PERCHE’ DIO SI FA UOMO PERSINO IN CALABRIA? di Bruno Demasi e Michele Scozzarra

PERCHE’ DIO SI FA UOMO PERSINO IN CALABRIA

di Bruno Demasi e Michele Scozzarra

   Non vogliamo affatto piangerci addosso o peccare ancora una volta di autolesionismo alla calabrese anche se di motivi ce ne sarebbero tantissimi specialmente in questo scorcio conclusivo di anno nel quale ai danni atavici e a quelli, ben più vistosi, dell’attualità si associa la proverbiale rassegnazione di noi meridionali ampiamente assuefatti a tutto. Vogliamo soltanto interrogarci come Calabresi della strada, come cattolici  di serie zeta se accanto alle due dimensioni  del “Divino”  che finora abbiamo percorso – quella  di un Dio onnipresente nei problemi , cui scaraventare addosso tutte le nostre enormi responsabilità, le malattie e i disastri del quotidiano, e quella di un Dio impassibile che rimane al di sopra o al di fuori  di tutto e di tutti – esista una terza dimensione di fede vera sulla quale interrogarci con il milieu irrinunciabile della Chiesa:

E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria,
gloria come di unigenito dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli rende testimonianza
e grida: «Ecco l’uomo di cui io dissi:
Colui che viene dopo di me
mi è passato avanti,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto
e grazia su grazia.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio nessuno l’ha mai visto:
proprio il Figlio unigenito,
che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelato. (Giovanni I, 14-18)

E’  una Parola che   rivela tutto  l’interesse che Dio mostra per l’uomo. Dio non corrisponde al profilo di un essere distaccato o assente nei riguardi dei problemi umani delineato dai filosofi antichi, ma ha sentimenti d’amore e comunque di partecipazione alle vicende umane. È un Dio che desidera stare con gli uomini, persino con gli uomini e le donne di Calabria provati – è vero – da mille problemi, ma sempre più dimentichi di Lui e di Lui disposti sempre più a fare a meno non davanti agli altri, ma nella propria vita più intima e nascosta

La Bibbia è interamente percorsa da questo fremito di passione fin dal libro della Genesi in cui si riferisce che «Dio passeggiava nel giardino alla brezza del giorno», un’immagine che, come accadeva a Bonhoeffer ci affascina perché il   Dio dell’Antico Testamento si presenta come una persona che condivide sentimenti umani: si accalora, si arrabbia, accarezza, prende per mano.  In Gesù Cristo questo Dio si manifesta in tutta la gamma dei sentimenti e delle emozioni umane: la meraviglia, il pianto, l’affetto, il dolore, la compassione. I sentimenti descritti svelano il «genuino» di Dio, il «cuore» di uno che condivide l’avventura dell’umanità, con una presenza che partecipa senza deresponsabilizzare l’uomo, che lo ama anche quando egli non risponde ai suoi appelli.

Proprio qui, in Calabria e ora, se da un lato siamo accolti dal “genuino cuore di Dio”, non possiamo non evidenziare come appaiono incapaci di intaccare il cinismo dell’uomo tanti auguri e sermoni natalizi che rimbalzano ovunque in questo periodo. Il ricordo di quel Bambino in fasce in una mangiatoia sembra permanere, anche fra molti che portano il Suo nome, solo come un astratto «simbolo» dei valori universali di pace e fratellanza. Sembra impossibile perfino immaginare che quella presenza, misteriosa eppure così umana, possa rendersi incontrabile dagli uomini di oggi provocando il medesimo impatto umano di allora: lo stesso stupore dei pastori, lo stesso muoversi e mettersi in cammino, la stessa intelligente adorazione dei re magi. Realmente però, non come in una fiaba troppo bella per essere vera.

Ma un cristianesimo in cui la scarsa e scadente filantropia dei nostri tempi prende il posto della Carità, il consenso anche politico, magari estorto con mille inganni, sostituisce la speranza e la cultura spodesta la fede, non può ragionevolmente vincere il sospetto che alberga ormai nel cuore del Calabrese moderno, così come evidenziava Nietzsche: «Il vostro amore per il prossimo è il vostro cattivo amore per voi stessi. Voi fuggite verso il prossimo fuggendo voi stessi e di ciò vorreste fare una virtù: ma io leggo dentro il vostro ‘disinteresse’».

D’altronde è sotto gli occhi di tutti come, dopo migliaia di anni di storia, i problemi umani che il cristianesimo si trova ad affrontare oggi in Calabria  sono gli stessi con cui dovette fare i conti ai suoi inizi: lo stesso paganesimo scettico e gaudente dei più abbienti e la fame e la sete degli ultimi sempre più numerosi , il disfacimento della politica, gli scandali ricorrenti.

Forse occorrerebbe   immedesimarsi nella sensibilità, nella fede dei primi evangelizzatori di queste terre che con assoluta semplicità rendevano  ragione della speranza che era in loro.

Certo la storia della salvezza è qualcosa di talmente grande  che sarebbe riduttivo e sciocco  focalizzarla soltanto su una regione come la nostra, ma la domanda che ci interroga e ci apre anche alla speranza ritorna sempre insistente:  «Perché Dio si interessa ancora della Calabria e dei Calabresi ormai assuefatti a tutto, ormai capaci di scuotersi di dosso persino una scomunica contro il crimine organizzato? Perché ancora una volta vuole farsi uomo in un deserto spesso abbandonato dallo Stato e da tutti?» Una domanda   quasi sottesa in quella che Maria rivolge all’angelo: “Come avverrà questo?”. Al di là del rapporto affettivo con Giuseppe, ella sembra frastornata dall’annuncio di un Dio che ci  ama in maniera così folle. Questa nuova immagine di un Dio-Padre sconvolge ogni posizione fondata su un Dio esigente da adorare, ma anche da temere. Il Dio che si abbassa fino a lei, che si riteneva l’ultima delle creature, è un evento nuovo e salvifico che fa esplodere anche da queste parti la domanda del “Perché Dio si interessa all’uomo di Calabria?”.

Tentiamo tre ipotesi minime:

I IPOTESI

Riguarda il nostro umano, troppo umano, pensare. Dio si interesserebbe dell’uomo perché ha paura che lui sbagli e allora vuole dare direttive precise e sicure, perché non devii e non finisca nell’errore. In questa visione la fede sarebbe un insieme di regole e di leggi date da Dio una volta per sempre, perché l’uomo, nell’obbedienza a Lui, possa sviluppare se stesso e i suoi doni. Dio sarebbe paragonabile a un padre e a una madre che cospargono il cammino del figlio di divieti, in modo da evitargli inciampi e sofferenze. Certamente anche questo è un segno d’amore, ma forse di un amore che non fa realmente crescere la gente di Calabria, perché dovrebbe  essa  stessa darsi da fare per cogliere e scoprire, con l’esperienza e nel dialogo, ciò che la fa veramente sviluppare. Quello delle regole e delle leggi non è il Dio appassionato dell’uomo, quello che lo ama realmente.

Ma il “dio delle regole e delle leggi” è quello da cui nessuno si attende nulla, e non ha niente in comune con il Dio cristiano che si è manifestato a noi oltre due millenni addietro, e ancora è presente nella storia del mondo come in quella dei singoli uomini. Se la nascita di Cristo è una notizia che interessa la gente meno della sconfitta della squadra del cuore la colpa non è del denaro, del potere o della lussuria (come scriveva Eliot). Queste sono conseguenze non cause. Il fatto è che questa nascita non pare avere realtà nel presente, non raggiunge più l’uomo di oggi con lo stesso impatto umano con cui, 2018 anni fa, raggiunse, stupì e mise in cammino poveri pastori e ricchi magi. Anche e soprattutto da queste parti la riduzione di Cristo a favola o a gnosi menzognera avviene infatti tutte le volte che la comunicazione e l’annuncio si cristallizzano in formule che non toccano il cuore di nessuno e restano sommerse e rinchiuse nella stanza dei semplici addetti ai lavori, senza tentare almeno di raggiungere l’udito della  gente che resta  irrimediabilmente fuori.

II IPOTESI

Dio si interesserebbe ancora  dell’uomo  di Calabria perché lo considera grande e importante, perché ha stima di lui: «… di gloria e di onore lo hai coronato», recita il salmo. E allora Dio vuole accompagnarsi a lui non tanto per consegnargli leggi, ma per stimolare a sviluppare le sue capacità intellettive, affettive, fisiche, in modo che diventi “custode e coltivatore del mondo”. Non è forse chiamata anche la gente di Calabria  a essere custode di un’armonia sociale per la quale occorrono regole sempre nuove, sempre più adatte a far nascere una società  solidale? Molte religioni tendono a fare dell’uomo un dipendente, un passivo esecutore, mentre il Dio che aspettiamo ci vuole  autonomi, liber1, creativi, non soggetti alla  tentazione della nostalgia di un passato ormai troppo lontano che segna malinconicamente persino i canti natalizi dei tempi moderni. E in un contesto regionale  spappolato come il nostra tale scelta nostalgica assume, quasi inevitabilmente la forma di una fuga in un mondo irreale, molto distante dal realismo cattolico di Péguy: “Per sperare… bisogna essere molto felici, bisogna avere ottenuto, ricevuto una grande grazia. E quello che è facile è l’inclinazione a disperare, ed è una grande tentazione”. Non c’è nostalgia o idea che possa umanamente vincere tale tentazione. Occorre qualcosa di reale che si vede e si tocca. Che possa riempire il cuore di stupore e la mente e il corpo animati da uno spirito nuovo di rinascita anche sociale.

III IPOTESI

Si potrebbe addirittura  pensare che Dio voglia addirittura imparare dai Calabresi, eredi di una grande civiltà perduta: ardire di pensare questo, cioè che l’uomo può dare a Dio apporti e stimoli per crescere? Qui indubbiamente ci immergiamo nel mistero, però se riusciamo ad abbandonare l’idea filosofica di un essere perfettissimo e di un Dio statico e approdiamo a quella di un essere in continuo divenire, di un Dio vivo, allora certe ardite congetture non possono essere del tutto scartate. Forse non si è sufficientemente riflettuto su Maria «Madre di Dio» (la theotòkos tanto venerata da sempre su queste balze ricoperte dalla macchia mediterranea), su Maria che genera Dio. Egli assume non solo la carne umana, ma anche i sentimenti, i problemi, le gioie e i dolori dell’uomo. Questo non ha alcuna influenza sulla sua natura e sulla sua crescita?

Non vogliamo troppo insistere su questo aspetto che ci può disorientare, ma almeno possiamo dire che l’uomo, persino l’uomo di Calabria con tutte le sue superbie, i suoi limiti, le sue paure, è chiamato, come dice san Paolo, a completare Gesù. In che cosa consista questo «completamento» non ci è dato conoscere, ma possiamo almeno interrogarci e cercare di capire pure perché i più vicini all’incontro con Cristo sono quelli che non credono che la salvezza possa essere “opera delle loro mani”. Quelli che, magari ingenuamente si rendono testimoni dell’unica Storia interessante mai capitata in questo mondo e hanno la certezza che l’unico orientamento dello spirito, l’unico indirizzo dell’intelletto, della volontà e del cuore è verso Cristo, Redentore dell’uomo e del mondo, perché solo in lui c’è salvezza.

BUON NATALE!

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