RICONOSCIMENTO ALLA CARRIERA A FRANCO ZEFFIRELLI

«Nel segno dell’italianità, filo conduttore di questo ciclo di eventi culturali in Senato, oggi celebriamo l’Opera, il più straordinario biglietto da visita del nostro Paese, e rendiamo omaggio all’arte di Franco Zeffirelli, “genio ed eccellenza italiana nel mondo”: un maestro che ha fatto della bellezza il suo linguaggio». Così il Presidente del Senato Elisabetta Casellati ha aperto sabato 6 aprile il terzo appuntamento di “Senato & Cultura”: particolarmente significativo il momento nel quale il Presidente del Senato ha consegnato il riconoscimento alla carriera a Franco Zeffirelli “per aver saputo trasporre sui palcoscenici più importanti del mondo e sul grande schermo le atmosfere, lo spirito e le emozioni del teatro e dell’opera lirica”.

Nell’arco della sua lunga carriera Franco Zeffirelli ha anche fatto parte dell’assemblea del Senato durante la XII e XIII legislatura, tra il 1994 e il 2001 e, in questa occasione, mi piace ricordare, in forma integrale, l’eccezionale testimonianza di Franco Zeffirelli, riportata nel libro “Vite salvate” nel 2002. Un omaggio alla vita, alla sua storia e a sua madre: “Una madre che genera una vita è una donna premiata, “qualunque sia la sua situazione, qualunque siano i conti da pagare”.

Penso che Zeffirelli con questo scritto ha superato tutte le sue opere.

LA VITA È UN PREMIO

Franco Zeffirelli

La vita è un premio; una madre che genera una vita è una donna premiata qualunque sia la sua situazione, qualunque siano i conti da pagare, qualunque siano i suoi problemi emozionali: ha il marito, non ha il marito, ha quello che la ricatta, quello che l’ha abbandonata. Il privilegio di portare la vita, è un privilegio che gli uomini non hanno: noi siamo inferiori alle donne per questo. Il miracolo di sentir germogliare nel proprio ventre una nuova vita, il vederla sbocciare e vederla venir su rende voi donne più forti. Anche se alla fine i figli vi deludono, gli anni della creazione della vita nessuno ve li toglierà mai e in qualunque momento della vostra esistenza, quando la pena del mondo, l’abbandono degli affetti vi cadrà sulle spalle, ricorrerete certamente col pensiero, col cuore a quei meravigliosi mesi in cui avete creato una vita. Che poi quello sia diventato un assassino, un papa… non importa.

Ed è strano che sia io a dire queste cose, io che non sono né padre né niente… sono solo figlio. Di più, sono un aborto mancato. Avrei dovuto essere abortito perché nascevo da due persone che erano entrambe sposate: lui aveva una famiglia bella e pronta, lei aveva tre figli ed erano tutti e due al tramonto dell’età delle frizzole. E invece si innamorarono pazzamente e mia madre rimase incinta.

Tutti naturalmente le consigliarono di abortire. Il marito era moribondo, quindi non c’era neppure la possibilità di nascondere la gravidanza illegittima. Mio padre da buon galletto andava dicendo in giro che questo figlio era suo, però non faceva niente. Ma la gravidanza andò ugualmente avanti. La mia nonna stessa me lo confessò e mi chiese scusa; disse: “Io ero la prima feroce nemica di questa gravidanza”. E io invece nacqui contro il parere di tutti, perché a mia madre ripugnava il pensiero di uccidermi: “Morirei di rimorso, nel pensiero di aver avuto tre figli e di aver distrutto un’altra vita”.

Molti dei miei avversari invece dicono: magari ti avesse fatto fuori. È l’odio delle persone… mentre io vorrei conoscere solo l’amore, perché sono stato tanto amato nel ventre di mia madre, ho assorbito tanto di quell’amore, l’ho sentito, mi è entrato addosso. Mia madre l’ho persa che avevo sette anni, però sono rimasto impregnato del suo amore. Quando qualcuno ti ha amato veramente tanto e tu l’hai amato, questo amore, questa fiammella, questa fiaccola non si spegne mai, ti è sempre accanto. Siamo fatti di spirito, chi ci crede; io ci credo profondamente perché la vita mi ha dato continue verifiche di non essere un ammasso di cellule ma di essere un corpo che alloggia temporaneamente uno spirito che è la frazione del grande Creatore, di Dio a cui torneremo. Questa è una mia concezione: non me la sgangherate perché sto benissimo così, dormo sonni tranquilli, sono arrivato a settant’anni e voglio arrivare tranquillo al mio ultimo passo.

Forse interessa un piccolo episodietto della mia vita. Calza a pennello proprio in seguito alla mia storia. Quella di un bastardino. Infatti, io non avevo il nome né di mia madre né di mio padre. Mia madre inventò questo nome Zeffirelli perché, secondo un’antica tradizione dell’ospedale degli Innocenti di Firenze che si tramanda dai tempi di Lorenzo il Magnifico, ogni giorno della settimana corrispondeva ad una lettera. Il giorno che nacqui io toccava alla Z e mia madre, che oltre ad essere una grande sarta era musicista, pianista, un’appassionata di Mozart, con tanto di farfalle e zeffiretti, quando le proposero la Z come iniziale, all’impiegato comunale disse, appunto, Franco Zeffiretti. Quello non capì bene e, invece delle doppie “t”, mise le doppie “l”: Franco Zeffirelli.

Sono sicuro di essere l’unico con questo nome al mondo, però più tardi quando si è grandicelli ero soltanto figlio di NN. A scuola tutti sapevano che il mio babbo si chiamava NN e la mia mamma si chiamava NN. Quindi era tutto uno sfottò, anche se innocente perché veniva da bambini che non sanno.

Un giorno ci fu una rissa nel convento di San Marco dove io frequentavo l’azione cattolica e dove viveva un personaggio molto importante, molto curioso che ogni tanto arrivava con i suoi libri e i suoi occhialoni. Era Giorgio La Pira. Lui insegnava storia del diritto romano e viveva lì come un frate laico, ma stava molto con noi, ci guardava e ogni tanto interveniva dicendo “La Madonna. Quando avete un problema c’è sempre la Madonna, la Madonna! Salva tutto la Madonna”.

Quel giorno ci vide picchiarci e chiese che stava succedendo: “Ha detto che mia mamma è una puttana” gli risposi.

Lui disse al ragazzo con cui mi stavo picchiando: “Tu vai a casa, che se comincio a parlare io della tua mamma ne vengono fuori delle belle”. Poi mi prese, tutto scosso e incavolato, mi tirò su per quel bellissimo scalone che certamente conoscete, che va dal chiostro al primo ordine del convento, e in cima al quale c’è l’Annunciata di frate Angelico. Mi portò su di corsa proprio davanti a questo dipinto.

“Lo sai cosa è questo?” mi chiese.

“L’Annunciazione” risposi.

“E sai cosa vuol dire l’Annunciazione?”

“E beh, è venuto un angelo davanti alla Madonna e le ha detto che sarà madre di Gesù…”

“Sì va bene… ma come?”.

“E la madre di Gesù…” feci io sempre più confuso.

“Come sarebbe diventata la madre di Gesù?”

A quel punto io mi impappinai definitivamente, perché sapevo come nascevano i figlioli… ma non volevo attribuirlo a Dio.

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Allora mi aiutò lui: “Perché lo Spirito divino è disceso nella carne, nel ventre di questa donna e si è incarnato. Hai capito? Quindi non vergognarti mai. La maternità è sempre santità. Qualunque cosa dicano di tua madre, tu la devi pensare sempre come una santa perché è come la Madonna, e quando avrai bisogno di qualcosa nella vita prega la Madonna e pregherai tua madre”.

E questa cosa da allora mi è rimasta addosso. È lo splendor veritatis, per riprendere le parole di Giovanni Paolo II. Da quel giorno il problema di mia madre, della sua moralità, del suo atteggiamento e amore verso di me non l’ho più avuto.

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