I MAGI E L’EPIFANIA DEL REDENTORE
Oggi 6 gennaio è il giorno dell’Epifania di Nostro Signore. L’anno scorso sono stato invitato nella Cattedrale di Nicotera ad un convegno su “I Magi e l’Epifania del Redentore”: sono stato il relatore insieme al caro amico, arciprete della Cattedrale di Nicotera, don Francesco Vardè. Buona parte del mio intervento l’ho tenuto “a braccio”, ma avevo preparato degli appunti che, proprio nella ricorrenza liturgica odierna, mi piace riprendere.
I MAGI E L’EPIFANIA DEL REDENTORE
NICOTERA – CATTEDRALE
DOMENICA 17 GENNAIO 2016
Anche questo Natale è passato alla svelta, nonostante le sensazioni che si provano quando vengono tirati fuori dalle scatole i personaggi del presepe. E ogni anno che passa l’impressione crescente è che tornino per l’ultima volta: l’indifferenza in cui è stata relegata la nascita di Gesù Cristo sembra, sempre di più, una faccenda lontana, lontanissima dalla vita di tutti. Anche di fronte al presepio nei più anziani si rinnova, forse, un attimo di sincera nostalgia, legata al ricordo di facce e luoghi lontani: i genitori, il paese, le persone care che non ci sono più. Ma nei più l’immagine di quella grotta non riesce ad evocare, ormai, neppure il sussulto fragilissimo dei buoni propositi, dei buoni sentimenti. In tanti si vergognano pure del presepe allestito in casa e cercano il capro espiatorio per minimizzare: “Sa, i bambini… e poi la nonna che ci tiene“, sottintendendo in quello scaricabarile una forma di arteriosclerosi a sfondo religioso o comunque qualcosa d’antiquato. E non voglio entrare nel merito della “scientifica” eliminazione del presepe in tante scuole… purtroppo anche in qualche Chiesa… più o meno la stessa solfa che abbiamo più volte sentito per il Crocifisso.
Nonostante questo, l’assimilazione “Natale uguale presepe” resiste, ancora, in maniera radicale nella tradizione dei nostri paesi, si perde nel buio dei tempi: in tanti paesi c’è come una sensazione di “respirare un’aria antica” nel vedere tante persone, con un’abilità stupefacente, dare vita ad un mondo fiabesco fatto dalle piccole luci multicolori dei presepi, dalla policromia dei personaggi, dai variegati paesaggi… Non credo che vi sia nella storia dell’arte cristiana un “avvenimento” che abbia avuto più riproduzioni plastiche o pittoriche di quello della nascita di Gesù a Betlemme, anche se, spesso, non si riesce a superare la soglia di un compiacimento estetico o sentimentale, perché, impregnati di tanto paganesimo che abbiamo intorno, rischia di venire meno la consapevolezza dei segni che la tradizione e la storia ci hanno consegnato. Per questo, non possiamo non domandarci quale grande mistero nasconde il presepio dietro le sue figure? Perché i Magi, i Pastori, il Bue, l’Asino, la Mangiatoia.
Parliamo quindi del presepio: o meglio, di alcuni suoi protagonisti di alto rango. Oggi, in questo incontro, mi è stato chiesto di illustrare la figura dei “re” magi… del loro misterioso cammino e del segno che hanno visto in cielo e del quale si sono fidati.
La parola Magi sembra indicare una origine persiana. I persiani infatti si trovavano a Oriente rispetto alla Giudea e il nome Magi era dato ai sacerdoti della loro religione. La questione però non è semplice. Se fossero arrivati dall’Oriente, come indica il Vangelo, i Magi avrebbero portato in dono delle sete, merce preziosa e tipica della Persia. Al contrario, incenso, mirra e oro, e profonda conoscenza biblica, fanno piuttosto pensare che i Magi fossero dotti ebrei provenienti dall’Arabia, forse discendenti di Salomone e della regina di Saba… tante cose sono ancora avvolte nel mistero, anche per gli studiosi più attenti alla storia dei Magi.
Una tradizione ormai consolidata, li vuole differenti di età, di solito un vegliardo in vesti regali di tipo grosso modo europee (corona d’oro, manto foderato d’ermellino), un uomo maturo e vigoroso in abiti fastosi ma grosso modo orientali (l’iconografia tradizionale, dal Cinquecento in poi, lo abbiglia in modo imprecisato, fra il turco e l’indiano) e un giovane negro, anch’egli vestito all’orientale. Con molte variabili affidate alla fantasia, anche le brutte figurine di plastica che si acquistano nei supermercati rispondono ormai a queste caratteristiche. Ma a quando risalgono in questa forma? Dei Magi si sa poco: eppure quel poco è sconvolgente. Tra gli evangelisti canonici, solo Matteo ne parla brevemente: Ma non ci dice né da dove provenivano (giunsero… dall’Oriente), né quanti erano, né come si chiamavano. Ci parla dei doni che recarono al Bambino, ma non è chiaro nemmeno sulla loro identità: erano sacerdoti oppure semplici astrologi…?
Comunque sulla scia di Matteo non solo gli apocrifi, ma una quantità di testi narrativi o allegorici, orientali e poi anche occidentali, fra il III e XI secolo s’impadronì degli enigmatici saggi orientali, che presto vennero codificati nei loro nomi, nel loro numero di tre nei loro rispettivi paesi di origine dalla Persia, all’India, all’Etiopia, all’Arabia, nel significato allegorico della loro età, del colore delle loro vesti, dei doni che ciascuno di essi recava, della stella che li accompagnava. Il racconto di Matteo che riguarda i Magi è sobrio, sebbene non privo di colpi di scena ed è tutt’altro che fiabesco, anche se la tradizione artistica e popolare successiva si è lasciata conquistare dalle sue componenti narrative. La fantasia pirotecnica degli apocrifi e delle tradizioni popolari, scontenta della sobrietà dei dati offerti dal Vangelo di Matteo, non si è fermata qui ma si è gettata con entusiasmo alla ricerca (e spesso all’invenzione) di scene pittoresche… fissando l’attenzione soprattutto sulla stella: “Abbiamo visto una stella grandissima che splendeva tra tutte le altre stelle e le oscurava tanto che le stelle non apparivano più. La stella poi si è arrestata proprio in cima alla grotta“.
Non siamo quindi in presenza di una novella dolcissima per piccoli, quanto piuttosto davanti ad una vera e propria sintesi cristologica… dobbiamo, perciò, guardare con piacere la superficie colorata del racconto ma dobbiamo anche superarla alla ricerca del significato ultimo sotteso: un modo errato di leggere questa pagina è di perdere di vista il Cristo e di lasciarci conquistare solo dai Magi. Certo, i Magi sono attori importanti nel racconto della nascita di Gesù Cristo, come lo è la “loro” stella, ma essi non sono i protagonisti. La loro è la storia di un viaggio rischioso sul modello di quello di Abramo che “partì senza sapere dove sarebbe andato”. Alcuni studiosi hanno sottolineato che al mito di Ulisse che ritorna ad Itaca, al quieto vivere familiare, al passato nostalgico, nella Bibbia si oppone la storia di Abramo e dei Magi che lasciano la loro patria per una terra e una famiglia ignota.
La traslazione da Milano a Colonia delle loro supposte reliquie attorno al 1165 (sulla data esiste qualche incertezza) ravvivò l’interesse della cristianità occidentale per quelli che erano anzitutto “re” (la prima loro qualificazione regale risale ad una osservazione esegetica di Tertulliano); ancora, la conquista mongola dell’asia nel XIII secolo li riportò alla ribalta perché tra i Mongoli vi erano comunità nestoriane che per loro avevano una venerazione speciale. Molti i significati loro correntemente attribuiti: le tre “razze” umane sorte dai figli di Noè, i rappresentanti dei tre continenti del Vecchi mondo, la Trinità…
Finalità simboliche riscontriamo anche nelle figure dei Magi e dei Pastori. I Magi dell’Oriente, condotti da una stella ad adorare “il neonato re dei Giudei“, hanno un chiaro simbolismo di chiamata universale alla salvezza. Loro sono la figura della vocazione dei Gentili. I Pastori di Betlemme, ai quali gli angeli annunciano la nascita del Messia Salvatore, sono un simbolo della chiamata dei Giudei. Infatti dice Sant’Agostino: “Dalla stessa culla della sua nascita, si manifestò Cristo a coloro che erano vicini e a coloro che si trovavano lontani: ai Giudei nei vicini pastori, ai Gentili nei Magi lontani“. Traendo spunto da questa esegesi dei Padri, l’iconografia cristiana forgiò altri simboli ecclesiali: i Magi, provenienti dalla Gentilità, ed i Pastori, provenienti dal popolo d’Israele, acquistarono nell’arte primitiva lo stesso simbolismo dell’Asino e del Bue. Così, intorno alla metà del IV secolo, sorge un nuovo schema natalizio, in cui, oltre al bue e all’asino sono presenti i Pastori ed i Magi: infatti, i Magi ed i Pastori verificavano così, nella realtà della storia, ciò che l’asino ed il bue prefiguravano a livello di profezie. Coi Pastori di Luca ed i Magi di Matteo, con l’asino e il bue di Isaia e Abacuc, gli antichi artisti cristiani hanno quindi creato un’impressionante immagine del presepio, che è simbolo riuscito della Chiesa radunata presso la culla del Signore: quella che viene dai Giudei, ma che viene pure dalla Gentilità. In questa ottica si vede che l’interesse degli antichi per la scena di Betlemme non è sentimentale ed il presepio si presenta come una cifra dogmatica: il Figlio di Dio, messo a giacere nella mangiatoia, diventa così, persino figurativamente, asse e centro della storia salvifica di tutti gli uomini.
Benedetto XVI, anni addietro in un discorso del suo viaggio a Colonia, ha detto: “Con questo impegno siamo qui a Colonia, pellegrini sulle orme dei Magi. Secondo la tradizione, i loro nomi in lingua greca erano Melchiorre, Gaspare e Baldassarre. Nel suo Vangelo, Matteo riporta la domanda che ardeva nel cuore dei Magi: “Dov’è il Re dei Giudei che è nato?”. La ricerca di Lui era il motivo per cui avevano affrontato il lungo viaggio fino a Gerusalemme. Per questo avevano sopportato fatiche e privazioni senza cedere allo scoraggiamento e alla tentazione di ritornare sui loro passi. Ora che erano vicini alla meta, non avevano da porre altra domanda che questa. Anche noi siamo venuti a Colonia perché sentivamo urgere nel cuore, sebbene in forma diversa, la stessa domanda che spingeva gli uomini dall’Oriente a mettersi in cammino. È vero che noi oggi non cerchiamo più un re; ma siamo preoccupati per la condizione del mondo e domandiamo: Dove trovo i criteri per la mia vita, dove i criteri per collaborare in modo responsabile all’edificazione del presente e del futuro del nostro mondo? Di chi posso fidarmi – a chi affidarmi? Dov’è Colui che può offrirmi la risposta appagante per le attese del cuore? Porre simili domande significa innanzi tutto riconoscere che il cammino non è concluso fino a quando non si è incontrato Colui che ha il potere di instaurare quel Regno universale di giustizia e di pace a cui gli uomini aspirano”. Importanti ed essenziali queste parole di Benedetto XVI per entrare nel cuore del significato della storia dei Magi. Quando all’orizzonte dell’esistenza tale risposta si profila bisogna, cari amici, saper fare le scelte necessarie. È come quando ci si trova ad un bivio: quale strada prendere? Quella suggerita dalle passioni o quella indicata dalla stella che brilla nella coscienza? I Magi, udita la risposta: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta” scelsero di continuare la strada e di andare fino in fondo, illuminati da questa parola. Da Gerusalemme andarono a Betlemme, ossia dalla parola che indicava loro dov’era il Re dei Giudei che stavano cercando. Possiamo immaginare lo stupore dei Magi davanti al Bambino in fasce! Solo la fede permise loro di riconoscere nei tratti di quel bambino il Re che cercavano, il Dio verso il quale la stella li aveva orientati. In Lui, colmando il fossato esistente tra il finito e l’infinito, tra il visibile e l’invisibile, l’Eterno è entrato nel tempo, il Mistero si è fatto conoscere consegnandosi a noi nelle membra fragili di un piccolo bambino. “I Magi sono pieni di stupore davanti a ciò che vedono; il cielo sulla terra e la terra nel cielo; l’uomo in Dio e Dio nell’uomo; vedono racchiuso in un piccolissimo corpo chi non può essere contenuto da tutto il mondo”.
E anche per noi che ci troviamo a vivere dopo più di 2000 anni dalla nascita di Cristo, non possiamo ancora oggi, soprattutto in incontri come questo nostro, non domandarci: ma chi erano, che genere di uomini erano quei tre re, che inseguirono una stella? Non erano maghi o astrologhi che almanaccassero il futuro dalla lettura del cielo, ma erano uomini in ricerca: uomini certi che «nella creazione esiste quella che potremmo definire la “firma” di Dio, una firma che l’uomo può tentare di scoprire e decifrare». Uomini sanamente inquieti, dunque, e non paghi della immediata apparenza delle cose; convinti che dietro questa apparenza, come in filigrana, stia un disegno, e non un caso. Certi che il Creatore può essere intravisto nel creato; e attenti, alacri, tenacemente in cammino dietro a ciò che intuivano esserne l’orma. Ti immagini quei tre in marcia da lontano, per montagne e deserti, in silenzio; forse di giorno incerti, quando il sole alto sembrava negare la realtà di ciò che andavano inseguendo; rinfrancati al tramonto nel ritrovare la loro stella, lucente nell’immenso cielo dell’Asia.
Ma, in cosa ci riguardano quei remoti sapienti incamminati verso un evento ignoto, tracciato nella trama delle Scritture ma misterioso e nascosto, tanto che i più degli uomini non se ne sarebbero accorti? Quegli uomini cercavano le tracce di Dio, «con gli occhi profondi della ragione alla ricerca del senso ultimo della realtà». Ciò che dovremmo fare noi; ciò che siamo stati disabituati a fare da un positivismo di cui siamo inconsapevolmente intrisi, per cui realtà è solo ciò che possiamo scientificamente misurare, sezionare, scomporre. Cosa sarebbe stata quella stella, in questa logica puramente scientista? Un fenomeno astronomico comunque analizzabile nella sua natura, e archiviabile. Nient’altro: ignorata la profonda natura di “segno”, e nessuno in cammino verso quella grotta.
I Magi, nel loro incerto andare, si rivolgono a Erode; e quello è preso dallo sgomento, all’idea di un re più potente di lui. Quel bambino va dunque soppresso, per restare il padrone del mondo. Ma non c’è forse qualcosa di Erode anche in noi?… Noi «ciechi davanti ai suoi segni, perché pensiamo che non ci permetta di disporre della esistenza a nostro piacimento». Già, c’è un che di noi in Erode, il potente che sussulta al sentire della stella, e si affanna a annientare ciò di cui quella stella è segno. Ammettere Dio e un suo disegno riconoscibile nel creato, non è forse il detestabile limite alla totale autonomia dell’uomo, non è la lotta di una modernità che si pretende libera e completamente artefice del suo destino? Ma quei tre, tenaci a inseguire, per tenebre e deserti, il segno. Certi, come per un’originaria memoria, che un Dio ha lasciato la sua firma nell’universo. Nelle stelle e anche nella umile quotidianità con cui ci si palesa la natura, il corso delle stagioni e della vita. La natura che, come disse san Tommaso, è “arte divina insita nelle cose”: per cui la materia, che non ha conoscenza, tende a raggiungere ciò che è vitale non per caso, ma come la freccia lanciata da uno sconosciuto arciere. Un disegno dunque anche dietro le gemme dure e chiuse che spunteranno dai rami nel gelo di febbraio. Trama che non sappiamo più riconoscere, perché l’orgoglio della modernità misura, analizza, seziona ma non ammette che le cose celino in sé una firma che rimandino ad altro, “ad un Altro”. E quei tre Magi dunque così remoti, nel loro faticoso assurdo inseguire per notti e deserti una stella; così vicini, nella domanda che spesso non ascoltiamo eppure preme in noi, inesorabile, come scritta dentro.
Resta, comunque, intatto il fascino di questa attesa di un Bambino “Salvatore e Redentore“. La processione dei Magi, che ha come approdo l’illuminazione della fede (“Videro il Bambino con Maria sua madre e, prostratisi, lo adorarono“, annota Matteo), diventa così un emblema che riassume in sé la speranza di un incontro di salvezza al termine del lungo cammino della ricerca, sostenuta dalla rivelazione cosmica della stella, una rivelazione a tutti aperta. Nel cristianesimo l’Epifania è la festa liturgica che celebra l’adorazione di Gesù da parte dei Magi, a Betlemme. Parola di origine greca (epiphaneia, festa) mediata dal tardo latino epiphania (che vuol dire festa dell’apparizione), ha assunto il significato di manifestazione della divinità o, più precisamente, della manifestazione del Dio ai Gentili, cioè a tutti i popoli della terra. Nel ricordo dei doni offerti a Gesù, si distribuiscono regali che si dicono portati dalla Befana.
I Magi diventano l’espressione della ricerca umana che ha, però, all’origine una decisione iniziale di Dio che entra per primo nelle strade del mondo, anzi, nella “carne” stessa dell’umanità… E’ stato sostenuto che “non è vero che il ricercatore insegua la verità. È la verità che insegue il ricercatore“. A mettersi sulle nostre vie per primo è Dio stesso che, con la stella della sua verità, spinge i Magi e tutti coloro che non chiudono gli occhi o si distraggono nella superficialità a contemplare quella luce.
Concludendo mi auguro che con questo mio intervento possa avere contribuito almeno a suscitare in qualcuno di voi la curiosità, almeno di domandarsi, che cosa ha potuto spingere i magi a muoversi e lasciare le loro comodità e i loro studi per seguire un segno che li avrebbe portato a sfidare l’ignoto per qualcosa che dentro di loro sentivano di non poter sottovalutare… era tutto il creato che evidenziava che stava accadendo qualcosa di straordinario… e delle menti eccelse ne hanno colto il segno.
Se, invece, con questo mio intervento, sono solo riuscito ad annoiarvi… facendo mie le parole del Manzoni, vi chiedo scusa… e vi assicuro che non l’ho fatto apposta…!
Grazie…