LA “PRETESA” DEL CRISTIANESIMO… OVVERO CHE COS’E’ IL CRISTIANESIMO

Con l’inizio di questo nuovo anno, nel giorno di vigilia dell’Epifania, mi piace pubblicare uno scritto che, da almeno trent’anni, rileggo in continuazione, riconoscendomi in tutto ciò che contiene: cioè che il cristianesimo non è una religione, ma un avvenimento, un fatto. Se non capite non posso darvi torto. Se pensate di avere compreso ma vi sembra una sciocchezza non vi rimprovererò. Se siete d’accordo, almeno in parte, ma in fondo non vi dice molto non vi stresserò oltre. Perché, dopo trent’anni, quella frase l’ho capita bene solo da poco tempo. Io sono sempre stato considerato (non da tutti, per fortuna!) un “intellettualoide”. E meno male che ho una buona dose di intuito e di fantasia, o sarei ancora più insopportabile. Spesso credo di avere capito, mi compiaccio dei miei ragionamenti. E magari ho veramente capito, nella mia maniera astratta. La mia fortuna è vivere con gusto, talvolta anche senza avere capito cosa vivo. Rileggendo alcuni brani ho avuto all’improvviso l’illuminazione. Ho capito il senso vero, cosa si intende con “fatto, avvenimento”. E subito ho pensato: “accidenti, devo subito scriverlo, devo subito spiegarlo, trovare parole adatte perché tutti possano capire, che non succeda a loro come accadeva a me”. E dopo un po’ mi sono trovato alle prese con le stesse solite parole, con gli stessi soliti esempi, incapace pure io di quella parola che possa aprire gli occhi del cuore. Perché… Nec lingua valet dicere nec littera exprimere quid sit Jesu diligere (non c’è parola scritta o parlata che possa dire cosa sia trovare gioia in Gesù). E, credetimi, è vero. Per capirlo bisogna che accada. E’ un’esperienza, la più grande esperienza possibile, la sola che davvero valga la pena. E’ l’unica cosa che posso dirvi ancora: fate sì che accada a voi.

Un aiuto a stimolare che questo accada anche a voi può venire dalla lettura di un vecchio editoriale della “Civiltà cattolica”, che ha ribadito come il cristianesimo è un Evento irriducibile a dottrina o anche a una religione fra le tante… vale la pena riproporlo, in questo inizio d’anno, per i lettori della mia pagina.

LA “PRETESA” DEL CRISTIANESIMO

Succede che si parli di cristianesimo, quando di questo c’è l’apparenza, ma non la sostanza. Capita anche che il cristianesimo si riduca ad un fatto “culturale” e si scarti da esso quanto c’è di propriamente “religioso”, per cui da una parte si dice di non essere “cristiani”, ma dall’altra si afferma di “non poter non dirsi cristiani”. Che cos’è, dunque, il cristianesimo e come si deve definire il cristiano?

Quando si parla di cristianesimo, generalmente lo si qualifica come “religione”, come una religione fra le altre. Ora, propriamente parlando – ci mettiamo evidentemente dal punto di vista del cristianesimo e della “comprensione” che esso ha di se stesso – il cristianesimo non è una religione. Certamente, esso si esprime e s’incarna in forme religiose – la preghiera in tutte le sue forme, il sacrificio, il culto, l’espiazione, le opere buone – ma il contenuto e il significato di tali forme religiose sono non solo profondamente diversi da quelli di tutte le altre religioni storiche, ma anche tali che quelle forme religiose non sono in grado né di contenerli né di esprimerli se non in misura modesta e per molti aspetti, anche essenziali, carente (…). La religione è un fatto “umano”, in quanto è opera dell’uomo. Si tratta, certamente, di un’opera in cui l’uomo esprime il meglio di se stesso, le sue aspirazioni più alte e i suoi bisogni più profondi; in cui cerca la risposta ai suoi più difficili interrogativi – quelli che riguardano il senso della vita – e l’alleviamento dei suoi dolori, delle sue ansie e delle sue angosce e paure; ma è sempre un’opera “umana”.

Nel cristianesimo l’iniziativa non è dell’uomo, ma di Dio: è Dio, infatti, che si rivela all’uomo e gli fa conoscere il proprio essere e il proprio agire, che per l’uomo è un mistero assolutamente insondabile e inaccessibile; è Dio che viene incontro all’uomo e scende fino a lui, non l’uomo che va incontro a Dio e sale fino a lui; è Dio che con la sua grazia libera l’uomo dal suo male radicale e lo salva, non l’uomo che si libera dal peccato con le sue forze; è Dio che insegna all’uomo che deve pregare, che gli dà la possibilità di offrire l’unico sacrificio a Lui gradito, che gli offre la partecipazione al suo regno e gli indica la via per giungervi (…). Il cristianesimo è la religione del Dio fatto uomo, ed è proprio questo carattere che lo differenzia da tutte le altre religioni in maniera totale. Ma questo carattere ne mette in rilievo un altro, anch’esso specifico del cristianesimo. Dire infatti che esso è la religione del Dio fatto uomo significa dire che il centro e l’essenza del cristianesimo è la persona di Gesù di Nazareth; che quello che nel cristianesimo conta e in forza del quale tutto ha senso e valore è Gesù Cristo. In altre parole, il cristianesimo non è principalmente e primariamente una dottrina e una morale, cioè un insieme coerente di verità religiose da accogliere con l’intelligenza e di norme morali da seguire per agire correttamente e in tal modo essere nella verità e agire con rettitudine, ma è principalmente e primariamente una persona concreta, storica, la persona di Gesù Cristo (…). E’ perciò errato porre il cristianesimo, come si fa da taluni storici delle religioni, tra le “religioni del Libro” (…).

Il cristianesimo è nel suo nucleo essenziale, una persona storica, che è vissuta al tempo di Augusto e di Tiberio, è stata crocifissa sotto Ponzio Pilato e oggi vive nella gloria della Resurrezione. Questo esclude che esso possa essere ridotto a una filosofia o a una forma di gnosi. Il tentativo di ridurlo a una gnosi è stato fatto nei primi secoli della sua storia; ma tale tentativo è stato combattuto con estrema decisione, perché lo snaturava radicalmente, riducendo Gesù a una delle tante manifestazioni atemporali del Divino e negando quindi il realismo storico dell’Incarnazione e, in particolare, affermando che la salvezza è data non dalla fede e dalla grazia, bensì dalla “conoscenza” (gnosi) (…). Se ridurre il cristianesimo a “gnosi” è snaturarlo, allo stesso risultato porta il ridurre il cristianesimo a “morale”, a un insieme cioè di precetti morali e di norme di comportamento, a una specie di stoicismo o di kantismo “per il popolo”. Non che il cristianesimo non comporti una morale e non proponga valori etici; ma quella e questi hanno il loro fondamento ultimo in Gesù Cristo e da Lui ricevono quello che hanno di propriamente e specificamente “cristiano”.

Non c’è dubbio che la morale cristiana assuma la morale naturale, che è comune a tutti gli uomini, la purifica dalle sue scorie, la rafforza nei suoi fondamenti e ne estende il campo di applicazione. Quest’assunzione della morale naturale da parte del cristiano gli permette di collaborare con persone di diverso indirizzo ideologico e religioso per l’attuazione di valori morali “comuni”. Ma egli non deve dimenticare il carattere cristologico della morale cristiana, il fato, cioè, che il principio normativo della morale cristiana è Gesù Cristo, la sua parola, la sua vita e la sua morte sulla croce: non deve quindi dimenticare o passar sopra al carattere “scandaloso”, spesso scomodo ed esigente della morale cristiana: questa, come a norma ultima e definitiva, fa appello al mistero della croce, che è “scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani, ma per coloro che sono chiamati (alla fede) è potenza di Dio e sapienza di Dio” (I Cor 1, 22-24).

Una conseguenza di estrema importanza: se è la religione del Dio fatto uomo, il cristianesimo è la religione unica e universale, e tutti gli uomini sono chiamati a divenire cristiani (…). Cristo è la “pienezza” delle religioni non cristiane in ciò che esse hanno di autenticamente religioso; è la “risposta” di Dio alla ricerca e all’ansia religiosa che esse esprimono.

“Che cos’è il Cristianesimo?”, editoriale della Civiltà Cattolica n. 3324, 17 dicembre 1988 – riportato in CL, febbraio 1989.

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