FILOMENA SCARPATI RACCONTA VARAPODIO “TRA SACRO E PROFANO”

In un passo fondamentale del suo libro “Tra sacro e profano – Riflessioni di una giornalista”, Filomena Scarpati scrive: “La vera necessità di quel momento era rientrare a Varapodio per recarmi a pregare dinanzi alla Madonnina dell’edicola di via Rimembranze… Non riuscivo, intanto, ad allontanare da me il ricordo di una bellissima testimonianza resa da una donna proprio davanti a quell’edicola. Un’esperienza che avvolgeva di mistero gli eventi degli ultimi anni. Qualcosa di strano si ravvisava certamente in quella piccola, ma bella cittadina dell’entroterra pianigiano alle falde dell’Aspromonte…”.

In effetti, tutto il libro della Scarpati non è altro che un ripensare “il mistero degli eventi degli ultimi anni”, ripercorrere con la memoria le vicende della propria vita, un riscoprire luoghi, odori, sapori, abitudini, volti, nel tentativo di trovare un senso alla vita che scorre nei nostri paesi, e anche alla propria esistenza, nel bisogno di scrivere di tutto quello che per tanti anni si è portata dentro e che, adesso, si sveglia nella nostalgia dei luoghi dell’infanzia, quasi come un riscoprire le cose che ha già vissuto, cercando di trasmettere con l’inchiostro di alcuni capitoli di un libro, la necessità del suo scrivere, che non è altro se non il raccontare come, quello che cerca di trasmettere, con maggiore forza e significato, è un qualcosa che lei ha già visto e vissuto: “… tornando ai miei pensieri, non mi abbandonava l’idea della necessità di partire dagli stati d’animo e dalle esperienze personali, per dare al lettore la possibilità di capire bene da chi e da cosa hanno realmente origine queste pagine”. In pratica racconta quello che è già successo a Cesare Pavese ne “La luna e i falò”, dove la nostalgia, la memoria, la solitudine, le piccole nostre realtà personali e paesane, sono intrise di significative valenze simboliche e autobiografiche perché “un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.

Nel libro di Filomena Scarpati il lettore partecipa attivamente alla costruzione di quello che sta leggendo, riuscendo ad entrare dentro un ordine ed un disegno che lega rigorosamente tanti argomenti “apparentemente” diversi tra loro, perché le cose, nella vita così come nei romanzi, semplicemente accadono. Di fronte ad essi ci si può accontentare di una catalogazione o di una registrazione, oppure ci si può mettere a cercarne il segreto, l’origine, il senso più profondo che preme essere portato alla luce: “Forse erano solo coincidenze, ma la circostanza, mi spingeva a riflettere. Sembrava che ogni cosa fosse legata da un unico filo conduttore, che aumentava il mio interesse a scrivere. C’erano dei richiami a quei percorsi sacri, legati in un certo senso alla mia vita privata. Ritrovarmi in un paese, lontano dal mio, cinquecento chilometri, poteva avere un fine sconosciuto. Tutto quello che avveniva intorno a me, cominciava a farmi pensare che niente nella vita accade per caso e, se i miei pensieri non erano errati, chi avrebbe programmato il tutto? Esistono delle logiche che l’uomo non riesce a percepire”.

Già è vero, esistono delle logiche che l’uomo non riesce a percepire, così come il legame con il Santuario della Madonna delle Grazie di Tresilico o con la Madonnina dell’edicola che mi richiamano alla mente la Madonnina pitturata nella Nicchia, di un famoso racconto di Guareschi. Nessuno aveva il coraggio di buttarla giù, anche se era roba di nessun valore artistico: una Madonnina pitturata da un poveretto, ma da almeno due o trecento anni era lì, e tutti la conoscevano e tutti l’avevano salutato un milione di volte e tutti avevano infilato un fiore…

Davanti ai luoghi citati dalla Scarpati, così come davanti alla Madonnina di Guareschi, si sta come davanti all’angelo della torre che da secoli veglia su tanti paesi. Gli occhi della Madonnina hanno visto tutti i nostri morti. Davanti a queste immagini c’è la disperazione, la speranza, i dolori e le gioie di tutti i nostri antenati. In parole povere, passa, per le pagine del libro della Scarpati, anche il senso profondo dell’appartenenza ad una determinata comunità, Varapodio, con tutto ciò che non può scomparire né andare perduto.

Infatti se, come scriveva Chesterton “…non è di moda, al giorno d’oggi, dilungarsi a decantare i vantaggi della piccola comunità. Ci si dice che dobbiamo puntare alle grandi società, alle grandi idee. C’è tuttavia un vantaggio nel piccolo stato, nella città, nel villaggio, che solo chiudendo gli occhi non si può vedere. L’uomo che vive in una piccola comunità vive in un mondo assai più vasto”, Filomena Scarpati, con le sue “riflessioni di giornalista”, ha voluto andare controcorrente all’andazzo oggi in voga, e raccontare proprio dei “vantaggi” di vivere nelle nostre piccole comunità, forse ai margini dello sviluppo economico, ma ancora “centri” di cultura e umanità… merce sempre più rara e preziosa ai nostri giorni.

E proprio a partire da questo, la visione che viene fuori dal libro (impreziosito da una bellissima presentazione di don Domenico Caruso, Direttore dell’Istituto Teologico Pastorale di Gioia Tauro e parroco di Varapodio) è il prepotente desiderio di raccontare la storia di Varapodio, all’interno di uno sguardo buono che rispetti e dia testimonianza delle radici cristiane che abbiamo dietro le spalle, trattando con attenzione e amore ogni argomento che affronta e cercando di cogliere, in ogni pagina, come si manifesta il mistero di Dio in questa piccola porzione di vigna del Signore che è la comunità di Varapodio, di cui nel libro sono illustrate le tappe e scandite le ragioni di quanto l’autrice cerca di riportare alla luce con i suoi scritti

Per concludere queste mie brevi considerazioni, penso che bisogna ringraziare Filomena Scarpati, perché con questo suo libro riesce a far rivivere, con efficacia e pertinenza, degli argomenti che sono pietre di paragone e buoni stimoli per andare a fondo a ciò che costituisce la storia dei nostri paesi, nella constatazione elementare che bisogna sempre, e con maggiore fatica, difendere gli avvenimenti della nostra storia e tradizione religiosa dal “pensiero unico” di oggi, che vuole annullare ogni tradizione, anche la più evidente, che testimonia il senso cristiano della vita che ci è stato tramandato dalle generazioni che ci hanno preceduto.

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