DOMANDA, BESTEMMIA E PREGHIERA IN ” MBÉ, CHI FAI SUPR’A SSA CRUCI? “

L’HO SCRITTO PER PASQUA…  (4)

Copertina del libro di Rocco Giuseppe Tassone.

Copertina del libro di Rocco Giuseppe Tassone.

Gli uomini da sempre fanno cinque o sei cose: fanno l’amore, la guerra, provano a darsi leggi, si rivolgono a Dio. E fanno poesia, provando a comporre le parole in modo diverso dall’abitudine, per relazionarsi con il “segreto” della vita, per meglio metterlo a fuoco. Il più delle volte, non prima di aver invocato “la propria musa”, proprio come fa Rocco Giuseppe Tassone all’inizio del suo poema “ Mbé, chi fai supr’a ssa cruci? ”:

“Mbè, a undi si’? Nesci fora.
‘Ncuminciamo bbonu sta jornata! …
Jeu su’ friscu non bbégnu, no, mu ti cercu,
tu ccà hai a bbenìri, e poi ti torciu …
Mbè, lu pigghiasti ‘nu pocu d’abbentu?
Mò, menti ssu culu supr’a seggia e,
addunca, viatu, viatu, ca ‘ncignamu…”

Come non provare stupore di fronte a quest’opera che, nell’originalità e spontaneità della propria lingua madre, fa vedere un uomo che “chiuso fra le cose mortali… si domanda perché brama Dio?”, in una “dannazione” espressa dal Pascoli. E lo fa con una poesia che ci apre allo stupore, uno stupore che può presentarsi come una domanda, come una invocazione, come una preghiera o una bestemmia, e proprio per questo non può che essere espressa nella lingua che più ci appartiene, che più ci è cara: il nostro dialetto!

Rocco Giuseppe Tassone

Rocco Giuseppe Tassone

“Mbé, chi fai supr’a ssa Cruci?
Ti mburi l’occhi e non viri a nuru.
Pecchì no’ scindi? Veni assettati
‘nu morzareru ccà cu mmia …
Mbé, chi fai supr’a ssa Cruci? …
… Ma dassami
mu ti fazzu ‘na domanda:
pecchì cazzu ‘ndi criasti?…
… propriu no’ ntindi futti nenti? …
… u vidi com’eni lu mundu:
mi futtiru puru a mmia!”.

 

La poesia di Tassone, pur nella sua “dannazione”, non distoglie lo sguardo dal Cristo “crocefisso”, e non smette di interrogarci su quello che incombe sopra di noi, quello che ci accade, rendendoci partecipi di questo “evento”, come se stesse accadendo proprio a noi… il suo grido diventa, misteriosamente, il nostro, suscitando anche in noi tutto il suo “umano sfogo” verso Colui che può tutto e, piuttosto che in vesti regali, lo vediamo crocefisso su una croce:

“Mbé, chi fai supr’a ssa Cruci?…
Mbé, ma tu nenti sai?…
… Cala di ssu palu
pigghiàndi a storcicoru, a puntati,
a muzzicati e addirìzzandi a schina,
mustrandi li denti comu li costati…”.

Rocco Giuseppe Tassone

Rocco Giuseppe Tassone

L’enigma di questa poesia è proprio nel “mistero” di questo grido che esplode nell’animo del Tassone, in maniera così forte che, forse, neanche lui sa perché… sa, semplicemente, che accade, ma non si sa come.
E’ un mistero che corre tra lui che parla e ritiene di dire, di affermare una cosa e noi che riceviamo il suo grido in forma di poesia: è una comunicazione di fuoco, un passaggio, che avviene attraverso la parola esplosiva e dolorante del poeta, che si ripercuote anche nella creatività e nel vissuto di noi che leggiamo.
In questa opera del Tassone emerge, tutto quanto “lacera” la sua sensibilità, e non può rivolgere il suo sguardo e i suoi desideri a nessun altro se non a Colui che sta sulla Croce.
Abbiamo davanti una poesia che suscita delle forti emozioni e, in certi punti è come se si allontanasse dal suo autore e, da l’impressione di essere stata scritta da colui che la legge. Avviene una inversione di senso: c’è in chi ascolta, una sorpresa derivata dal sentirsi colui che mette per iscritto quel grido che gli esplode dentro, ed è lui stesso che lo indirizza come una preghiera, o rimprovero, a Colui che pende dalla croce.

I libri di Rocco Giuseppe Tassone

I libri di Rocco Giuseppe Tassone

Non credo che esista una lettura “univoca” di un testo poetico come “mbé, chi fai supr’a ssa cruci?”, ogni lettore è come un direttore d’orchestra: lo spartito è il medesimo, è l’interpretazione che cambia. E non potrebbe essere diversamente, perché se la domanda del lettore “mbé, chi fai supr’a ssa cruci!” è per tutti la stessa, la risposta non può non tenere conto della diversità del lettore, della sua storia e dei tempi che ha vissuto.
Tassone in quest’opera riesce ad usare la parola come un qualcosa che si lega al corpo, e quindi alla sua fisicità: intesa in questo modo, quest’opera ha un potere, ristabilisce dei rapporti anziché cancellarli, riapre delle strade piuttosto che chiuderle, come sembra far intendere l’autore nello scorrere delle sue “imprecazioni” e, soprattutto, nella chiusa finale. In questa poesia, il grido che rimbomba (sia esso domanda, bestemmia o preghiera) è un qualcosa che riguarda l’umano, l’essenza del nostro essere, che afferma una possibilità di un rapporto, di un legame, di una tensione, che in altri tempi si chiamava magia.
E, perché accada questo e la parola esploda oltre se stessa, ci vuole qualcuno che vi si dedichi fino in fondo e che metta la sua storia e il suo destino in gioco… e in “mbé, chi fai supr’a ssa cruci?”, ritengo che Rocco Tassone abbia messo in campo tutto questo!

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