogo, Lei che ha ancora da dire?

Dostoevskij: Io, caro signore, mi sento molto ignorante, ma ho pensato molto a queste cose, e sono arrivato alla conclusione che la sofferenza, il dolore, sono l’inevitabile dovere di una coscienza generosa e d’un cuore profondo. Gli uomini veramente grandi, credo, debbono provare su questa terra una grande tristezza e chi mente a se stesso e presta ascolto alle proprie menzogne, arriva al punto di non distinguere più la verità, né in se stesso, né intorno a sé. Tenga a mente che il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si vive. E ora, nel congedarmi, devo confidarle che non ci sarà mai dato di esaurire un fenomeno nella sua interezza, di raggiungerne l’inizio e la fine. Conosciamo solo ciò che è presente, reale ed evidente, e per di più solo poco per volta, mentre la fine e l’inizio restano per l’uomo ancora qualcosa di fantastico. Le auguro una buona serata, caro signore.


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