NELLA POLEMICA DI SAVIANO MANCA L’ESSENZA DELLE DUE ITALIE

Roberto Saviano, nella seconda puntata di “Vieni via con me”, ha preso un pezzo di un’intervista, un po’ grottesca, rilasciata nel 1999 al “Giornale” dal defunto Professor Gianfranco Miglio, sui legami della ‘ndrangheta con la Lega, il tutto per propinare, ad un confuso telespettatore, un insipido minestrone dove venivano evidenziati, come novità!, gli arcinoti legami tra la ‘ndrangheta ed il potere politico del Nord.

Oggi, forse, in tanti non sanno neanche chi è stato il Professore Miglio… io lo ricordo benissimo, e posso dire che conservo ancora tra le mie carte l’incriminata intervista dove, al di là di quello che ha voluto sottolineare Saviano, c’era ben altro da rimarcare… in termini culturali e non di sterile ed inutile polemica, soprattutto in questo momento quando, da più parti, si sta dando vita a festeggiamenti vari per la ricorrenza del 150° dell’Unità d’Italia.

Alle domande dell’intervistatore, Stefano Lorenzetto, Miglio non si sottrae. Vediamo un pezzo dell’intervista che io ritengo importante: “Perché l’Italia unita le fa tanto schifo? Perché è figlia illegittima di una congiuntura storica particolare. Ha mescolato insieme popoli che dovevano restare separati, che non hanno nulla in comune. Che cos’hanno di tanto diverso nordisti e sudisti? Il modo stesso di concepire la vita. Noi abbiamo nelle vene sangue barbaro, siamo legati al negotium, al lavoro. I meridionali invece vivono per l’otium, il dolce far nulla, i sollazzi, un totale disprezzo per la fatica. Questa è la storia di due popoli. Una differenza antropologica, inutile star lì. Detto questo… Detto questo? Riconosco che i meridionali sono stati danneggiati dall’unificazione. Il loro inserimento nel Regno è avvenuto soltanto per effetto della spedizione garibaldina. Da lì in avanti lo Stato unitario li ha sempre fregati. Ogni volta che appariva all’orizzonte una prospettiva finanziaria il Nord se ne appropriava. E’ dalla fine degli anni Cinquanta che cerco una via per raddrizzare questo Stato unitario”.

Ricordo che quando ho letto queste parole di Miglio sono rimasto male, soprattutto quando affermava, in altri articoli di quel periodo, che noi meridionali eravamo figli di Ulisse… cioè di uno che in vita sua pur di non lavorare si è inventato di tutto…!

Certamente, anche a ritenere altamente strumentali le dichiarazioni di Saviano, non si può non ammettere che il problema della diversità tra il Nord ed il Sud dell’Italia c’è veramente ed è stato, negli ultimi anni, ampiamente dibattuto… soprattutto, o meglio, purtroppo!, in termini politici e… polemici, tralasciando quella che è la vera essenza del problema tra Nord e Sud Italia.

Il problema di queste due, per molti versi, “distinte” realtà, ritengo vada affrontato, soprattutto in termini culturali precisi… bisogna avere il coraggio di riconoscere che, in effetti, ci troviamo di fronte a “due razze”…

Mi ha colpito, a riguardo, la lettura di un brano di Alfredo Niceforo (criminologo e antropologo italiano della scuola lombrosiana, nato a Castiglione di Sicilia nel 1876 e morto a Roma nel 1960), tratto dal libro “Italiani del Nord e Italiani del Sud“, edito a Torino dalla Editrice Bocca nel 1901.

Provo ad addentrarmi in qualche sua considerazione: “La differenza antropologica tra gli italiani del Nord e quelli del Sud, determina eziandio una spiccata differenza psicologica tra i caratteri delle due popolazioni. Il carattere del piemontese – infatti – non è quello del siciliano, ed essi divergono, appunto, come diverge la psicologia dei popoli nordici (Arii) da quella dei popoli meridionali (Mediterranei).

Il piemontese ricorda un poco – nelle sue linee generali – la psicologia del celto, dello slavo e del germanico, dei quali è fratello nella razza; il siciliano rammenta, invece, la psicologia del greco e dello spagnuolo del sud, ed essi tutti sono appunto rami della medesima stirpe mediterranea.

Come vi sono dunque – in linea generale – due razze: gli arii al nord e i mediterranei bruni al sud; così vi sono due diverse e quasi opposte psicologie collettive.

I mediterranei bruni, abitanti il sud-Italia, hanno, come nota principale della loro psicologia, l’enorme eccitabilità del proprio “io”. Essi non camminano, corrono; non si muovono, irrompono; hanno sempre furia di cominciare e di finire, – amano la celerità, il rumore, l’instabilità – esagerano tutto: dell’uomo che non ha retto giudizio dicono che è insensato; di quello che ha del talento dicono che è un genio, di quello che non ha molto spirito, che è uno sciocco. Hanno tutto in rilievo, il gesto, lo sguardo, la parola, lo stile, l’esclamazione; concepiscono rapidamente, perché il loro “io” guizza celermente su ogni cosa, quasi in uno stato di sovreccitazione, ma non approfondiscono nulla o quasi nulla; hanno ipertrofico il sentimento e intermittente l’energia. Per questa continua irrequietezza dell'”io” sono mobilissimi nelle idee, impulsivi ed amanti delle ribellioni, pronti a farsi trasportare ad azioni che, dopo lo scoppio bruciante ed impulsivo del momento, essi stessi deplorano, e proclivi a decidere a colpi di testa gli avvenimenti anche più importanti.

Al contrario, gli arii mancano quasi completamente di questo eccesso di mobilità dell'”io”. Il loro “io” è tardo, freddo ed incline a lasciarsi assorbire passivamente dall’organizzazione collettiva. Il loro “io” non li trascina, eccitato e quasi ubbriaco come è presso i mediterranei bruni, a correre per il mondo, ad agitarsi e ribellarsi, a guizzare di idea in idea e di fatto in fatto, ma al contrario li attacca alla patria, al suolo, al focolare. I “brachicefali” (arii) diceva Galton, “hanno lo spirito gregario degli armenti”. Sono infatti masse docili malleabili, che non si agitano vanamente, dietro cento idee e mille aspirazioni, ma che si piegano pazientemente al buon senso della vita pratica; amano i fatti, i calcoli e gli atti.

Gli arii, avendo l'”io” più docile e meno eccitabile, hanno un sentimento di organizzazione sociale assai più sviluppato che non sia presso i mediterranei bruni, i quali, avendo l'”io” eccitabile e mobilissimo, hanno più sviluppato il sentimento individualistico e si ribellano ad ogni spontanea organizzazione collettiva e sociale. Mentre nella stirpe aria l’individuo facilmente si fonde nell’aggregato, senza nessun sacrificio, e si considera come parte od elemento dell’unità sociale sulla quale non aspira di innalzarsi per dominarla, presso i mediterranei bruni, al contrario, ogni individuo vuole emergere dalla massa sociale, anche quando sia necessario di rimanere come molecola dell’unità indivisa. Moltiplicando in tutta una folla questi caratteri, trovasi il sentimento di anarchia da un lato, e quello dell’ordine dall’altro, come fenomeno naturale e comune. Insomma, presso gli arii è facile organizzare gli individui in masse, e disciplinarli, presso i mediterranei bruni, invece, questo lavoro è impossibile perché ogni individuo, tratto dal suo “io” irrequieto e mobilissimo, non vuole e non può lasciarsi assorbire dalla massa.

Gli arii hanno tenace e pazientissima l’attenzione, perché l'”io” trova nella sua freddezza e nella sua lentezza, una grande forza per non distrarsi: hanno spiccatissimo il senso pratico della vita, perché il loro “io”, non mai distratto da emozioni banali, non mai scosso dagli uragani psicologici di una fervida immaginazione, non mai tratto a vagare su cento obbietti della impulsività, e reso tenace dalla forza di volontà e dalla pazienza, può concentrarsi sugli oggetti anche minimi della vita spicciola, comprenderli e sviscerarli al lume di una serena ed instancabile riflessione…

Al contrario del mediterraneo bruno, però, la intelligenza dell’ario non è così rapida e agile: la lentezza del suo “io” e la sua stessa riflessibilità gli impediscono quel lavoro di ginnastica rapidissima e sorprendente che fa, tante volte, meravigliare, nei mediterranei”.

Detto questo, per concludere, ritengo che ci possiamo anche domandare se è da preferirsi una società di individui i quali, se pure hanno un’intelligenza individuale non troppo spiccata, hanno tuttavia una grande prontezza alla organizzazione e alla disciplinatezza (gli arii), o invece una società di individui che, pure avendo sviluppatissime le intelligenze individuali, non sono tuttavia capaci di piegarsi alla organizzazione e alla disciplina collettiva (i mediterranei bruni).

Su questi argomenti,  ritengo, vale la pena aprire un dibattito di grande spessore culturale… soprattutto se è visto nel riconoscimento della diversità etniche nell’ambito della indiscutibile unità della nostra Nazione… ma da questo, l’altra sera in televisione, Saviano si è allontanato anni luce…

articolo pubblicato il 25 novembre 2010

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