UN CALABRESE SPIEGA AI MASSONI: “SIETE SCOMUNICATI!”

UN CALABRESE SPIEGA AI MASSONI: “SIETE SCOMUNICATI!”

di  Bruno Demasi e Michele Scozzarra

    “Ho spiegato loro che per la Chiesa del Concilio Vaticano II, la Chiesa del dialogo, loro non sono né vicini né lontani, sono totalmente fuori. Sono fuori della comunione cattolica, sono scomunicati.” 

In questa stagione di desolante mediocrità e di incertezza sui destini della società e di molte chiese locali che operano forse senza rendersene conto in territori marginali e di grande povertà morale oltre che economica è toccato proprio a un calabrese esplosivo, il Vescovo di Noto, Mons. Antonio Staglianò, rendere finalmente onore alla Chiesa italiana ed al Collegio Episcopale con una lectio magistralis di elevato spessore storico, teologico ed ecclesiologico nel convegno promosso dal locale Grande Oriente d’Italia su“Chiesa e Massoneria…” celebrato qualche giorno fa a Siracusa.
Si sapeva che vi avrebbe partecipato un vescovo della Chiesa Cattolica, Mons Staglianò appunto, e da più parti si erano affilate le armi per stigmatizzare questa partecipazione a un convegno che già nella locandina presentava larghi margini di ambiguità e di commistione tra le verità di Fede e l’armamentario iconografico massone. I grembiulini siciliani ne avevano approfittato subito e per pubblicizzare l’incontro, unico per certi versi, tra Chiesa e logge del Grande Oriente, hanno utilizzato proprio l’icona del Cristo ricurvo intento col compasso in mano a disegnare il mondo. Un’immagine medioevale raffigurante il Dio creatore in imago Christi riferibile a un’ illustrazione della Bible moralisée, la cosiddetta Biblia pauperum. Non a caso le logge se ne sono appropriate per accreditare l’idea che ci pssa essere una sorta di avvicinamento o di compatibilità tra l’essere massone e cattolico al tempo stesso. Quella stessa “compatibilità” che la Chiesa ha invece sempre rifiutato sdegnata e risolutamente ferma con innumerevoli encicliche, dichiarazioni e atti ufficiali.

Un avvicinamento silenzioso e ambiguo che invece si è registrato spesso nelle simpatie di tanti laici sedicenti cattolici o addirittura di sacerdoti e vescovi che incautamente incoraggiano certi settarismi o partecipano senza remore a convegni ed eventi di stampo e di derivazione indubbiamente massoni o pseudomassoni camuffati da occasioni culturali o di filantropismo sui generis, compresa la consegna di targhe, premi riconoscimenti, patacche di ogni genere dalle quali gli uomini di Chiesa dovrebbero stare lontane mille miglia…
Mons. Staglianò, al contrario, non ha esitato a partecipare a viso aperto proprio al convegno organizzato dalla Massoneria e ne ha dato ragione nei giorni precedenti affermando: “Non farò altro che fare come Gesù che andava dai pubblicani e dalle prostitute, annuncerò Cristo, il kerygma, l’annuncio cristiano, poi saranno loro, i massoni, a stabilire quanto sono lontani o vicini da questo annuncio. Dirò perché non potrò mai essere massone, altro che essere accusato di cercare agganci con loro, che modo stupido, superficiale e integralista di affrontare le cose! Io voglio soltanto dare fiducia, rendere ragione della speranza che è in me, mettere in atto quello che chiede Papa Francesco… io sono un vescovo della Chiesa cattolica nato nel 1959 e cresciuto con le affermazioni del Concilio Vaticano II. Come non posso più citare il Sillabo di Pio IX per parlare di progresso (sic!), così è per la Massoneria, quindi, con tutto il rispetto per Leone XIII, parlerò invece di Paolo VI e San Giovanni Paolo II”. 
La sua lectio magistralis merita di essere riletta e meditata, perché nell’odierno mondo, anche episcopale, dell’ approssimazione e della ricerca spasmodica di consenso, capita sempre più di rado di udire, come autentica musica soave per le orecchie, un vescovo che nelle sue parole incarna il divino monito: “Sia il vostro parlare si quando è si e no quando è no, perché il di più, proviene dal Maligno”. Con amabilità e profondo spirito cristiano , ma senza mezzi termini, ha spiegato ai Massoni che se un cattolico è iscritto alla Loggia ed appartiene alla Massoneria, deve ritenersi scomunicato latae sententiae, una scomunica che non è un retaggio della “vecchia Chiesa” del Beato Pio IX, ma rimane tutt’oggi valida anche nella Chiesa posteriore al Concilio Vaticano II.
E a quanti continuano ad affermare con sufficienza che la Massoneria è stata sempre presente in qualche modo nel mondo ecclesiale (basti osservare i simboli massonici di cui abbondano tante chiese) e che non è strano ormai che ci siano diversi cattolici affiliati in qualche modo alla Massoneria il vescovo di Noto ha ricordato: “Come fanno a conciliare con la scomunica la loro appartenenza alla massoneria con l’andare in Chiesa e magari cibarsi anche dell’eucarestia? Non è possibile. Se poi come dicono alcuni appartengono alla massoneria alcuni preti e alcuni vescovi mi pare che qui c’è proprio bisogno di una presenza autorevole di un vescovo che dicesse loro: guardate, queste cose non sono possibili. Perché se uno che è prete o addirittura vescovo aderisce alla Massoneria vuol dire che della scomunica se ne fa un baffo…”. 
Un monito, una chiara denuncia indiretta di situazioni aberranti che si vivono quotidianamente in certi contesti, anche ecclesiali , per la latente vicinanza alle posizioni massoniche camuffate da iniziative “culturali” o sociali o caritatevoli fini a se stesse, per l’indubbia e sfacciata “ comprensione” per tante tesi e pratiche massoniche , per l’asservimento ad esse con la collocazione in posti chiave e in tante funzioni pratiche, amministrative, “estetiche”, educative che ruotano intorno anche all’amministrazione ecclesiale di persone funzionali al deleterio connubio ndrangheta – massoneria che è stato ormai ampiamente documentato dalla D.I.A. e che continua quasi indisturbato a devastare la convivenza civile.

I corollari di questa sommersa azione di rinuncia alla propria identità realmente cattolica, denunciata ad alta voce da Mons Staglianò , sono a loro volta assurdi, come quello di pretendere di costruire in vari contesti quelle che il cardinale Ratzinger già nel 1972 chiamava “ecclesiae in Ecclesia” sottolineando il significato dell’ufficio episcopale e della Chiesa Universale in rapporto alla nuova tendenza di“autonomia della chiesa locale” e alla pretesa di costruire “ teologie” centrifughe attraverso un lavorìo intellettuale – spesso anche incomprensibile ai più – che travalicherebbe il significato stesso della Missione in terre di frontiera, proprio là dove il connubio Mafia-Massoneria si esprime in maniera virulenta in un quasi generalizzato abbandono da parte dello Stato, per non parlare di altro…

Lo stesso Papa Francesco, che ha istituito la “Giornata dei Poveri” non a caso, ma per richiamarci come Chiesa Universale a un rinnovato fervore verso la dimensione evangelica della Povertà, ci avverte che “Va bene studiare ma la puzza di pecora non va trascurata”proprio per indicare quelle vaste aree delle “periferia del mondo” (e alla Piana questa dimensione geosociale è stata imposta ignobilmente da tempo dai potenti di turno), in cui le mille “teologie” possibili potrebbero se non altro rischiare di far perdere di vista il vero annuncio del Vangelo della Carità.

Al di là di questi propositi, che spesso sono estranei ai reali bisogni delle realtà nelle quali viviamo, e il più delle volte sono dovuti solo a preoccupazioni pratiche che niente hanno a che fare con la testimonianza della presenza cristiana nel nostro ambiente… si pone in termini nuovi il problema dell’unità di fede: oggi tutto fa brodo nel turbinio delle parole e degli eventi costruiti a tavolino e l’unità della fede viene sempre più, come una minestrina insipida, rimandata alla sua sola espressione liturgica, sempre meno identificata nella testimonianza che la fede genera, o dovrebbe generare, nei nostri esplosivi contesti sociali e geografici.

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