UMBERTO DI STILO CHIARISCE I DUBBI LASCIATI APERTI DALLA MOSTRA ITINERANTE “IL VOLTO DELLA MADONNA”

Carissimo Avvocato,

se non fossi quasi completamente calvo, avrei detto che mi hai tirato per i capelli.

Battuta a parte, mi chiami amichevolmente in causa per diradare i dubbi che, sull’attribuzione della statua marmorea della nostra ”Madonna della Valle” e sulla datazione della statua lignea della Madonna della Montagna, ti sono sorti vedendo la mostra fotografica itinerante che sul tema de “Il volto della Madonna” ha organizzato l’Ufficio per i beni culturali della nostra Diocesi.

Intanto Ti ringrazio per la stima e la fiducia che riponi in me e perché nel tuo scritto fai riferimento – a ciò che sui nostri beni artistici e, quindi, anche sulle statue relative alle annotazioni dei curatori della mostra che hanno suscitato le tue perplessità, ho scritto e pubblicato alcuni anni addietro. Mi complimento per la tua attenzione ai particolari – cosa importantissima nel campo dell’arte – e perché dimostri in modo sempre più concreto di essere l’unico galatrese che si interessa ai “nostri” beni artistici ed alla nostra storia.

Cosa aggiungere ancora sui nostri tesori d’arte? Niente. Niente che abbia cambiato quanto già di nostra conoscenza sulle diverse opere conservate nelle chiese di Galatro. Ciò, forse, anche perché su di esse, nel corso degli anni, non abbiamo saputo fare una giusta valorizzazione ed una mirata campagna promozionale. Nemmeno all’interno delle nostre scuole, per stimolare l’interesse dei giovani e giovanissimi compaesani.

Fatta questa lunga premessa vorrei ricordare che quasi tutte le opere pittoriche e statuarie (soprattutto queste ultime) che, vincendo la furia devastatrice della natura – terremoti e alluvioni –  e l’incuria degli uomini sono arrivate fino a noi ed abbiamo l’opportunità di ammirarle (ma non sempre, purtroppo, con la dovuta attenzione!) sono di autore incerto perché “non firmate”. E’ per questo che ad esse, a seguito di studi che spesso si protraggono per molti anni, i critici d’arte attribuiscono una paternità suffragata dalla “affinità stilistica” e dalla contemporaneità con quella di un artista “certo” ed al quale ritengono opportuno assegnare quell’altra opera. Vengono attribuite, cioè ad un artista che ha “firmato” le sue opere oppure che di esse sia stato trovato il contratto di acquisto-vendita.

Operando per “affinità” alcuni critici – tra cui Lucia Loiacono e, recentemente, Paola Coniglio – hanno ritenuto di dover attribuire la nostra “Madonna della Valle” allo scalpello di Giovambattista Mazzolo, che dalla natia Carrara, nei primi anni del 1500, si è trasferito a Messina (ed a Palermo) per continuare in Sicilia il suo apprendistato nella bottega di Antonello Gagini.

L’attribuzione è giusta? Fino a quando, sulla base di valida documentazione non sarà dimostrato il contrario oppure un altro critico proverà che essa è azzardata, dobbiamo necessariamente accettarla.

La statua è veramente del Mazzolo? L’interrogativo è d’obbligo. Da quanto ho letto e studiato ho acquisito la certezza che è stata realizzata nella bottega del Gagini nella quale, come già riferito, tra gli altri apprendisti e lavoranti c’era anche il giovane Mazzolo. E poiché l’impostazione stilistica della statua è gaginesca, è legittimo ritenere che il Mazzolo se ha lavorato su di essa, lo abbia fatto solo sotto l’occhio vigile del “Maestro”.

Ne consegue che dall’aver lavorato su quella statua – magari insieme ad altri apprendisti – per sgrossare il marmo, dare ad esso la prima forma dell’opera o per rifinirla secondo i dettami del Gagini, ad essere considerato autore, ne passa.

Ma i critici sostengono che la statua centrale del nostro cinquecentesco trittico marmoreo – quella della “Madonna della valle”, appunto, – sia da attribuire al Mazzolo per le affinità stilistiche riscontrate con alcune sue “certe” statue che si trovano nelle chiese calabresi. Fino a quando non saranno trovati i documenti che provino la reale paternità artistica dell’opera – così com’è prassi consolidata – bisogna continuare ad andare avanti con le attribuzioni. Sicchè mentre per decenni ad Antonello Gagini (e alla sua scuola o “bottega”) è stato sempre attribuito l’intero trittico (statue di San Giovanni Battista, Madonna della Valle e San Giovanni Evangelista) da qualche tempo registriamo altre “attribuzioni” per le singole statue. Tutto ciò – ribadisco – perché non è stato trovato il contratto di committenza stipulato tra il vescovo Della Valle (o suo delegato) e l’autore del Trittico. Il che consente che oggi si parli del Mazzolo come “presunto” autore della Madonna della Valle, domani di Pietro Bernini come “presunto” autore dell’Evangelista.

E Gagini?

Per fare un po’ il “Cicero pro domo mea” mi piace aggiungere che una caratteristica distintiva delle “Madonne” del Gagini è lo scannello, quasi sempre di forma esagonale e quasi sempre con tre (delle sei) facce scolpite in altorilievo.

Gli scannelli delle  “Madonne” del Mazzolo, invece, sono quasi tutti di forma quadrata o rettangolare.

Lo scannello della Madonna della Valle è esagonale. Sulla faccia centrale è scolpita una scena della natività. Su quelle due laterali, a sinistra c’è l’Angelo dell’Annunciazione e a destra la Madonna che riceve lo Spirito santo (sotto forma di bianca colomba).

Non c’è dubbio: lo scannello è gaginesco, anche perché il tema della natività è ricorrente in Gagini.

Questo piccolo particolare (e diversi altri della statua) – a mio modesto parere – dovrebbe far ritenere che la Madonna della Valle sia opera di Antonello Gagini.

D’altra parte da sempre sappiamo che essa fa parte del trittico marmoreo che prima i critici e poi nel 1912 i responsabili della Soprintendenza artistica di Napoli hanno attribuito ad Antonello Gagini per “affinità” stilistica e progettuale con il “gemello” che a Vibo il Principe Pignatelli ha voluto che fosse innalzato nella chiesa di san Leoluca.

Detto questo, Michele, aggiungo che ai curatori della mostra itinerante non imputerei l’attribuzione (senza punto interrogativo, come tu scrivi) della statua marmorea della Madonna della Valle allo scultore Giovambattista Mazzolo, ma l’aver taciuto che essa è la scultura centrale del cinquecentesco Trittico da sempre attribuito ad Antonello Gagini. Questa indicazione ritengo fosse doverosa. Anche per esattezza di informazione.

Per quanto attiene alla statua lignea della Madonna della Montagna anch’io, come te, vorrei sapere i curatori in base a quale documento hanno ritenuto di doverla datare 1812.

Ebbene, a loro, molto probabilmente è sfuggito che Domenico De Lorenzo è morto proprio il 21 gennaio di quell’anno. Quindi? Forse che l’aveva completata e consegnata nei primissimi giorni di gennaio, quando le sue condizioni di salute erano già molto precarie?

Sarei curioso di sapere – per amore della precisione storica e per aggiornare i miei scritti e le mie conoscenze – da quale documento ufficiale hanno tratto quella datazione.

Personalmente, a conclusione delle ricerche che nel corso degli anni mi hanno visto rovistare nelle carte di decine di archivi storici, sono giunto alla conclusione di poter stabilire che la nostra statua ha molte affinità artistiche con “La Madonna col Bambino” che si trova nella chiesa “Della Grazia” di Arena (Vv). E da qui sono partito per l’attribuzione al “santaro” del vicino villaggio di Garopoli. Inoltre, poiché il De Lorenzo ha provveduto a firmare e datare la statua di Arena: “1801”, ho ritenuto (e ancora ritengo) che la nostra Madonna, proprio per le numerose “somiglianze” con quella di Arena, sia ad essa coeva e che, come ho scritto nell’apposito capitolo del mio volume, sia arrivata nella chiesa di Galatro tra la fine del 1700 e i primi anni del 1800.

In quale documento, dunque, i signori curatori della mostra hanno trovato gli elementi necessari per datarla 1812? Che ce lo facciano sapere.

Spero solo che essi non abbiano pensato di ritenere fondata la “favola” secondo la quale, dopo la morte del padre, la nostra statua sia stata ultimata dal figlio Giuseppe. La “favola” non regge perché nel 1812 Giuseppe De Lorenzo, il più giovane dei figli dello scultore, si trovava nel seminario di Mileto impegnato negli studi di teologia poi ultimati il 20 maggio 1815 con l’ordinazione sacerdotale.

Vero è che Don Giuseppe, da giovane era stato accanto al padre nella bottega d’arte e aveva dimostrato di essere in possesso di ottime qualità artistiche. Doti che ha sfruttato allorchè, pur essendo parroco del suo paese, nel 1822 ha scolpito una Assunta per la chiesa parrocchiale di San Giovanni di Mileto;  un’altra Assunta nel 1826 per la sua chiesa parrocchiale, un San Giuseppe nel 1828 per la chiesa di Acquaro  e, successivamente, la Madonna di Patmos per la chiesa parrocchiale di Rosarno.

Giuseppe Marzano al sacerdote-scultore attribuisce anche il completamento dell’Annunciazione della chiesa parrocchiale di Bellantone. Non ha alcun fondamento l’attribuzione dell’ultimazione della statua della Madonna della Montagna di Galatro, che, secondo voci non confermate dai documenti, era stata lasciata incompleta dal padre.

E’ accertato, infatti, che il sacerdote don Giuseppe De Lorenzo ha lavorato come “santaro” nell’arco di tempo compreso tra il 1822 e il 1828.

Dai documenti esistenti nell’archivio parrocchiale di Galatro, invece, sappiamo che nel 1820, allorchè l’abate Giovanni Conia, su delega del vescovo, ha effettuato la visita pastorale alle chiese di Galatro, scrive le sue disposizioni per il parroco nel “register mortuorum” proprio sotto l’annotazione della morte di un cittadino seppellito “in ecclesia filiali sancta Maria de Popsis” (chiesa filiale di Santa Maria di Polsi, o della Montagna, come comunemente è chiamata dai fedeli). Ed allora, mi sembra evidente: se la chiesa era già dedicata alla Madonna della Montagna, non c’è dubbio che al suo interno ci fosse già la statua.

Scusa se l’ho fatta lunga. Ma ciò che tu hai “denunciato” mi ha fortemente inquietato. Perché la Diocesi non può dare notizie molto sommarie e, nel nostro caso, anche inesatte. Così facendo non si formano i cittadini-fedeli. E, quel che è peggio, si danno notizie inesatte.

Spero di non averti annoiato e, soprattutto, di avere soddisfatto le tue attese e di essere stato capace di diradare i tuoi dubbi.

Con la stima di sempre,

Umberto di Stilo

Galatro, domenica 26 novembre 2017

Bruno Demasi 

Caro Umberto Distilo ho letto con grande attenzione e piacere la tua dotta disquisizione sull’attribuzione di due tra i capolavori vantati dalla Vostra Galatro nella quale mi onoro di avere iniziato la mia carriera di insegnante fortemente ammirato dalla bellezza dei Vostri paesaggi e dei Vostri tesori artistici. Comprendo il tuo rammarico evidenziato in questo scritto per le sviste, probabilmente frettolose, dei curatori di una mostra che, certo, non aveva nulla da aggiungere alla Pietas Mariana della nostra gente e che comunque. di là dai suggestivi primi piani di tante statue della Madonna ivi rappresentati, aveva l’aria di rivolgersi più che agli studiosi alla “gente comune”. Che comunque ha il diritto sacrosanto di essere informata con esattezza anche su queste cose, come tu osservi e come il buon senso può dettare. Grazie per questo arricchimento.

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Una risposta

  1. 14 Novembre 2020

    […] Intervento-chiarificazione del prof. Umberto di Stilo sulla paternità del Trittico della Chiesa di Galatro: http://www.michelescozzarra.it/umberto-stilo-chiarisce-dubbi-lasciati-aperti-dalla-mostra-itinerante… […]

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