PER ELUANA ENGLARO… PADRE PERDONA LORO

Eluana è morta ieri sera: non bisognava lavarsi le mani, ma visto che è stato fatto, ora ci resta solo da dire: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che hanno fatto…”.

Un “famoso ateo” contrario alla sospensione dell’alimentazione per Eluana, nei giorni scorsi, ha detto che ci vorrebbe una carezza del Nazareno: “Se il Nazareno tornasse ci prenderebbe a sberle tutti quanti. Ce lo meritiamo, eccome, però avremmo così tanto bisogno di una carezza”.

E noi, adesso, sempre più convinti che, anche in questa situazione, la morte non avrà l’ultima parola e vicini come non mai al mistero del dolore e della morte, possiamo solo, per chi ci crede,  in silenzio piegare la testa e pregare… per Eluana.

Eluana Englaro è morta il 09 febbraio 2009

Lettera dalla sofferenza: Eluana Englaro, un’ostia vivente in mezzo a noi

La tragica storia di Eluana Englaro, nelle ultime settimane, è rimbalzata in maniera impressionante su tutti i giornali. La sua tragica storia  l’abbiamo letta più volte: in stato persistente vegetativo dal 1992, dopo un grave incidente stradale, non dipende da nessun particolare macchinario per vivere – non fa dialisi, respira da sola – e viene nutrita con un sondino naso-gastrico. La Corte di Appello di Milano, a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale dello scorso ottobre, ha stabilito che è lecito interrompere la nutrizione e l’idratazione artificiale, anche se Eluana non ha lasciato volontà scritte, perché la “presunta volontà della persona in stato di incoscienza” può essere “ricostruita, alla stregua di chiari, univoci e convincenti elementi di prova, non solo alla luce dei precedenti desideri e dichiarazioni dell’interessato, ma anche sulla base dello stile e del carattere della sua vita”.

Da più parti sono stati lanciati appelli per difendere il diritto alla vita di Eluana e, nel mio piccolo, questo mio intervento vuole essere un contributo affinché trionfi il valore insopprimibile della sacralità della vita, dal concepimento alla morte naturale, quale fondamento della nostra umanità e della nostra civiltà.

Era il 1995, quando ho avuto modo di leggere un raccapricciante articolo che mi ha messo i brividi, e mi ha dato di che pensare sui “boia del relativismo etico che violano incontestabilmente il valore insopprimibile della sacralità della vita”.

Per chi ha la pazienza di seguirmi nelle cose che esprimo (parafrasando senza nessuno spirito di paragone il Manzoni), per i miei forse meno di venticinque lettori per niente annoiati dalle cose che scrivo, mi piace riproporre il vecchio articolo che, anche se datato di oltre quindici anni, lo riscopro di una attualità impressionante:

 Si chiamava Luisa. Era la figlia handicappata (epilettica) del grande Ennio Flaiano, un monumento indiscusso della cultura italiana contemporanea. Di Flaiano si ricordano le battute fulminanti i racconti carichi di ironia. Di Luisa niente, noi comuni mortali non sapevamo nemmeno che esistesse. Ma è Luisa – la sua vita negata, le sue lacrime nascoste – il giudizio più fulminante di Flaiano sul nostro tempo. Luisa adesso c’è, è tornata dall’oblio della cultura italiana come un angelo vendicatore, e pesa più di un qualsiasi aforisma. La vedova di Flaiano, Rosetta, ha deciso di rivelare il dramma di Luisa, sepolta viva dagli amici di Flaiano, i grandi intellettuali che imposero al loro sodale di sopprimerla dai loro occhi. E così Luisa fu annichilita nella sua dignità dai geni della poesia universale. Fa un nome: Federico Fellini. Il vate di Rimini non poteva letteralmente sopportare la vista di Luisa. Un giorno disse: ‘Perché non la rinchiudono?”.

Luisa allora, notato lo schifo con cui veniva guardata dal fior fiore della sensibilità e dell’umanità pubbliche, si ritirava avvilita, nella sua stanza trasformata in lager dalle belle teste e dalle anime fosforescenti come aureole che ci hanno fatto la morale per tutti questi anni. Alla fine Rosetta ed Ennio decisero di non mostrarla più. La rinchiusero davvero.

Adesso che ha 83 anni, e la passione è sbollita, Rosetta tira con metodica precisione una bomba contro l’ipocrisia maligna degli intellettuali italiani, stupenda casta di assassini del cuore. Lo fa in un’intervista a ‘Vita’.

‘Sono passati tanti anni: non è più uno sfogo’, dice Rosetta Flaiano. ‘Oggi è un atto di cultura e di politica. Gli amici e i colleghi di mio marito, i cosiddetti intellettuali, non rivolgevano neanche un cenno di saluto a mia figlia, Luisa, malata di epilessia. Rispetto l’opera di Fellini, ma non dimentico che, quando veniva da noi, non riusciva nemmeno a guardare Luisa. Lui e gli altri giravano la faccia dall’altra parte, infastiditi. Mia figlia che era un concentrato di amore ed era estremamente sensibile, correva a chiudersi nella sua stanza’.

Ancora: ‘Questi atteggiamenti determinarono un momento di grande crisi anche tra me e mio marito. Alla fine decidemmo, per buona educazione, di non far più vedere nostra figlia. La nascondemmo ai nostri occhi, ma non al nostro cuore’. Finché il grande Ennio morì. E nel 1991, a 50 anni di età, se ne andò anche Luisa. Allora Rosetta domandò ad un famoso giornalista, amico di Flaiano, di ricordare questa creatura amatissima. Rispose la celebre penna: ‘A Ennio non sarebbe piaciuto’. ‘Non è vero’, dice adesso Rosetta.

Eppure questa coppia famosa, ‘i Flaiano’, pur di non sparire da quel mondo accettarono l’orribile diktat di segregare come una vergogna la loro figlia. Pur di conservare la loro identità sociale, si rassegnarono a preferire alla loro amatissima figlia le stupide risate a tavola, le estasi per qualche trovata dell’amico Fellini o di altra gente di quel bel giro impennacchiato di allori. Anche questo è tremendo. Vuol dire che anche nei migliori intellettuali c’era qualcosa di più grande dell’amore. Ed era la considerazione sociale, l’opportunità di essere nel circuito virtuoso dove si produce l’arte ma soprattutto si munge la lira. E lì sta in fondo la colpa anche dei migliori, come Ennio Flaiano, come la brava signora Rosetta. Mi domando perché non si sono segregati loro, oppure tutti insieme non hanno abbandonato quel simpatico gruppo che aveva fastidio della cosa più cara che ci sia al mondo, e cioè una figlia. Se fosse stata al posto di Rosetta, una di quelle madri di campagna e timorate di Dio, che ho in mente io, a Fellini avrebbe avvelenato la minestra. Avremmo avuto forse meno poesia al cinema, ma un pò di giustizia in più nella vita.

Senza giungere a rimedi così drastici, è forse più utile ricordare l’esperienza del grande intellettuale francese Emmanuel Mounier. Ebbe una figlia, con un handicap gravissimo, era silenziosa, inerte. Lui e la moglie decisero di collocarla nel posto d’onore a tavola, specie quando venivano ospiti importanti. Mounier guardava la sua piccola Françoise come la presenza fisica del Mistero d’amore. In una lettera Mounier ha ricordato a tutti gli intellettuali del mondo: ‘Non è che si può soltanto scrivere libri’. O fare cinema. O – lo dico a me – buttar giù articoli. C’è qualcosa di più importante. E’ Luisa. Le Luise della nostra vita“.

Cosa dire… preferisco non dire niente… riporto solamente un breve passo di Emanuele Mounier tratto dal libro Lettere dalla sofferenza… E’ una bella lezione di amore e di umanità:

Che cosa importa se il sonno della nostra bambina si prolunga? L’universo dove dobbiamo vivere è presenza di Dio, dove tutte le delusioni del tempo possono trovare immediatamente il loro posto, tutte le sofferenze trasformarsi in gioia. Non ci resta che diventare cristiani a tempo perduto… Sentivo che mi avvicinavo a quel piccolo letto come ad un altare, ad un luogo sacro da dove Dio parlava mediante un segno. E tutto intorno alla bambina, non ho altre parole: un’adorazione. Bisogna osare di dir­lo: una grazia troppo pesante. Un’ostia vivente in mezzo a noi. Muta come un’os­tia. Splendente come un’ostia… “.

Questo articolo è stato scritto nel 2008, quando Eluana era ancora viva

 

 

 

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