FRANCESCO MELLEA: “UN UOMO. UNA STORIA”

Copertina del libro "Un uomo. Una storia" di Marcella Mellea e Michele Petullà

Copertina del libro “Un uomo. Una storia” di Marcella Mellea e Michele Petullà

Sabato 6 marzo 2010 nel salone della Scuola Elementare di Plaesano, è stato presentato il libro di Marcella Mellea e Michele Petullà Un uomo. Una Storia (Adhoc edizioni), per iniziativa dell’Associazione Culturale Donne “Giovanna D’agostino”.
All’incontro, presente un numeroso pubblico, con gli autori sono intervenuti il Sindaco, il prof. Nicola Rombolà ed il prof. Giuseppe Cinquegrana che ha curato la prefazione del libro.
Il libro è la storia di Francesco Mellea, arruolato negli Alpini appena diciottenne e mandato a combattere in Russia. Una delle pagine più terribili della nostra storia, perché finita la guerra sono stati più di 80.000 i militari italiani che risultarono dispersi: nessuno sa quanti soldati italiani, per quasi mezzo secolo indicati come “dispersi”, sono sepolti in Russia, dove sotto un cippo di pietra nera, in italiano e cirillico, è stato inciso: “Qui riposano caduti italiani”. Una memoria che brucia ancora e che si divide tra vecchie verità e vecchi misteri.
Migliaia di famiglie italiane per anni, invano, gridarono la loro disperazione davanti a tutte le Autorità. Ma non accadde mai nulla, silenzio assoluto. Anche sul modo come sono stati trattati i prigionieri, gli armadi sono rimasti sigillati e pieni di misteri.
Da questo punto di vista, grande importanza riveste la vicenda di Francesco Mellea, proprio perché come scrive Michele Petullà, nella prefazione del libro:

“Questa storia riporta alla luce della conoscenza, del ricordo e della memoria una tremenda vicenda umana che, purtroppo, è stata vissuta anche da molti figli della nostra terra e che non va dimenticata e consegnata all’oblìo…”.

Manifesto di Guareschi che ricorda i soldati italiani mandati in Russia

Manifesto di Guareschi che ricorda i soldati italiani mandati in Russia

Ricordo che, in uno dei suoi più bei racconti che ho letto, “Tre fili di frumento”, tratto dal libro “Il Compagno don Camillo”, Giovannino Guareschi immaginava il suo eroe, travestito da attivista comunista, alla ricerca dei resti mortali di uno dei nostri tanti caduti in terra sovietica. Uno dei comunisti italiani, il compagno Tavan, ricerca la salma del fratello minore disperso in Russia:

“Avevo un fratello di cinque anni minore, la guerra se l’è portato via. Mio padre si è rassegnato, ma mia madre no. Quando ha saputo che sarei venuto qui, non mi ha dato pace… mi ha costretto a giurarle che avrei fatto tutto il possibile per trovare la sua tomba e per mettere questo lumino davanti alla sua croce”.

Ma, Tavan non trova nessuna tomba e nessuna croce, riesce a trovare il tronco della quercia dove è sepolto il fratello, con una data “27.XII.1941” ed una sola parola “Italia”.

Soldati italiani mandati in Russia

Soldati italiani mandati in Russia

Sono questi i pensieri che mi assalgono, mentre me ne sto seduto in silenzio nel pubblico, ad ascoltare gli oratori, mentre cerco di immaginare il protagonista del libro, Francesco Mellea, nell’inferno della prigionia in Russia, nell’inverno del 1942-43: due anni tremendi con il pensiero angoscioso dei propri cari lontani e l’incertezza della loro situazione che rendeva ancora più duri i giorni e le notti… ma si doveva resistere e rimanere attaccati alla vita, a qualunque costo… Con tutte le energie che rimanevano e con la speranza del ritorno e la fiducia, senza riserve, nella Divina Provvidenza, per non morire, ma non solo per non morire di fame o di tifo o congelato nel terribile gelo della Russia… soprattutto per non morire dentro! Con la consapevolezza, così come traspare tra le pagine del libro, che i giorni della sofferenza non sono giorni persi, perché nessun istante del tempo che Dio ci concede è perso… e alla fine ogni cosa avrà la sua giusta sistemazione.
Mentre gli oratori parlano, immagino i reticolati e le guardie che vigilavano perché nessuno uscisse dai recinti… oppure mentre andavano a rovistare nei sacchi e nei pagliericci, dove non potevano trovare niente!
Ma, se è vero che dai reticolati non si poteva uscire, nessuno poté impedire che, per Francesco Mellea e per i suoi compagni, entrassero invece i ricordi, gli affetti più cari, la patria, mille immagini del passato, la protezione del Santo protettore, non esclusi i progetti per l’avvenire, per quando, finalmente, si poteva tornare a casa.

“Nel silenzio della chiesa… è arrivato il triste momento degli addii!… In pochi minuti ho rivissuto situazioni dolorose… Insieme a te ho provato la fame, la sete, il freddo, la paura, il dolore, la commiserazione, la solitudine, la miseria… Ho camminato al tuo fianco per chilometri e chilometri, nel sole cocente, nella polvere, nel fango, nel freddo… Ho sentito il raggelante fischio del vento della steppa e il sibilo delle armi da fuoco. Ho camminato e ho pianto insieme a te”.

Marcella Mellea

Marcella Mellea

In queste parole di Marcella Mellea c’è tutto il peso, e la bellezza, di una paternità cui nessun dibattito storico, sociale o politico potrà mai dare una risposta. Il copione che la figlia mette in scena risulta quello avviato, vissuto e portato innanzi dal padre: è la vita, tutta la vita, felice o sofferta, che a Francesco e Marcella è stata assegnata da una Sapienza a noi superiore.
Ho provato a domandarmi cosa può significare per una figlia narrare la storia personale del proprio padre? Penso che, soprattutto, abbia significato di avere avuto il coraggio, e la capacità, di scendere dentro le radici della sua stessa vita, là dove essa è cominciata, dove essa ha tremato nel farsi testimone, in luogo e nel nome del padre, del senso di quell’onore e di quella verità che permettono di poter guardare ad una vita degna di essere vissuta. Considerando un grande onore il poter affermare: “Io sono la figlia”.

Michele Petullà

Michele Petullà

Penso che è proprio attaccandosi a quelle radici, a quelle dure pietre di luce, levigate nella sofferenza e nel dolore che, nella particolare storia del padre, Marcella Mellea è riuscita, nel rendere testimonianza al padre, a rendere vivi e palpabili quei principi della storia del nostro Paese, che oggi pronunciamo con una sorta d’esitazione e di paura che sono la dignità, la religione, la famiglia, il paese dove viviamo, la scuola, il lavoro…
Con questo libro è la figlia che restituisce al padre il copione della sua stessa vita, all’interno di un rapporto di paternità, dentro il quale si è stati in grado di testimoniare, ed insegnare, che la coscienza della propria dignità nel dolore, anche di fronte alle più grandi ingiustizie che la vita ci ha messo davanti, sono una testimonianza che, oggi più che mai, ci permette ancora di poter continuare a sperare…

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