IN “ CONQUISTADORES DEL… NULLA ”, UN PADRE EDUCA I FIGLI ALLA FEDE

Nella seconda edizione del Libro di Pasquale Cannatà, Conquistadores … del nulla, una delle presentazioni inserite nel libro è una mia recensione…

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CONQUISTADORES DEL… NULLA

In un mondo come il nostro, dove tutto è visto in funzione del potere, della carriera, degli interessi e la “normalità” della vita, anche nei rapporti dei genitori con i propri figli, è giocata tutta nell’essere presi dalle preoccupazioni sulla carriera e dall’apparire, in una società sempre più attenta alla forma che alla sostanza, al punto da portare un genitore a non accorgersi neanche che i propri figli crescono… ecco, in un mondo così fatto, la pubblicazione di un libro come quello di Pasquale Cannatà che racconta una bella storia di ricordi familiari, e soprattutto di come un padre ha cercato di vivere e trasmettere ai propri figli, importanti valori umani e religiosi… può sembrare pura follia!
Infatti, tra le pagine del libro, si può scorgere quasi come in un evidente contrasto, il problema gravissimo di oggi; cioè che ci troviamo davanti ad un dramma epocale che non riguarda soltanto le nostre città o soltanto l’Italia… un dramma non secondario nella storia dell’umanità, quello di una generazione di adulti in grave difficoltà davanti ai propri figli.

Pasquale Cannatà

Pasquale Cannatà

La lettura del libro ” Conquistadores … del nulla ” di Pasquale Cannatà  ritengo che rappresenti un vero “antidoto” rispetto a certe realtà, oggi sempre più frequenti, di genitori spaventati e sulla difensiva rispetto all’educazione dei figli e alla realtà familiare che, insieme con loro, vivono: questo libro testimonia, in maniera eloquente, la realtà positiva  che l’autore ha vissuto nella sua famiglia, raccontando la bellezza degli insegnamenti appresi e maturati, soprattutto nel rapporto con il padre, nell’avere avuto davanti un modello di riferimento, veramente solido che era rappresentato dal papà innanzitutto, ma anche dalla mamma, dai fratelli, dalla comunità ecclesiale e dai tanti punti di riferimento sportivi o culturali che il paese, nella sua realtà di allora, offriva.
La famiglia nel libro è descritta quasi come una grande orchestra, dove ogni suo componente ha un suo strumento e si esprime con le sue note, nella diversità delle sue caratteristiche rispetto a quelle degli altri fratelli: interessi professionali, culturali, politiche, religiose diverse, con un punto di unità che il tempo non ha cancellato e, anche se in ogni famiglia si parla di tutto, di politica, di sport, di problemi economici e familiari… nel lungo periodo si dimentica tutto ciò che ha poco interesse e breve durata e resta solo ciò che vale, cioè l’essenziale.
cannatà (3)E questo essenziale, che nel libro di Cannatà trabocca in ogni pagina, è da individuare negli insegnamenti del padre che non perde occasione per richiamare l’attenzione della famiglia su qualcosa di importante in cui credere e per cui vale la pena vivere, non evitando di indicare ad ognuno dei suoi figli il proprio compito, pur nel rispetto della individualità di ciascuno.
Nel libro sono facilmente individuabili in don Vincenzo (il padre, che oltre al lavoro e alla famiglia non aveva altri interessi e il poco tempo libero lo dedicava alla lettura e alla riflessione), donna Francischina (la moglie e madre), Salvatore (che stava completando i suoi studi di ingegneria), Roberto (che era a metà del corso di studi in scienze biologiche), Fortunato (che aveva da poco iniziato a studiare filosofia), Grazietta, Nazareno e Maria Oliveria, tutti i componenti della famiglia di Pasquale Cannatà; mentre l’unica persona che nel libro è indicata con il suo vero nome è don Bruno (Scoleri), del quale si ricordano le lunghe prediche.
In ” Conquistadores …del nulla ” c’è il racconto di una generazione che, a differenza di quella di oggi, non era confusa nel rapporto con i figli.
cannatà (1)Le generazioni dei nostri padri, e dei nostri nonni, hanno sicuramente fatto più fatica di quelle di oggi: le guerre, la fame… hanno fatto infinitamente più fatica dal lato delle fatiche materiali; eppure, nonostante tutti i problemi, c’è un qualcosa che quegli uomini non hanno mai fatto venire meno; mi riferisco alla testimonianza lasciata ai propri figli di un bene possibile per il quale valeva la pena  sacrificarsi, fare, lavorare. E, in questa testimonianza, all’interno della famiglia era chiaro che ognuno voleva diventare come il suo papà… ognuno ascoltava il proprio padre e lo sentiva come il re dell’universo! Perché quelle erano persone che, nella loro assoluta semplicità, magari non avendo fatto neanche le elementari, sapevano le cose che nella vita bisogna sapere. Forse non sapevano di matematica, o di finanza o di soldi, però sapevano della vita e della morte, della gioia e del dolore, del bene e del male, del vero e del falso, del bello e del brutto…
La bellezza del libro del Cannatà risiede anche nel fatto che oggi, nella stragrande maggioranza dei casi,  il rapporto genitori figli non è più così! E qua sta la grandezza dei ricordi espressi nel libro, perché quando si ha davanti un padre così, e si ha la possibilità di guardare dove mette i piedi lui, si può sapere  con certezza che andando dietro a lui si può affrontare tranquillamente la strada della vita (con tutte le sue insidie che mette nel suo cammino), fino in fondo e senza paura.
Con grande intelligenza l’autore ha messo alla base del suo libro (che poi altro non è se non la sua storia personale e familiare, almeno fino a quando non ha lasciato la sua famiglia di origine) gli stimoli maturati e vissuti nel rapporto con suo padre, che hanno avuto la capacità di ingrandire, di dilatare e maturare quell’essenziale (“ciò che abbiamo di più caro” come diceva Solov’ev) a cui suo padre si richiamava e che la Bibbia chiama “cuore”. Il “cuore” che viene richiamato nel libro dice, a Salvatore-Pasquale e ai suoi fratelli, attraverso le parole del loro padre, che essi sono stati fatti per cose grandi, e che solo il riconoscimento di questo può portare alla loro vita le note della felicità che ogni uomo cerca.  Perché è proprio a partire da questo che “uno incomincia a toccarsi alla mattina le spalle e sentire il proprio corpo più consistente, e a guardarsi nello specchio e sentire il proprio volto più consistente, sentire il proprio io più consistente e il proprio cammino tra la gente più consistente, non dipendere dagli sguardi altrui, ma libero, non dipendente dalle reazioni altrui, ma libero, non vittima della logica di potere altrui, ma libero”.
Perché alla fine, l’immagine che viene fuori dal libro è la storia di un padre che guardava un “qualcosa” più grande di lui, e invitava i suoi figli ad andargli dietro in questo cammino, convinto che le vere forze che muovono la storia, sono le stesse che rendono felice il cuore dell’uomo.

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