GIOVANNI CONIA: ORAZIONE FUNEBRE PER L’ANNIVERSARIO DELLA MORTE DELL’ARCIPRETE ANDREA MUMOLI DI LIMBADI

Sul mensile Proposte di Nicotera, nel numero di novembre del 1989, avevo chiuso un mio articolo sull’abate Conia scrivendo che, la ricerca poteva continuare…

Ma, a dire il vero, non pensavo mai che, inaspettatamente, venisse fuori uno scritto totalmente sconosciuto anche ai più approfonditi studiosi del poeta galatrese: infatti, fino ad oggi, dell’abate Giovanni Conìa sono state pubblicate solo le poesie.

Per questo, mi considero fortunato di aver avuto la fortuna di far conoscere, grazie alla gentilezza della Signora Tina Mumoli-Martorana di Limbadi, l’elogio funebre che l’abate Conia, il 28 giugno 1817, quando era arciprete di Zungri, compose per l’anniversario della morte dell’Arciprete di Limbadi Don Andrea Mumoli.

E’ questo un documento di grande importanza, perché contribuisce a far conoscere, ancora di più e meglio, la vera dimensione culturale, oltre che oratoria, di Giovanni Conia.

Da parte mia, la curiosità che ha suscitato la figura dell’abate Conia, anche attraverso i miei scritti, è stata una soddisfazione abbondantemente ripagata, dall’aver contribuito a far conoscere più approfonditamente questo grande Poeta galatrese, perché a dispetto di quanto affermava il Creazzo, che “il Conia ha avuto la sfortuna di nascere in quel di Galatro perché li poco o nulla si apprezza”, penso che è stato anche merito dei galatresi aver fatto si che Giovanni Conia non fosse dimenticato, ma venisse conosciuto e apprezzato, non soltanto da pochi esperti.

E vi assicuro che questa, per un galatrese, è una soddisfazione non da poco….

AL SIG. D. GIOVAN-BATTISTA MUMOLI

Mio rispettabile amico

Eccovi dalla mano di un amico un dono che lungi dal rallegrarvi, in profonda tristezza v’immerge.

Mi comandaste di scrivere l’elogio funebre al vostro virtuosissimo Zio D. Andrea Mumoli di gloriosa memoria, già di questa vostra patria Arciprete. Il vostro cenno fu imponente per me.

Eccovi l’elogio. Non è qual conveniva al soggetto, nel quale lo bramavano i voti del vostro cuore; ma qual poteva pretendersi dalla piccolezza de’ miei talenti. Non mi querelo se dato non mi fu d’impiegarli, che in sì lugubre e desolante soggetto; poiché al vostro cuore tutto penetrato da sensibilità, e grata riconoscenza per le sagre ceneri di sì degno Zio, son dolci gli sguarci, che se gli riaprono, pria di essere ancora saldati, e preferisce a qualunque allegrezza il pascersi di sì giusto dolore.

Non credei confacente all’uopo la sublimità dello stile: non la tollerava l’interesse di farmi da tutti capire. Quanti ascoltar mi dovevano eran tutti in un quasi dritto di entrare a parte di quanti effetti destar poteva l’elogio, perché del profondo dolore avevan tutti partecipato: esser dunque doveva a portata dell’intelligenza di tutti.

Di una cosa forse potrete con qualche ragione dolervi: lo confesso pria che me ne incolpiate. Troppo sobrio, e moderato sono stato nelle lodi: potea dir molto, e mi sono limitato a sì poco. Ma contentarvi ch’io vi dica, esser ciò provenuto da delicat’avvedutezza. Ho voluto avvalermi di quelle verità, ch’erano nella buona cognizione di quanti vi ha Cittadini in Limbadi, e di quanti altri ebbero l’occasione di conoscere da vicino il vostro degnissimo Zio; onde non vi fosse chi attaccar potesse di menomo sospetto di caricat’affettazione l’elogio.

Del resto, qualunque sia questa inculta Orazione, a voi la presento, perché a voi è dovuta, sì per esser effetto dì un vostro comando; sì per rendervi testimonianza di quanto m’innamora la vostra riconoscenza verso uno Zio, a cui per altro dovete gran parte di quel che siete nel mondo morale, e letterario; sì finalmente perché voi siate l’ultima, più compiuta, e vivente dimostrazione della virtù del vostro Zio. Le scienze che vi decorano son frutto della di lui cura; ed il candore de’ vostri costumi, l’onestà, giustizia, lealtà, e tutte le virtù cristiane, e sociali che vi adornano, vi furono da lui trasmesse coll’educazione, ed esempio. A voi dunque si dovea la descrizione dell’originale, onde contemplars’in voi stesso la copia.

Finisco per non dar più travaglio alla vostra modestia. Gradite il picciol dono, quantunque per voi doloroso. Il Cielo mi dia l’occasione di occuparmi per voi in serviggj diametralmente opposti a quello che oggi vi rendo, acciò possa contestarvi con esultazione di spirito, che fui, sono, e sarò sempre.

Zungri 28. Giugno 1817.

Vostro sincero, e cordiale amico  GIOVANNI CONIA

ORAZIONE FUNEBRE

PER L’ANNIVERSARIO DELLA MORTE DEL FU MOLTO REVERENDO D. ANDREA MUMOLI, ARCIPRETE DI LIMBADI

Voca operarios, et redde illis mercedem. Matth. 20.

Qual nuovo aspetto oggi di se mi presenta la morte! Non è dessa dunque il sommo di tutt’i mali, se non per quegli Esseri esecrabili, dissonore dell’umana natura, e che non mai furon degni di esistere? Sensi fallaci, non più vi credo. Dileguatevi da me spaventose larve, fantasmi di terrore: non più vi renderò di nere apprensioni, di lagrime, e sospiri dispettoso tributo. Svanite pure geroglific’infausti, odiosi emblemi, cifre funeste d’immaginarj stami, di Parche che la pietà sconoscono, di falce capricciosa e crudele, dell’umana esistenza inesorabil nemica, giacchè una voce soave mi suona all’orecchio, profferita dalla bocca istessa di quell’Esser’eterno, di tutti gli esseri principio e fine, che con dolcissimi accenti comanda, che alla mercede si chiamino gli Operaj laboriosi, che all’ingionto travaglio attesero indefessi, e fedeli: Voca operarios, et redde illis mercedem. E se la mercede non rendesi all’uomo, che in quella nuova esistenza, che poggia sulle basi di eternità, sarebbe mai concepibile il caso, che ad altri, che alla morte, si dirigga l’incarico della giocosa chiamata? E qual Operajo mai rimase atterrito all’invito, che alla mercede lo chiama? Eh che non paventò sicuramente della morte all’aspetto quel zelantissimo Operajo evangelico, l’ultimo vostro vigilante Pastore D. Andrea Mumoli di religiosa memoria, del cui transito onorate con divota pietà l’anniversaria rimembranza, se coseio fu a se stesso dei devorati travagli nella qualità di Operajo, non già in senso univoco a  quel, che alla Comune de’ fedeli convenga, ma di Operajo, a cui vennero affidati li più preziosi divini tesori, il Sacerdozio, i Sagramenti, il Sagro deposito della dottrina, il ministero della parola, il governo delle anime.

Non fu di spavento per lui la morte, ma siccome non men piamente che fondatamente speriamo, fu una chiamata gioconda a carpire dalla munificenza del Principe de’ Pastori quella mercede, che non conosce fine, a cambiar con l’eterna la temporal esistenza, ed a riunirsi con quell’eterno principio, da cui era per creazione sortito, ed a cui da servo fedele, e prudente costituito sulla famiglia di Dio, aveva fedelmente servito. Vada lungi da me l’adulazione. Il fondamento di tanto sperare, pur troppo è reale, perché risultante dalle virtuose sue gesta, dalle quali non fo che andarlo sviluppando, come una conseguenza da’ suoi principj.

Incomincio.

Non è insussistente fondamento a sperar con sicurezza la mercede dal Rimunerator Divino, quello che poggia sulla coscienza delle opere, e regolarità della vita – Apoc. 14 -. Opera illorum sequuntur illos, volle registrato il divino Spirito dal fedele suo Segretario Giovanni; anteriormente al quale il Salmista avea scritto ancor Egli – Ps. 48. Anima ejus in vita ipsius benedicetur –.

Questi erano i riflessi su i quali consolar Agostino le sue profonde tristezze, qualor la madre perdette presso alle foci dei Tebro: – L.9. conf. Illa nec misere, nec omnino moriebatur -, rilevando siffatti presaggj dalla testimonianza delle opere virtuose da Lei praticate: hoc documentis morum ejus, et fide non ficta, rationibusque certis tenebamus. E perché non sarà lecito a noi presaggire con proporzionale analogia, sul medesimo raziocinio, un simile risultato pel virtuoso vostro defonto Arciprete, che alla virtù parve nato, alla pietà, alla giustizia, alla beneficenza? Di affettazione non incorrerò certamente la marca, quando voi stessi siete gl’irrefragabili testimoni di quella verità, che debbo sol rammentarvi, e delle quali i monumenti, e gli effetti tutt’ora esistenti, portano al grado di evidenza la sincerità della descrizione.

Tra voi nacque l’Arciprete Mumoli: qui respirò le prime aure vitali: sotto questo Cielo aperse alla luce le pupille nel 1763, anno che senz’errore affermano debbo fausto per voi; poiché siccome il nascere degli empj è un levarsi d’infausta cometa, che al danno dell’umanità, e viepiù della patria l’odioso corso dirigge, così il nascer de’ buoni, ed utili Cittadini è un sorgere di benefico pianeta comparso a diffondere sulla umanità vantaggiose influenze. Di esecrazione son objetto i natalizj de’ primi; di acclamazioni, e di festa quelli de secondi: de primi si vergogna la patria di riconoscerli per Cittadini, sono i secondi della patria l’onore: si vergogna Roma di aver dato i natali a Nerone; sette città della Grecia si disputano l’onore di averli dati ad Omero.

L’Arciprete Mumoli nacque per giovare all’umanità, e specialmente a questa sua patria, per illustrarla co’ suoi esempi, per istruirla colla sua dottrina, per guidarla co’ suoi consigli, per sostenerla colle sue liberalità, per felicitarla nello stato presente colle sue fatighe, e diriggerla alla felicità futura coll’infatigabile zelo. E non sarà per voi memorabile, e degno di registrarsi albo capillo il giorno della di lui nascita al mondo? Vi rammento quanto in lui vedeste, per eccitare alla di lui memoria i sentimenti della vostra più viva riconoscenza, ed acciò non si abbia per verbosa affettazione, ma per linguaggio d’inegabile fatto quanto di lui si afferma.

Lo vedeste sviluppato già dall’infanzia, rinchiudersi fin dall’adolescenza nel Venerabile Seminario di Nicotera, e continuare in esso fino al conseguito Sacerdozio la sua dimora. A che mai andavan dirette di una tal mossa le mire? Parte talvolta dalla patria un industrioso Cittadino, lusingato dal vasto progetto di migliorare di se, e del suol natìo la condizione; ed inebriato dalle gioconde idee, che formasi del futuro, al mare coraggiosamente si affida, e quivi la prora dirigge, ove di più ricche preziose merci la fama predica l’affluenza: non lo avvilisce la fatiga, non lo sgomenta il disaggio, le procelle, i perigli, finché onusto di tesori riconduce il naviglio alla patria, e fa di essa con la sua gloria, e profitto la ricchezza e l’abbondanza, sendo quivi dell’opulenza la sede, ove la mercatura, e ‘l commercio più vi fiorisce. Ma quanto più utili si rendono a se ed alla patria quei ben nati, che non di corruttibili merci le recano il commercio, ma di edificanti cognizioni di utili lumi, e di sana morale la forniscono!

Gira l’Oriente Girolamo, e ritorna un luminare del mondo, e primario interprete de’ divini oracoli: ritorna Martino dalla Scuola d’Ilario in Poitiers, ed è del Turonese l’Apostolo: da quella d’Origene in Alessandria ritorna il Taumaturgo Gregorio, ed illumina la patria, la toglie dall’errore, e la salva.

Ecco, Limbadi, le merci preziose, delle quali onusto a te dal Seminario fece ritorno il tuo Cittadino. Succhiò qual Gedeonico vello in quel ritiro la ruggiada preziosa della dottrina: attinse delle belle lettere, e delle filosofiche cognizioni quant’era d’uopo per rendere vasto, e capace l’intelletto; ma nelle Scienze omologhe alla sublime sua vocazione, qui il vello interamente s’immerse: le teologiche discipline, i Sagri Canoni, l’istoria della Chiesa, i Concilj, le biblioteche dedicabili, e quel Sagrosanto venerando Codice, che libro Sacerdotale del massimo tra i DD. Ep. ad Nepot. venne chiamato nell’istruzion di Nepoziano furono l’assorbente della sua indefessa infatigabile attenzione: se ne compiacevano i Maestri, e tra di se giubilavano: esultavano i Superiori ravvisando in quell’indole, in quei talenti, in quella illuminata applicazione, le nascenti speranze di questa sua, e vostra fortunata patria.

Andarono forse fallite le loro speranze? Quì voi stessi, che giudicar dovete sulla veracità dell’elogio, siete gl’irrefragabili testimoni: alla vostra memoria io mi appello. Rammentate quanto di edificazione da lui traeste, dall’epoca del suo ritorno fra voi: rammentate la sua conversazione, i portamenti, l’onestà; l’illibatezza: rammentate la di lui massiccia pietà verso Dio, la giustizia, e carità verso voi, la mansuetudine, la prudenza, la irreprensibilità di sua vita, la sua pazienza nelle avversità, la carità nell’istruire gl’ignoranti, l’interesse a sterminar le discordie, gl’impegni a conservare la pace; rammentate la gravità de’ suoi discorsi, gli effetti de’ suoi consigli, la toccante divozione all’altare, l’assiduità al Confessionale, il frutto di sua predicazione, anche pria che della pastoral vostra cura impreso avesse a regger le redini, ma non perché Pastore ancor non era, credette mai che di Salvatori l’officio non fosse ingenito nel semplice Sacerdozio ancora, e nell’idea del medesimo essenzialmente contenuto: rammentate soprattutto quell’anno fatale in cui si scossero le fondamenta del mondo, e crollarono vittima dell’orribil flagello i villaggi, le terre, le città, e fino distaccaronsi delle loro basi l’istesse montagne, e dite pure se un Apostolo vi pare di aver fra voi, con quanto ardore incessantemente tuonava per allontanarvi dal vizio, e così sottrarvi al crudele flagello.

Ma quell’adorabile Providenza, che il tutto regge, e governa, del cui sguardo nulla sfugge, il cui braccio tutto può, di cui efficacia è il volere, che dall’uno all’altro fine con man forte perviene, Sap. 8. quantunque le cose soavemente disponga altri disegni avea su di lui ne’ piani di sua eterna sapienza. Ad un operajo sì utile affidar volea di questa porzione del Cattolic’ovile la cura, lo volea Sposo di questa Chiesa, e di questa greggia Pastore. Oh Dio! qual delicato periglioso ministero  egli è l’entrare nella Chiesestica Gerarchia, ed esercitare nella Chiesa un Sagro ordinario principato! Oh qual geloso deposito egli è quello delle anime, delle quali sì grande, e peregrino è il valore, che non soltanto per esse fu creato il Cielo, e la terra, ma dal Cielo alla terra disceso l’Altissimo Divin Verbo, versò dalle auguste vene l’infinito tesoro, del suo sangue! le nobili conquiste! le care figlie! le spose dilette di un Dio fatt’uomo!

E pure, penetrato dalla carità, inebriato di zelo, avido di fatighe, non si sottrae Mumoli dal sottoporre le spalle a sì formidabile peso, e quanto il peso è maggiore, tanto più di attuosità si attira da quel Dio, ch’è tutta la nostra virtù per sostenerlo. Eccolo quindi qual buon Pastore, dimentico d’ogn’altro suo vantaggio, e fin della sua sanità, e di se stesso ancora, tutto addetto e consagrato alla salute delle sue pecorelle dilette. Orazione, studio, confessionile, ed altare, tutto il suo tempo alternativamente divideno: chiunque lo chiegga, in una di queste alternazioni sicuramente il rinviene, onde risponder gli possa coi detti dell’istesso Principale divino: Lec.2. nasciebatis quia in his, quae Patria mei sunt, oportet ma esse.

Vogliono, uditori, le leggi di buona critica, che dubbio cader non possa sulla varietà di quei fatti, de’ quali esistono ancora validi monumenti, e patenti affetti. Questi sono pur troppo parlanti, ed irrefragabili a dimostrare l’indefessa cura del vostro grande Operajo, e formano di lui l’elogio, e la gloria. Ove mai, Uditori, ove rinvenir si potrebbe popolazione meglio istruita negli arcani della fede, nello spirito della legge, nella forza de’ Sagramenti, nelle disposizioni a riceverle, nel discernimento de’ peccati, nel valore della grazia, nell’economia dell’Incarnazione, nel mistero dell’augusta sempiterna Triade, di quel ch’è la popolazione di Limbadi? Ah perché non sorge redivivo quel zelantissimo Prelato di santa memoria, che fu l’ultimo a governare questa Diocesi, a contestarci l’esaltazione, che gli inebriava lo spirito, quando nella S. Visita ritrovava quanti fanciulli, potrei dir, tanti Teologi! Ma se lui non viene a contestarlo, voi vivete a dimostrarlo col fatto a chiunque invogliato ne fosse di farne sperienza. Oh Arciprete Mumoli! tu più non vivi, ma vivono le tue fatighe, vivono gli effetti delle tue istruzioni, la tua pastoral sollecitudine ne’ tuoi allievi si ammira.

Poveri, a voi tocca adesso di continuare il mesto elogio. Ov’è il vostro padre; il curatore amoroso, l’insigne benefattore? Il vostro Provveditore fu egli, il Cassiere, l’erario per le comuni indigenze; e se nello scorso anno non infierì la morte su gl’indigenti di questo Comune nella terribil penuria di tormenti, ben lo sapete, se ne deve mercè alla profundissima liberalità del vostro Arciprete, che tutta esaurì la forza, per commisurarsi alla gravità del bisogno. Donzelle bisognose, e voi tacete? vi provvide finchè visse, per dare nella sua carità un asilo alla vostra innocenza, e non vi oblìo nella morte, se considerate foste paternamente nel suo testamento. Tribolati parlate: trovaste in lui il consolatore, ed il rimedio ancora nelle vostre afflizioni? Peccatori, non trovaste voi nel vostro caritatevole Pastore un punto di appoggio alle vostre semivive speranze? Giusti, non aveste in lui la guida fedele al sicuro porto di salute? O Dio! qual operajo fu mai questo! mi par di ravvisare in lui lo Spirito del Santo Pastor di Ginevra, in offic.  Fosti omnibus omnia factus. Servì qual altro Giobbe di occhio al cieco, di piede allo zoppo, di padre al povero, Job. 19,  di tutore al pupillo, di difensore all’innocente, di sostegno al debole, di sprone al pigro, omnibus omnia factus; e con tanto successo, che se il mostro della discordia ardiva introdursi nel suo Ovile, l’angelo della pace compariva tosto nella persona del Pastore, di cui con la voce sola si vedeva operante, ma quel ch’è un testimoniale gloriosissimo alla sua veneranda memoria, bastava a ricondurre la calma la sola presenza.

E di un operajo sì utile, ed indefesso voi chiamereste morte la morte?

Tale senza dubbio non la credette l’istesso glorioso Defunto, e ben chiari ne diede li segni. Oh come trasparisce nel volto lo stato del cuore nel procinto di effettuare dal tempo all’eternità l’inevitabil passaggio! Si legge in volto all’empio il rimorso, lo spavento, il terrore, e quel disprezzo amato, con cui, suo malgrado, parte dal mondo; ma in volto al giusto trasparisce la tranquillità dello spirito, la pace del cuore; la calma della coscienza, segnali non equivoci, che la morte non ha del sommo Padrone altro incarico per li giusti, che d’invitarli alla mercede: voca operarios, et redde illis mercedem.

Popolo ti consola; e voi degni congionti di un tanto Arciprete, asciugate il ciglio una volta. Vi sovvenga della promessa fatta ai suoi dall’Apostolo Pietro mentre vivea, – 2 Pietro c. 1. – di ricordarsi di loro quando giunto sarebbe al divin cospetto. Vi rammento delle teologiche dottrine, che tra le secondarie felicità dei Beati, quella ancor si comprende di contempl

are nel Verbo quanto alle proprie famiglie, popolo, ed esercitati  ministerj ha rapporto, o sarà per averlo negli stati futuri, coll’onore di un dritto, e deputazione speciale ad intercedere per tali objetti. Il fondamento di sperare che altrettanto sia innistato di fare per voi il vostro Arciprete, poggia su di salde ragioni. Sperate dunque, e se alla sua nota indole proporzionar volete le vostre affezioni, volgetevi agli esempj domestici, che sono l’eredità più preziosa che vi ha lasciato.

Così vi sarà sempre presente, con vostro profitto il vostro degno Arciprete D. Andrea Mumoli; ed il volger de’ secoli non potrà impedire, che di voi, e de’ vostri tardi nepoti, la di lui vita sia norma, le virtù continua scuola, la memoria in perenne benedizione.

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