ANCHE DOPO IL REFERENDUM SULLA GIUSTIZIA… E’ SEMPRE POSSIBILE UNA VERA RIFORMA

Il 12 giugno si voterà per i referendum sulla giustizia promossi da Lega e Radicali. I cinque quesiti riguardano: misure cautelari, separazione delle funzioni dei magistrati, elezione del Csm, consigli giudiziari, incandidabilità dei politici condannati. Anche se penso che con questa consultazione referendaria non si arriverà a nulla perché non si raggiungerà il quorum per la validità dei referendum, quel che temo sopra ogni altra cosa, è che siamo ormai nell’imminenza di uno scontro istituzionale prima che politico di una gravità, intensità e conseguenze inimmaginabili. Mi piacerebbe, in un’altra Italia, diversa da questa divisa, incattivita e chiusa che potessero avere effetto delle sagge parole:

Accade che lo Stato agisce talora come se fosse il più aperto nemico dei giudici e i giudici se vogliono rendere giustizia devono farlo a volte, più che in nome dello Stato, a dispetto dello Stato. Qui in Italia tra magistrati e ministri di giustizia si respira da un pezzo un’atmosfera di reciproca ostilità e mutuo sospetto”. E non è neanche nuovo che a quel punto, soprattutto il Pubblico Ministero, si senta investito di una missione sostitutiva e salvifica della politica stessa: “Il Pm come il difensore è per sua natura parziale, la parzialità del Pm e del Difensore è una caratteristica della loro funzione ed è proprio da questa parzialità che deriva l’imparzialità del giudice, le due parzialità sono essenziali per raggiungere la giustizia. Proprio per questo è improprio arrivare a ipotizzare per il Pm le stesse identiche prerogative riservate al giudice. Il Pm è un magistrato che va garantito e rispettato, certo, ma la sua toga non ha quel valore supremo e inviolabile che ha la toga del giudice. Per questo va istituito un “Commissario di Giustizia”, nominato dal Presidente della Repubblica e tenuto a rispondere al Parlamento sul funzionamento della magistratura e in primo luogo dei Pm”.

Di chi sono queste parole virgolettate in neretto? Gli studiosi di diritto le avranno subito riconosciute: sono di Pietro Calamandrei.  Un grande del diritto italiano e autore di un libro magistrale negli anni Trenta, “L’elogio del giudice scritto da un avvocato”, quando i giudici erano per gli antifascisti in odore al regime. Le sue parole sullo scontro tra giudici e politica risalgono al 1921 e le parole relative al Pm da incardinare sotto un apposito “Commissario di giustizia” che ne rispondesse al Parlamento sono la sua arcifamosa proposta avanzata alla Costituente, per rimarcare che il Giudice e il Pm indipendenti dovevano essere, ma mai superiori alla politica espressione del suffragio universale. Inutile dire che di quella proposta non si fece nulla. I giudici sono uomini con le loro debolezze e le loro tentazioni, disse Calamandrei alla Costituente. Per questo, dovevano pensare bene agli effetti di talune loro sentenze: “Non “abituatevi” mai a rendere giustizia. Ogni sentenza deve provocare in voi sempre quel senso quasi religioso di costernazione che vi fece tremare quando, pretori di prima nomina, doveste pronunciare la vostra prima sentenza… Non ammalatevi mai di quel terribile morbo dei burocrati che si chiama conformismo… Il giudice che si “abitua” a rendere giustizia è come il sacerdote che si “abitua” a dire Messa”.

Ed ecco che siamo arrivati al punto che, si vede nella prossima elezione referendaria, una possibilità per colmare un vuoto sulla riforma della giustizia che si attende da anni. Giovanni Falcone aveva provato a suggerire su quali direttrici dovrebbe muoversi tale rinnovamento, infatti nel volume “Interventi e proposte, 1982-1992”, edito da Sansoni, aveva messo al primo posto “la separazione delle carriere”, ovvero “la faticosa consapevolezza che la regolamentazione della carriera dei magistrati del Pubblico Ministero non può più essere identica a quella dei “Magistrati giudicanti”, diverse essendo le funzioni e, quindi, le attitudini, l’habitus mentale, le capacità professionali richieste: investigatore il PM, arbitro della controversia il Giudice”.

Argomento da scandalo ma che Falcone affronta schiettamente è anche quello del “controllo dei Pubblici Ministeri” dove, a riguardo, dice: “Com’è possibile che in un regime liberal-democratico non vi sia ancora una politica giudiziaria e tutto sia riservato alle decisioni dei vari Uffici di Procura e spesso dei singoli sostituti: in mancanza di controlli istituzionali sull’attività del Pm saranno sempre più gravi i pericoli che influenze informali e poteri occulti possano influenzare tale attività”.

Sulla “riforma dell’obbligatorietà dell’azione penale” Falcone dice che per “una giustizia efficace e democratica bisogna razionalizzare e coordinare l’attività del Pm, finora reso praticamente irresponsabile da una visione feticista dell’obbligatorietà dell’azione penale e dalla mancanza di efficaci controlli sulla sua attività… fino a quando in Italia vi saranno rigide normative sulla obbligatorietà il problema della repressione giudiziaria del crimine organizzato non avrà fatto un passo avanti”.

Sulla “riforma del Csm e dell’Anm” Falcone è lapidario: “Se l’autonomia dell magistratura è in crisi dipende anche dalla crisi che investe dal tempo l’Anm, organismo diretto alla tutela di interessi corporativi, le cui correnti si sono trasformate in macchine elettorali per il Csm e dalla pretesa inconfessata di considerare il magistrato una sorta di superuomo infallibile e incensurabile”.

Ecco, basterebbero questi quattro punti per dare all’Italia una Riforma della Giustizia che sia finalmente in linea con gli ordinamenti giudiziari nei quali non esistono scontri istituzionali che possano portare a conseguenze disastrose per tutto il sistema. Ma chi oggi, di fatto, si pone negli ambienti della società odierna nella prospettiva di “riprendere e rigenerarsi”, si accorge come questi giudizi di Falcone e Calamandrei siano realistici e illuminanti. Per questo, comunque andrà a finire la consultazione referendaria, è sempre più opportuno aprire un dibattito ed un lavoro su queste provocazioni, avendo a cuore di lavorare per un concetto più concreto di Giustizia.

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