LA CHIESA, LA CULTURA E LA GRAZIA: UNA STORIA NUOVA NELLA STORIA

La domanda che vorrei fare a tanti “cattolici” che incontro nei social network è questa: come mai leggo le loro analisi su partiti, personaggi politici, sull’economia, sull’euro, su tutto, ma mai che ci si riferisca in modo esplicito, e spesso neanche implicito, a Cristo redentore quasi che la fede non avesse nulla a che vedere con la vita di tutti i giorni.  Eppure se ben guardiamo la realtà che abbiamo intorno, gli orizzonti che si aprono si presentano, oggi più che mai, come una “sfida cristiana” che è proprio l’impegno per una vita riconciliata a partire dal riconoscimento di Cristo come “centro del cosmo e della storia”: una sfida alla pretesa tipica della cultura moderna, di progettare l’autorealizzazione dell’uomo, la sua autoredenzione, proprio sull’esclusione o sulla sistematica indifferenza a Dio.

Francamente, mi piace evidenziare come non si può avere l’assillo di prospettare tutte le operazioni di carattere sociale, di cui la riconciliazione tra gli uomini sarebbe l’esito, ma bisogna partire dall’invito a vivere una partecipazione attiva, nell’oggi, alla memoria dell’Avvenimento cristiano, nella riconciliazione dell’uomo con Dio e portare questa memoria in tutti gli aspetti dell’esistenza, in tutti gli impegni personali, culturali, sociali e politici.

In tanti interventi mi pare di percepire che Cristo sia visto solo come una cosa riservatissima, o un presupposto dato per scontato, e legittimante rispetto a una discussione puramente accademica, che sa solo stigmatizzare il male, e su questo campo è facile trovare un accordo, perché il moralismo è la cosa più facile da portare avanti: la fede invece rende l’uomo più umano e lo pone nella convivenza sociale come fattore attivo e responsabile della grande riconciliazione che Dio ha operato in Gesù Cristo. Non si tratta affatto di occupare, culturalmente e politicamente, spazi nella società: si tratta, invece, di rinnovare ogni giorno il grande dinamismo della missione cristiana, che rivela ad ogni uomo il suo volto autentico, e offre alla società “un esempio” che la aiuti ad essere più giusta e più umana.

Non si può negare che sia in atto, anche nel variegato mondo cattolico, una tendenza a concepire la fede come un fatto che non identifica la persona nella sua unità di vita e di cultura, ma occupa soltanto uno spazio “religioso o spirituale” indifferente alle vicende culturali e sociali che si vivono, come se fosse indifferente ad esse: una fede così concepita tende, al di là delle intenzioni, a rimanere subalterna alla cultura mondana, cioè alle ideologie che sono vincenti in questo momento della vita sociale e culturale del nostro Paese.

L’errore dell’educazione ecclesiale, nel quale si persevera da tanto tempo, penso è da individuare proprio in questo: nella rottura della relazione tra fede e vita e, pertanto, il cristianesimo è stato sostituito con qualcosa di astratto, come una nube in cielo, che si dissolve al primo vento. In ogni caso,  è sotto gli occhi di tutti come alla Chiesa viene assegnato un ruolo sempre più marginale.

Bisogna prendere atto realisticamente che oggi, anche nella porzione di Chiesa rappresentata dalle realtà nelle quali viviamo, si confrontano posizioni culturali diversamente caratterizzate, che giungono poi, ovviamente, a conseguenze diverse di giudizio e di comportamento sia nella società che nella Chiesa. “La Chiesa promuove una riconciliazione nella verità, sapendo bene che non sono possibili né la riconciliazione né l’unità fuori o contro la verità”, affermava Giovanni Paolo II, infatti la riconciliazione cristiana non è il suggello di ceralacca a una pagina di storia scritta da altri, ma “una storia nuova nella storia”.

L’alba di un mondo nuovo si chiama “missione”, cioè quello che c’è più bisogno oggi nelle nostre Diocesi e nei nostri paesi. Bisogna guardare alla Chiesa come unica realtà “missionaria”, perché è nella missione, e non nella strategia senza annuncio, che sta la possibilità di avvicinare coloro che sono lontani (che poi sono quelli che ci ritroviamo gomito a gomito in piazza, nella Chiesa, sul posto di lavoro, nella casa), nelle concrete vicende sociali e personali, talvolta tragiche e dolorose, che le circostanze li portano a vivere.

In un discorso radiofonico poco conosciuto, letto proprio la notte di Natale del 1969, un giovane teologo bavarese, Joseph Ratzinger, tracciava la propria visione sul futuro dell’uomo e della Chiesa che oggi, a distanza di quasi 50 anni, assume i toni di una profezia, una condizione che potrebbe attendere la Chiesa odierna, con la tentazione di ridurre i preti ad “assistenti sociali” e la loro opera a mera “assistenza politica”: “Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diverrà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la Fede al centro dell’esperienza. Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato politico flirtando ora con la Sinistra e ora con la Destra. Sarà povera e diventerà la Chiesa degli indigenti. Allora la gente vedrà quel piccolo gregge di credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per sé stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto“.

Questa condizione sarà un banco di prova per la Chiesa, su quel cammino che Ratzinger delineava in un “processo lungo”, dove la Chiesa dovrà essere sempre più “missionaria” e presente, in un mondo di indescrivibile solitudine, dove gli uomini avendo perso di vista Dio resteranno solo con l’orrore della loro povertà e solitudine e guarderanno alla Chiesa, con la speranza che possa, sempre più, essere luogo di incontro e segno di compagnia umana capace di infondere fiducia e speranza alle persone che, nelle concrete vicende sociali e personali spesso tragiche e dolorose, rivolgono la loro mente e il loro cuore a Cristo.

Chi si accosta alla Chiesa non apre il suo cuore per vivere da liberale, marxista o capitalista, ma cerca il fascino della bellezza della vita cristiana, vuole vivere da cristiano, nonostante tutti i problemi e le contraddizioni da affrontare.

Questo fa la differenza… e non è un dettaglio di poco conto!

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