GALATRO AL MIO SGUARDO di don Rocco Distilo

Di colle in colle, di balza in

balza pare mi venga incontro,

il santo Speleota che qui, in

Galatro, forse è sepolto.

         Godersi il panorama di Galatro dalla contrada “Farinella”, significa esaltarsi, sognare, volare quasi… Montebello sembra nascere dal fiume Metramo, che gradatamente ascende allargandosi alla base e stringendosi in linee perfette di un triangolo, tutto smeraldi abbacinanti al sole. Colline di ulivi fanno cornice in un giuoco di luci e di ombre; al vertice il bianco Calvario, dominante la piana: mare di un cilestre diafano, che si perde in una luminosità vaga, in un tenuissimo cerulo di onde marine, per cangiarsi in tinte sfavillanti d’azzurro e d’arancio. Fèrmati lassù nelle mattinate serene, quando la stella di Venere non si è del tutto sbiancata: un orizzonte tenero, che ti abbraccia sotto un cielo che si fa di momento in momento trama che una spola di fata arabesca e un pennello lascia come in una tela immensa forme e colori mai visti e che ti prendono anima e corpo in una estasi completa. Spontaneo il grido sulle tue labbra, quello di V. Hugo:

“Je me suis dit en moi: Cette grande

nature, cette création…  

sait tout! Tout serait clair pour qui

la comprendrait.”

         E non appena il sole si affaccia dai culmini dei monti, tu non vedi che cascate d’oro, che dilagando nelle pianure formano un oceano tutto barbagli, da cui come da abissi impensabili, una fuga di vie che si snodano, s’incrociano allungandosi come fiumi: le siepi, gli alberi, i tetti delle case, le casupole biancheggianti sui colli, mandano sprazzi di luci in lame accese come schegge che si staccano da rocce incandescenti. Magenta si estende in perfetto rettangolo tra aranci e castagni incastonandolo di ametiste e turchese, profumato di zagare e basilico; listato dalle sponde del fiume e carezzato dalle falde dei monti che s’aprono come scenari, ne fanno una valle ridente e fiorente. I tramonti da nostalgiche elegie si mutano in inni di porpore ardenti. Siedi: ascolterai la voce del Titero di Virgilio, che parla a Melibeo:

“Hic tamen hanc mecum poteras requiescere noctem

fronde super viridi: sunt nobis mitia poma,

Castaneae molles, et pressi copia lactis;

Et iam summa procul villarum culmina fumant,

Maioresque cadunt altis de montibus umbrae”.

         E’ la terra dei poeti Conia e Martino e, in altro campo, del grande clinico Angelo Lamari, il Tacito della medicina. Ma da quest’angolo il mio pensiero va a tutta la Calabria e ai suoi grandi: da Cassiodoro a Corrado Alvaro. A notte calata, quando c’è il lume di luna, che tonda veleggia, falcata, pende da un angolo del cielo profondo, Magenta è un tessuto, un trapunto di mille pieghe, dalle mille sfumature, che semina gemme, mentre da l’alto delle sue montagne un flautare dolce con la cetra del suo fiume e un ceramellare riposante delle sue fontane che scaturiscono da ogni sentiero, ti trasportano in alto lasciando al basso ogni umano pensiero.

         Alle mie spalle il Sant’Elia, il monte dove un giorno un Monastero di frati basiliani, era cenacolo d’amore e di studio. Mi portò lassù, quasi pellegrino orante e meditante i fasti antichi d’una storia che, alla bellezza di natura, conserta su Galatro e la Calabria tutta una corona di gloria: un passato di fede, di scienza e di arte. Di colle in colle, di balza in balza pare mi venga incontro il Santo Speleota, che qui, forse è sepolto. Ogni pietra, ogni rudere è altare e cattedra. E sento tra le fronde che una leggera brezza mattutina muove appena, un salmodiare dolce. Una soffusa serenità di pace è soltanto turbata dal tormento di sapere e di conoscere. Vorresti quasi scavare con le unghie in quella terra benedetta, vorresti s’aprisse come un libro per leggere e vedere, ma il buio dei tempi e l’oblìo…

         Pensoso, meditabondo ritorno e non so che ripetere col Carducci:

“Fuga di tempi e barbari silenzi

vince e dal flutto delle cose emerge

sola, di luce ai secoli fluenti

faro, l’idea”

Da “Risveglio”Galatro: Giugno-Luglio 1964

Ho già scritto che mi ha sempre affascinato l’idea di creare, in questa mia pagina web, una “sezione”, anche piccola, di articoli su “Galatro e Galatresi” che, pubblicati nel corso degli anni passati da quanti si sono occupati di Galatro e della sua storia, meritano ancora oggi di essere riproposti per la delicatezza delle tematiche affrontate e per quanto ancora riescono a “risvegliare e far ricordare”. Con questo articolo voglio ricordare il compianto don Rocco Distilo, che ha scritto sulla nostra Galatro tanti articoli che non meritano di restare, o finire definitivamente, nell’oblio. Anche in questo caso, non voglio fare nessun altro commento… spero solo di riuscire a portare alla luce tanti altri articoli come questo. (ms)

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