PER QUALE EUROPA STIAMO ANDANDO A VOTARE?

Non si può negare che, in questa tornata elettorale, di Europa si è parlato poco, quasi niente, infatti l’Europa degli ultimi decenni ha sofferto di un forte deficit politico, oltre che democratico, e di questo ne è prova la totale disaffezione dei popoli europei alle istituzioni dell’Unione, in primis al Parlamento Europeo: come può esserci una autorità politica, in rapporto diretto con gli elettori, se tra essi non vi è nemmeno un’unione linguistica, non è mai esistito al mondo un soggetto politico i cui abitanti  non potessero capirsi reciprocamente. E questo è un problema di non secondaria importanza.

Non per spirito di contraddizione, semmai per consapevolezza di profonda amarezza, occorre affermare che la verità da proclamare sull’unità europea (quale Europa è ancora da scoprire!), è tutt’altra da quella che l’arroganza della logica dell’economia e della politica pretendono di imporre sotto gli slogans della propaganda che, mentre parlano di unità, di fatto chiedono il consenso per la divisione. Non si riesce a capire qual’è, e quale sarà, il volto dell’Europa del XXI secolo: le sfide storiche che si sono profilate negli ultimi anni sono davanti agli occhi di tutti… il terrorismo internazionale, l’invasione islamica e l’imponenza nel gestire i flussi migratori.

Queste sfide non sono meno ardue di quelle delle origini. Ed è probabilmente ritornando allo spirito delle origini che si può trovare lo slancio per affrontarle: nessuno stato europeo può pensare di poter affrontare e risolvere da sé i problemi dell’immigrazione, del terrorismo, della crisi economica.

Ma di tutto questo mi pare che in questa campagna elettorale non se ne è parlato, i problemi politici veri sono rimasti completamente assenti e bene ha fatto Antonio Socci, con la sua solita franchezza a scrivere: Mentre si avvicinano le elezioni per il Parlamento europeo sembra che si realizzi sempre di più la sarcastica previsione di Indro Montanelli: “quando si farà l’Europa unita; i francesi ci entreranno da francesi, i tedeschi da tedeschi e gli italiani da europei”. Ecco, fresco fresco, un esempio di queste ore. Al conduttore di “France 2” che ha definito Leonardo da Vinci «un genio francese» ha risposto Carlo Cottarelli, l’economista sempre in procinto di andare a Palazzo Chigi per un governo tecnico. E non ha risposto rivendicando l’italianità di Leonardo, come sarebbe parso ovvio. No. Ecco qua il suo stupefacente tweet: «La televisione francese dice che Leonardo era un genio francese. Che ignoranza! Leonardo era un genio europeo». Europeo e non italiano? Sembra quasi che l’Italia non esista o sia disdicevole dire «italiano». Eppure di Voltaire o di Pascal, a Parigi, non sentirete dire che sono europei, ma che sono francesi… Europei – per capirci – sono anche Dostoevskij e Tolstoj e anche Vladimir Putin lo è. Ma l’essere europei non c’entra nulla con l’essere “euristi”, sostenitori dell’attuale Unione Europea, nata nel 1992, che, com’è noto, non coincide neanche geograficamente con l’Europa. Il buon senso indurrebbe a dire che proprio perché Leonardo era italiano, e a quel tempo l’Italia aveva la leadership culturale del continente, si può dire anche europeo (cosa diversa dall’ essere per questa Ue). Ma il buon senso, come diceva il Manzoni, se ne sta nascosto. Del resto il Pd ha addirittura scritto nel suo simbolo elettorale «Siamo europei». Non scrivono «Siamo italiani», ma «europei»… Con lo stesso orgoglio “identitario” e “sovranista” – e col dolore verso l’amata Italia mal ridotta dalle sue classi dirigenti – Dante verga i memorabili versi del canto VI del Purgatorio: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave senza nocchiero in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello!”.

Tempo addietro ho tentato di domandarmi, in un mio scritto, come e perché l’Italia sia passata da “faro culturale” a oggetto di disprezzo altrui. Sono stato  spinto a questo dalla lettura di un libro di Rino Cammilleri che individua quale dovrebbe essere il vero punto nodale della nostra identità,  anche se il libro inizia con una “amara” riflessione di Giuseppe Prezzolini: “In quasi ogni Italiano c’è un’intensa gelosia verso ogni altro Italiano, sicché preferisce il dominio di qualunque straniero a quello che gli sta accanto, e non considera che con piacere l’incendio della casa del vicino anche se la propria va in fiamme. Lo sforzo fatto dagli Italiani per distruggersi a vicenda, se si potesse parlar di storia in termini di fisica, avrebbe potuto dar all’Italia il dominio del mondo e fosse stato sommato e diretto invece nel senso opposto”.

In effetti noi italiani, come nota Prezzolini, siamo gli unici al mondo a praticare il vizio dell’autodenigrazione, senza mai sostituirlo con la virtù dell’autocritica. Siamo sempre pronti a citare le nostre sconfitte, a sentirci messi in causa quando si parla di evasione fiscale, tangenti, faccendieri, poco o nessun rispetto per le leggi e via di seguito senza pensare che anche gli altri Paesi non godono di miglior salute.

Ho scritto anche di quanta retorica sono state caricate le figure dei nostri “Padri della Patria” e, nonostante tutte le “grandi riserve” che, soprattutto come Meridionali, abbiamo il diritto di esprimere ed evidenziare, non possiamo non riconoscere che, anche se non ce l’hanno fatta a fare bene le cose, almeno ci hanno provato e non potevano fare diversamente.

Ha scritto Montanelli che i Padri del Risorgimento sfigurano di certo, meno che su un punto: “Sono i primi italiani, che hanno operato vestiti da italiani, e non travestiti da spagnoli, o da francesi, o da tedeschi: cioè non hanno servito nessuno, se non l’Italia quando ancora non c’era: e che ora nel momento in cui rischia di non esserci più, consentono a me di continuare a servirla, o almeno di serbarne l’illusione. Non gli chiedo scusa dei diminuitivi pensieri su di loro. Seguito a guardarli senza lenti di ingrandimento. So che l’Italia la fecero anche con molti pasticci e compromessi, voglio dire un po’ da magliari, millantando credito, imbrogliando le carte del gioco, spesso gabellando le disfatte per vittorie. Ma era l’unico modo in cui, senza gli italiani, si poteva fare l’Italia, e metterla in condizione di fare a sua volta gli italiani, riscattandoli dalla loro secolare condizione di travestiti… Saremo pure una famiglia dappoco, noi italiani, ma è sempre meglio che bastardi di famiglie altrui, come qualcuno vorrebbe, rinnegandola, farci ridiventare…”.

A questo punto, a chi mi chiede da che parte sto rispondo che preferisco stare dalla parte di chi si batte per una Europa cristiana, e che non metterò mai vicini, Benedetto XVI, Giovanni Paolo II, don Giussani con il Priore di Bose, Gallo, Ciotti, Kung, Boff e la teologia della liberazione.

Non trovo, per andare al nocciolo della questione e concludere, parole migliori della mia amica Anna Ascione che, saggiamente e cristianamente, ha scritto: “Sceglierò un partito che non sta dalla parte di Soros e della sua visione del mondo, visto che finanzia Arcigay, Ong, media, politica, dalla parte di don Ciotti, associazione Luca Coscioni ecc… Il mio voto sarà contro questa visione del mondo sessantottina e mondialista di Soros, seguirò in questo la lettera di papa Benedetto che ha detto che la colpa della pedofilia nella chiesa è di una visione sessantottina della chiesa… preferisco stare dalla parte di chi si batte per una Europa cristiana, anche se devo turarmi il naso”.

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