IMPORTANZA DEL DIALETTO E VOCABOLARIO GALATRESE DI UMBERTO DI STILO

Perché negare che l’attenzione che hanno destato due miei post, pubblicati ieri sera su facebook, sull’importanza del dialetto e sul vocabolario del dialetto galatrese pubblicato dal prof. Umberto Di Stilo, mi ha fatto piacere.

Qualche anno addietro, un giovane studente liceale mi ha chiesto di cercare ad aiutarlo in una ricerca sull’importanza del dialetto. Scopiazzando da più parti, forse proprio dall’introduzione al Vocabolario di Umberto Di Stilo, abbiamo cercato di dare un breve giudizio che riporto di seguito, insieme alla nota di cronaca del 26 maggio del 2010 sulla presentazione del Vocabolario presso la Sala Convegni delle Terme di Galatro.

PRESENTAZIONE DEL VOCABOLARIO GALATRESE DI UMBERTO DI STILO

Oggi pomeriggio, alle ore 17.00 presso la Sala Convegni delle Terme di Galatro, sarà presentato l’ultimo libro del giornalista e scrittore galatrese Umberto di Stilo: il “Vocabolario del dialetto di Galatro” uscito per i tipi di Luigi Pellegrini Editore (pp. 549, € 50).

Su iniziativa dell’Amministrazione Comunale di Galatro, che ne ha patrocinato la pubblicazione e ha stabilito che ad ogni famiglia di Galatro sarà consegnata una copia dell’opera, questa sera introdurrà e coordinerà i lavori il Sindaco di Galatro, Carmelo Panetta, il quale nell’introduzione del Vocabolario esordisce domandandosi se è necessaria ed utile la pubblicazione del dialetto galatrese? E senza esitazione risponde di sì e,  nome di tutti i galatresi esprime ad Umberto di Stilo la sua gratitudine per avere portato a termine questo estenuante ed improbo lavoro di ricerca di studio, che lo ha impegnato per anni con la pazienza certosina propria dei ricercatori di razza.

Dopo l’intervento del Sindaco sono previste le relazioni del Prof. Franco Galluzzo, Dirigente scolastico a Mammola e del Prof. Paolo Martino, Docente all’Università “LUMSA” di Roma. Nell’introduzione del Prof. Martino emerge un quadro esaustivo del contesto di studi nel quale si viene ad inserire il lavoro di Umberto di Stilo: “il Vocabolario si presenta con uno dei più affidabili nel settore, avendo l’Autore all’attivo una vasta produzione in cui mostra un vivo interesse per i dialetti… alla ricerca sul campo, coadiuvata dalla personale competenza dell’Autore, che è parlante nativo, si aggiunge lo spoglio della tradizione letteraria orale e scritta… riportandosi agli scritti di poeti come Giovanni Conia, Antonino Martino, Ettore Alvaro e Rocco Distilo”

La conclusione dell’incontro è, naturalmente, affidata all’Autore, il quale già nella dedica del libro “Alla memoria dei miei genitori, Francesco di Stilo e Maria Rosa Sollazzo, che della lingua del popolo furono abituali fruitori nei quotidiani rapporti con il prossimo”, esprime quanto mette in risalto sull’utilità della sua fatica letteraria, come argine alla scomparsa del dialetto dalla lingua parlata del popolo: “Il processo di italianizzazione della lingua popolare, ha causato la lenta ma progressiva scomparsa di quella che era la testimonianza concreta della storia e della civiltà della nostra comunità. Sono completamente scomparse (o sono in via di estinzione) dalla terminologia quotidiana le tracce delle radici grache e latine e le testimonianze della presenza araba, spagnola e francese. Il vocabolario, infatti, non è solo un freddo elenco di parole ma anche una consistente ed importante sezione della storia sociale di una comunità”.

 

L’IMPORTANZA DELLO STUDIO DEL DIALETTO

Lo studio attento che oggi, da più parti, viene rivolto alla nostra lingua “ufficiale” ed ai dialetti nell’evoluzione dei rapporti con la comunicazione verbale, costituisce una delle più vive ed interessanti discussioni della cultura moderna. La riscoperta che si sta operando del nostro passato acquista particolare valore, nel momento in cui si percepisce il sopravvento dei mezzi di comunicazione di massa (televisione in testa a tutti), che hanno permesso la distruzione di molte parole ed espressioni del nostro dialetto che, nonostante tutto, continua ancora a coesistere accanto alla nostra lingua nazionale.

E’ sempre più evidente ed accentuata scomparsa del dialetto dalla lingua parlata dalla popolazione. La lingua che i nostri padri, non i nostri nonni, hanno utilizzato per comunicare con i loro coetanei non è più la lingua che parliamo oggi. Ai giorni nostri è sempre più difficile incontrare dei giovani che comunicano “soltanto” in dialetto; anzi quando lo fanno, ricorrono ad un lessico assai simile all’italiano: un dialetto italianizzato o, tanto è lo stesso, un italiano dialettizzato.

Il processo di italianizzazione della lingua popolare, ha causato la lenta ma progressiva scomparsa di quella che era la testimonianza più forte della civiltà delle nostre comunità: il dialetto, infatti, è stato sempre espressione di una cultura, di una fisionomia ben precisa che, negli ultimi decenni ha subito un accentuato processo di italianizzazione che, insieme alle parole, minaccia di cancellare anche il mondo che esse hanno rappresentato. Sotto questo aspetto pesano come macigni i giudizi, o le accuse, che Pasolini esternava contro la cosiddetta “omologazione” perpetrata dalla televisione che ha omologato tutto e cancellato ogni differenza di lingua e quindi di cultura.

E’ proprio per evitare questa “omologazione” che il dialetto va recuperato, altrimenti non si può, in nessun modo, evitare il pericolo rappresentato dalle espressioni di G. Oneto nell’articolo “L’italiano fu imposto, la storia è per i dialetti”: “… In Italia la lingua è associata troppo spesso all’idea di nazione, è considerata “cemento unitario”, strumento politico, con un utilizzo piuttosto disinvolto della realtà storica… La gioiosa immagine dell’Italia “una di lingua” è uscita dall’entusiasmo davvero eccessivo del Manzoni, che l’ha contraddetta con la necessità di pesanti “sciacquature” in Arno…  E’ stata imposta con la forza sugli idiomi locali… e oggi l’italiano sta subendo la stessa sorte che ha fatto subire alle lingue locali, viene sostituito da altre parlate”.

Proprio per queste motivazioni, ritengo che il dialetto del proprio paese debba diventare materia di studio,  debba essere protetto e conservato con un documento vivo e tangibile della civiltà nella quale siamo nati e cresciuti. Non una lingua “imposta”, come dice G. Oneto, ma la lingua dei nostri padri che è ancora viva nella memoria delle persone anziane dei nostri paesi e che era parlata nelle nostre comunità fino a quando la televisione, la radio, i mezzi di comunicazione di massa non hanno cominciato a rendere di uso comune la lingua italiana che oggi rischia di sgretolarsi perché attaccata da quelle mode “esterofile” che rendono vane finanche tutte le “sciacquature” operate dal Manzoni.

Certamente svariati sono i dialetti che rappresentano l’espressione “orale” di una data comunità, che anche se non possiamo certamente definire “lingua”, ne consegue che ogni centro abitato accoglie una comunità linguistica solidale, spesso assai caratterizzata, per cui non è azzardato  affermare che ogni paese ha un patrimonio linguistico dialettale da tutelare. Questo principio sembra che si stia facendo strada sia nelle sedi istituzionali (baste vedere i progetti di educazione linguistico-dialettale che molti istituti portano avanti da tempo) che nell’opinione pubblica che non guarda più con distacco alla produzione letteraria dialettale.

Sotto questo profilo perché non vedere con attenzione l’impegno di tante scuole che stanno avviando dei progetti finalizzati alla conoscenza ed al recupero delle peculiarità linguistiche dialettali. Per certi versi è un lavoro riparatore. La scuola, infatti, dopo aver obbligato i bambini a mettere completamente da parte il dialetto (lingua madre appresa nelle pareti domestiche e che ha accompagnato i giochi fatti per strada, al campo sportivo, sulla piazza, nei bar…) adesso, quasi volesse rimediare a questa imposizione, mira a non disperdere l’immenso patrimonio di storia e di civiltà rappresentato dal vernacolo e tende a far sì che esso, al pari del greco e del latino (lingue che costituirono il primo mezzo espressivo di comunicazione verbale dei nostri progenitori) diventi materia di studio e di ricerca con fini di tutela e di salvaguardia.

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