LE TERME DI GALATRO: TRA LE ACQUE MIRACOLOSE LE RELIQUIE DEL PASSATO

Sono passati quasi quaranta anni, era il 5 luglio del 1983, quando su “Il Tempo” di Roma, a firma della giornalista Clara Falcone, è stato pubblicato un bellissimo articolo sulle Terme di Galatro: erano state riaperte all’utenza esattamente da due anni, infatti il 12 luglio 1981, l’allora Sindaco Bruno Marazzita aveva dato il via all’aperura del vecchio Stabilimento termale. Il mondo stava cambiando rapidamente e con maggiori livelli di complessità e strategie del passato, che hanno messo alla prova i responsabili politici che si sono succeduti negli anni: si è tentato, per dirla con le parole dalla Falcone (che oggi risuonano come una “profezia”), di tornare alle antiche glorie anche se i progetti grandiosi rischiano di turbare l’armonia di questo incantevole luogo fuori dal tempo… ma per gli amanti dell’avventura e dell’archeologia questo è il Paradiso sulla terra, un luogo benedetto dalle acque. Tanti progetti immaginati nel passato, non sono stati altro che l’anticipazione di un futuro che si desiderava ma che non esisteva ancora, dove il ‘prevedere’ ha implicato fare dei piani in circostanze di incertezza, suggeriva di avere prudenza, saggezza in un modo quindi molto simile a come noi usiamo oggi, e la parola abilità stava a immaginare un progetto, così come immaginato dalla Falcone che  “doveva coinvolgere tutta l’area del Fermano, spumeggiante in un paesaggio da favola tra il fascino del passato e la possibile speranza di un avvenire” (ms)

Calabria sconosciuta: da Palmi alle Terme di Galatro

TRA LE ACQUE MIRACOLOSE LE RELIQUIE DEL PASSATO

di Clara Falcone

Palmi si affaccia sul mitico mare della Costa Viola, unica per quella sua rocca balzante dalle acque, sulla cui cima svetta un olivo. Ma, appena presa la strada per l’interno, verso Galatro, alla prima svolta, già la presenza del mare, quella sua luce tagliente e un po’ quieta, il suo vento, scompaiono fugati da una grande pace agreste. La campagna si stende verde, ricca, padrona. Mano mano gli olivi cedono alle acacie, le quercie, gli ontani. Immensi eucalipti immergono nel cielo le loro chiome bipenni. Finché al termine di circa trenta chilometri, ecco lo scenario, nel triangolo di cielo tra le quinte dei declivi simile ad un fondale di tela dipinta, il pan di zucchero di una montagnola, su cui si aggrappano le casette come se stessero chiacchierando tra loro: la chiesa fa bella mostra di sé con il suo campanile, invidia del più esasperato pittore naif.

Qui, a questo impagabile chiché, le persone dei villaggi vicini arrivavano con biroccio e masserie, affittavano una stanza e si facevano la loro brava cura termale nelle acque del fiume, tra le gole di due pendii, ormai saldati in un cuneo alle spalle del paese. L’auto ha adesso facilitato le cose. La gente va e viene in giornata. Le vasche sono poche, lo stabilimento è piccolo ma lindo, quasi una pascoliana villetta di campagna. Acqua sulfurea salso-iodica, informano le indicazioni. Artriti, malattie reumatiche, affezioni cutanee. Inutile cercarlo nelle guide importanti, in ogni modo, questo stabilimento. La selvaggia natura e la fresca rinascita ne proteggono ancora i balbettamenti. Nelle acque argentee del torrente, tra i canneti e le alte erbe, le bestie guariscono dalle piaghe. Una grande vasca in pietra, incassata entro lo strapiombo del monte, simile ad un maestoso balcone, ricorda il tempo in cui qui si bagnava l’abate basiliano.

Sant’Elia, si chiama, infatti, la fonte. Dai tempi di Cassiodoro a quelli dell’Inquisizione, qui visse l’ordine dei monaci di San Basilio, distribuendo benedizioni e miracoli termali. Ora, dopo un settecentesco passaggio dei cappuccini e uno di quei cataclismi che colpiscono questa terra, si tenta di tornare alle antiche glorie. Anche troppo, forse, poiché i progetti grandiosi rischiano di turbare l’armonia di questo incantevole luogo fuori dal tempo. Molto, oltre a ciò, il paese non offre, a meno che non si vogliano prendere in considerazione certe salsicce sublimi e una cacciagione da re. La notte conviene sostare a Palmi. Ma per gli amanti dell’avventura e dell’archeologia questo è il Paradiso sulla terra: un luogo, tra l’altro benedetto dalle acque. Il Fermano scroscia sfavillante in una cascata che chiude il varco della valle, poi corre ad unirsi al Metramo e il Metramo va ad arricchire il Mesima: nomi che respirano di Grecia. L’Ellade è nell’aria, passano echi di storie saracene: gli assalti dal mare, le popolazioni in fuga, portando con sé, deformato, nella nuova sede il nome del paese di origine. Aulinas diviene Sant’Elia e poi Palmi; Galatro non si sa se si rifaccia al Kaloè, buono, e al Galà, latte, per la bianca opalescenza delle sue acque. Tra Palmi e l’entroterra  si stende l’antico terreno alluvionale della Vallus Salinarum: qui sorgeva Calastrum. Risale a quel tempo l’incantevole cripta paleocristiana dedicata a San Fantino che ora va, negletta, sfacendosi nell’umidità?

Medma, all’ingrosso l’attuale Rosarno, si trova d’altronde a ventun chilometri. Poteva una così raffinata città – i cui commerci con i maggiori centri jonici preferivano alle furie di Scilla e Cariddi i percorsi terreni, attraversando la punta dello stivale italico, fino a Locri – ignorare quei luoghi e non approfittare di quelle acque? Medma è un altro abbandonato luogo da visitare. Dei suoi cocci ha riempito il mondo, inconfondibili per quella loro particolare terra rossa segnata da impurità di quarzite. Così, sotto il sole, dormono i sassi di Medma, meta di vari ladruncoli, alcuni studiosi e rari amanti della ricerca di bellezze dimenticate. Il Fermano spumeggia in un paesaggio da favola, non ancora toccato da profanazioni edilizie, ma con una minaccia incombente. Galatro si annida con le sue acque miracolose nella nicchia miracolosa tra due monti, tra il fascino del passato e la possibile speranza di un avvenire. E, tra abbandono ed avvenire si affaccia la svolta di un mutamento. Prima che muti è un sogno che val bene cercare, per non trovarsi un giorno poi, soli dinanzi al risveglio. Fatto di cemento.

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2 risposte

  1. Salvatore Rizzo ha detto:

    Sono testimone della bellezza dei luoghi citati, della salutare acqua sulfurea che ha curato me e la mia famiglia e della amorevole accoglienza di un ambiente popolato da persone vere, generose, nobili di animo e per tradizione. Un incanto che va protetto.
    Sono sicuro che la gente e in special modo gli intellettuali numerosi che Galatto possiede non permetteranno di distruggere con il ” modernismo ” sfrenato questo angolo di paradiso.

  2. Giuseppe ha detto:

    PEPPE OCELLO ha così commentato l’articolo. Io gli dico “Grazie” per il contributo.
    Le Terme di Galatro, come il Convento Sant’Elia di cui si tratta in questo post, sono due meravigliosi siti del nostro piccolo ma affascinante paesello dalle caratteristiche paesaggistiche più uniche che rare.
    Se delle terme oggi possiamo trarne enormi vantaggi in termini di benefici sanitari oltre che occupazionali e di sviluppo socioculturale, lo dobbiamo al sindaco per antonomasia Bruno Marazzita che coadiuvato dai suoi vari amministratori caparbiamente volle, persegui’ ed ottenne l’acquisizione pubblica dello stabilimento di proprietà privata in mano degli eredi legittimi. Altrimenti destinato all’abbandono e allo spreco di così tanta ricchezza e abbondanza di proprietà curative naturali. Altrettanto fermamente egli resistette al serrato corteggiamento dell’allora colosso della Montecatini Terme che intendeva rilevarne la gestione o la proprietà. Se abbia fatto bene o male su questo diniego non mi pronuncio perché se da un lato avremmo avuto di certo una visibilità nazionale, in cambio ci sarebbe probabilmente stata una qualche obbligata rinuncia, Ma è innegabile che le terme siano state una sua creatura, avendole riscattate e portate a nuova vita. Si dice della mancanza di uno specifico progetto: ma quale miglior progetto della forza delle idee. Marazzita l’idea l’ha avuta, l’ha perseguita e portata a termine. E oggi è la bella realtà che conosciamo.
    Peccato invece che nessuna iniziativa sia mai stata avviata per altre due ricchezze presenti sul nostro territorio e che altre amministrazioni del nord avrebbero reso fonte di fruttuoso turismo: il Convento e l’ “Officina”, entrambe frequenti mete escursionistiche di noi adolescenti galatresi degli anni ’60/70. La prima, il Convento di sicuro inetresse storico-religioso-culturale e la seconda, una piccola centrale idroelettrica che alimentava la Piana e parte della Sicilia, che gli attuali ecologisti avrebbero gradito poiché totalmente “green”, colpevolmente abbandonate da tempo ed ormai avviate alla loro inesorabile e completa distruzione. Ma se la storia, e lo studio del passato può aiutare a capire gli errori commessi, possiamo sempre sperare…

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