PASQUA… DIO FUGGE IN CAMPAGNA

L’HO SCRITTO PER PASQUA…  (1)

Secondo un rituale ormai consolidato, durante il periodo di Pasqua, sono in tanti  quelli che si spostano nelle maggiori capitali europee per visitarne le chiese, i monumenti, le opere d’arte… Purtroppo, e sottolineo purtroppo, già subito dopo Natale, basta entrare in una qualsiasi agenzia di viaggi per vedere come l’importanza della Pasqua è messa in risalto solo, e soltanto, per le visite e le manifestazioni che si consigliano in determinati luoghi considerati delle perle della cultura medievale.

Il periodo di Pasqua è ormai visto come il periodo ideale per fare visita a Santuari e Cattedrali: i più importanti simboli del cattolicesimo europeo sono ridotti a tappe programmate da agenzie preoccupate solo a fare soldi. Ma… mi piace pensare cosa passa per la testa, oggi, al visitatore occasionale che entra in una  delle grandi Cattedrali che hanno punteggiato l’intera Europa di fari luminosi per la loro bellezza, e lo faccio con le parole di un grande medievalista, Paolo Cortesi, che meritano, veramente una grande ed approfondita riflessione: “ … noi, oggi, siamo incapaci di cogliere un senso nelle dimensioni, e tutt’al più possiamo provare un banale stupore per l’abilità dei costruttori che, otto secoli fa, realizzarono edifici che ancora oggi  affascinano… L’intossicazione cronica da TV ha ottuso e atrofizzato la nostra capacità di visione, sostituendo al più sublime dei sensi una r
icezione passiva di stimoli luminosi e sonori: noi non vediamo più come i nostri antenati; essi sapevano osservare, noi non facciamo che offrire i nostri occhi aperti e il nostro cervello intorpidito ad un oggetto che vomita, ininterrottamente, immagini e rumori. 
Possiamo però tentare, possiamo sforzarci di uscire, per un momento, dalla gabbia in cui è imprigionata la nostra sensibilità e avvicinarci all’animo di un uomo del XII secolo, di un costruttore di cattedrali o meglio ancora di uno fra le migliaia di visitatori di quel meraviglioso edificio. Cancelliamo, allora, i nostri ricordi e le nostre impressioni alla vista di una cattedrale; ignoriamo le foto scattate e le cartoline acquistate nel bookshop della sacrestia, dimentichiamo le notizie apprese dalla guida turistica: proviamo a pensare come un uomo medievale che osservava una cattedrale gotica e vi entrava. La nostra visita ad una cattedrale, oggi, è un momento un po’ didattico e un po’ di svago: cerchiamo di rintracciare influssi stilistici e collegamenti a scuole architettoniche, con la memoria che ci restituisce incerti ricordi del liceo, e il gioioso stupore di vivere dentro uno spazio totalmente artistico. Ma l’uomo del Medioevo non provava nessuna di queste sensazioni: egli nella cattedrale non vedeva un pezzo di storia dell’arte, ma la fede cattolica resa evidente ai sensi: egli non vedeva una rappresentazione del cielo divino e della gloria di Cristo: egli entrava nel cielo, sentiva la gloria, diventava una parte della spiritualità che dava vita e forma alla cattedrale. Ciò che per noi, ora, è una visita di turisti, talvolta frettolosa, per l’uomo del Medioevo era semplicemente un’esperienza mistica. Abituato a vivere in una casupola di legno, con la paglia per terra e stracci che coprivano le finestre, il nostro visitatore aveva davanti a sé una costruzione altissima, di pietra splendente, solida, con vetrate dal blu intenso, il rosso profondo, il verde  scintillante, l’oro limpido… Colonne sottili come steli di piante enormi si alzavano verso il tetto, così alto che si perdeva nell’oscurità della volta; il pavimento era lucente e levigato; dall’alto dei capitelli strane figure, soavi o paurose, si chinavano verso il basso e fissavano, con occhi eternamente aperti, la gente camminava nella navata più larga della più grande strada del paese. Le candele bruciavano gialle nella luce fluida che scendeva, rosata o azzurrina, dalle vetrate coperte delle storie della Bibbia. La cattedrale era l’edificio più divino che il nostro uomo potesse vedere in tutta la sua vita; era una anticipazione del paradiso, o forse la sua rappresentazione in dimensioni terrene. In nessun altro luogo era possibile avvertire più profondamente il senso del divino: la cattedrale era il punto in cui sacro ed umano si congiungevano, fino a tradursi in una realtà che, se non era ancora pura spiritualità, non era più soltanto una costruzione fatta da capomastri e scalpellini … “.

Parlando di queste cose con un caro amico, mi è stato segnalato da leggere un altro brano, scritto da Luigi Pirandello nel 1901, tratto da “Il vecchio Dio”, lo riporto di seguito… senza alcun commento… come dire: “A chiaro testo, non fare oscura glossa…”, per chi ha orecchie: “Mali tempi, figlio mio! Vedi come mi son ridotto? Sto qui a guardia delle panche. Di tanto in tanto, qualche forestiere. Ma non entra mica per Me, sai! Viene per visitar gli affreschi ed i monumenti; monterebbe anche su gli altari per vedere meglio le immagini dipinte in qualche pala! Mali tempi, figlio mio. Hai sentito? hai letto i libri nuovi? Io, Padre Eterno, non ho fatto nulla: tutto s’è fatto da sé, naturalmente, a poco a poco. Non ho creato Io prima la luce, poi il cielo, poi la terra e tutto il resto, come ti avevano insegnato ne’ tuoi gracili anni. Che! Che! non c’entro per nulla Io. Le nebulose, capisci? la materia cosmica… E tutto s’è fatto da sé. Ti faccio ridere: uno c’è stato finanche, un certo scienziato, il quale ha avuto il coraggio di proclamare che, avendo studiato in tutti i sensi il cielo, non vi aveva trovato neppur una minima traccia dell’esistenza mia. Di’ un po’: te lo immagini questo pover’uomo che, armato del suo cannocchiale, s’affanna sul serio a darmi la caccia per i cieli, quando non mi sentiva dentro il suo misero coricino? Ne riderei di cuore, tanto tanto, figliolo mio, se non vedessi gli uomini far buon viso a siffatte scempiaggini. Ricordo bene quand’io li tenevo tutti in sacro terrore, parlando loro con la voce dei venti, dei tuoni e dei terremoti. Ora hanno inventato il parafulmine, capisci? e non mi temono più; si sono spiegati il fenomeno del vento, della pioggia e di ogni altro fenomeno, e non si rivolgono più a Me per ottenere in grazia qualche cosa. Bisogna, bisogna ch’io mi risolva a lasciare la città e mi restringa a fare il Padreterno nelle campagne: là vivono tuttora, non dico più molte, ma alquante anime ingenue di contadini, per cui non si muove foglia d’albero se Io non voglia, e sono ancora Io che faccio il nuvolo ed il sereno. Su, su, andiamo figliolo! Anche tu qua ci stai maluccio, lo vedo. Andiamocene in campagna, fra la gente timorata, fra la gente buona che lavora“.

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