TE DEUM LAUDAMUS: PER IL NOSTRO PARROCO DON NATALE IOCULANO

In questo ultimo giorno dell’anno voglio scrivere, come mi è capitato di fare negli anni passati, in sintonia con la liturgia che la Chiesa propone, un mio personale “Te Deum laudamus” per questo 2020 che sta consumando le sue ultime ore. Ognuno di noi deve qualcosa a qualcuno: anche solo per un gesto, per un consiglio o per una riflessione che ci permette di cadenzare al meglio il passo nel cammino delle scelte quotidiane. Nella vita privata, come in quella pubblica, il calore degli sguardi di coloro che rivolgono l’attenzione nei nostri confronti spesso evapora nella freneticità del quotidiano.

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Ma nei giorni in cui si chiude l’anno capita anche di avere il tempo di fare qualche bilancio, di voltare lo sguardo indietro e notare come le immagini che rimangono impresse nella memoria facciano emergere ricordi il cui peso riempie di significato l’essenza della nostra vita. Anche quest’anno, questo terribile 2020, può essere chiuso (come ha detto qualche anno fa il Cardinale Scola) con il grande verso del poeta Claudel, per cui “la pace, chi la conosce, sa che gioia e dolore in parti uguali la compongono”. Potrebbe sembrare un’osservazione a prima vista banale e scontata. Però, in questo inizio del terzo millennio, minacciato da una terribile pandemia che nessuno poteva prevedere, questo intreccio di gioia e di dolore, di speranza e di angoscia si impone ed ha assunto una dimensione insistente, quotidiana. Una dimensione di paura e incertezza nel futuro… nel nostro futuro.

In questo anno trascorso ci siamo scoperti “poveri uomini“, indifesi e incapaci di progettare il nostro domani, individuando orientamenti e sentieri sui quali inoltrarci.  Dentro questo travaglio siamo stati come degli sbandati. O dei naufraghi in preda alla tempesta. O dei pugili suonati sul ring. Troppe le questioni ancora aperte che sembrano spegnere la nostra gratitudine: le domande si accavallano, inarrestabili, nella nostra mente. Per non parlare degli interrogativi sulla debolezza della politica di salvaguardia della salute, sul futuro del nostro paese, sulle scelte che dovranno essere fatte, sulla capacità di valorizzare i corpi intermedi della nostra ricca società civile. Essere grati alla fine di questo terribile anno… già, ma di che cosa dovremmo essere grati? La domanda si pone perché siamo così abituati a ciò che abbiamo, che facilmente non lo vediamo più. Per essere grati occorre prima di tutto riabituarsi a vedere: quelle cose solite e consuete, scontate, che sono lo svegliarsi al mattino e stare bene, e l’alzarsi, e potere camminare.

In questo momento particolare penso che dobbiamo essere grati a Dio per la presenza di un sacerdote come don Natale Ioculano in mezzo a noi, che come ha detto tempo addietro il nostro Sindaco, Carmelo Panetta: “Don Natale sta dimostrando concretamente di essere il “buon pastore” che sa essere vicino al suo gregge. Papa Francesco ha detto che “la Chiesa ha bisogno di Pastori che stiano vicini alla gente, che sappiano essere padri e fratelli pazienti e misericordiosi: Pastori che amano la semplicità e l’austerità della vita”. Sembra proprio che il Papa, nel pronunciare quelle parole, si sia ispirato al nostro Parroco: A come svolge la missione sacerdotale all’interno della nostra parrocchia. Sembra che si sia ispirato a don Natale, che la nostra comunità ha avuto la fortuna di avere come guida spirituale che, per sentita vocazione, quotidianamente svolge in modo profondamente cristiano il delicato ruolo di parroco e che, come suggeriva Papa Francesco, è costantemente vicino alla gente e, nella più assoluta discrezione, sa essere paziente e misericordioso fratello di chi ha bisogno di una parola di incoraggiamento e, più semplicemente, di un sorriso”.

Il “mondo” è specializzato in divertimenti, passatempi, sport, intrattenimenti vari, in cui ha profuso studi, energie e investimenti. Don Natale si preoccupa di curare l’anima, di farci riconciliare con Dio per questo dedica il suo tempo, con pazienza, alla nostra conversione. Si rivolge a noi con il Vangelo dei semplici, non gli interessano i videogiochi o le pizze del sabato sera e tutto ciò che “il mondo” offre. In silenzio sta percorrendo nel nostro paese, la via della carità, nell’occuparsi del “prossimo” che il Signore gli ha messo davanti, nei problemi che si vivono nel nostro paese: nel nome di Cristo che ci salverà l’anima! Già il sacerdote deve fare anche (o soprattutto) questo. Salvare le anime perché come diceva il Card. Ratzinger: “Non è di una Chiesa più umana che abbiamo bisogno, bensì di una Chiesa più divina; solo allora essa sarà anche veramente umana”.

Grazie Signore per don Natale, perché ci hai mandato un pastore che non agisce da “assistente sociale” ma da dispensatore dei misteri di Dio, testimone di quella Chiesa di cui abbiamo più bisogno.

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