“GALATRO, PAGINE DI STORIA” DI UMBERTO DI STILO

Nel corso degli anni ho sempre visto Umberto di Stilo, nel silenzio del suo studio immerso nei suoi studi e nelle sue ricerche, nei suoi appunti e nei suoi libri, intento a ricostruire la storia della nostra bella Galatro, del suo territorio, del suo ambiente e dei suoi abitanti. Ha scritto tanti libri di storia e un libro di Storia è uno strumento della cultura e della ragione che è in grado di stupire, (per un minuto, un’ora o anche più) perché ci mette continuamente a confronto con ciò che più dobbiamo combattere: l’ignoranza del nostro passato, l’ignoranza di sapere da dove veniamo e quale bella pagina di storia abbiamo dietro le spalle. E che questo ultimo libro di storia galatrese doveva essere pubblicato, è lo stesso Umberto di Stilo ad ammetterlo nella premessa: “Alla fine ho ceduto. Piuttosto che lasciarle chiuse in un cassetto, mi sono convinto che sarebbe stato opportuno dare alle stampe queste pagine. Non fosse altro che per dare ai miei concittadini interessati (pochi o molti che siamo non lo so) alcune “pagine di storia” galatrese. “Pagine” perché si tratta di pochi, ma significativi “assaggi” di quello che nel suo insieme è stato il cammino di civiltà che, nel corso dei secoli, ha compiuto la comunità galatrese”.

Con  questo libro “Galatro, Pagine di storia” Umberto di Stilo ha dato vita ad un importante mosaico, i cui frammenti non sono altro che pezzi di storia galatrese, curati nei minimi particolari, che insieme danno vita ad un grande, e splendido, disegno dove è racchiusa tanta storia e tante vicende, fino ad oggi sconosciute, della nostra Galatro. Lo scrittore Umberto Eco, in una intervista rilasciata prima di morire ha detto che “l’uomo colto non è quello che sa tutto e ricorda tutto quello che ha letto, ma quello che sa dove andare a cercare l’informazione nell’unico momento della vita in cui gli serve”. Proprio in questa affermazione di Umberto Eco si colloca l’importanza dell’ultimo libro di Umberto di Stilo: un meticoloso quanto prezioso lavoro che, oltre ad essere il frutto di una immane fatica di ricerca e di studio, è anche un atto di amore per il nostro paese, verso il quale anche chi non si è mai addentrato nelle vicende “storiche” della nostra Galatro e non si ritiene un cultore della memoria del nostro paese, deve dire “grazie” a Umberto Di Stilo perché ci lascia, oltre una grande testimonianza, anche la possibilità di andare a trovare quella informazione che solo lui ci poteva dare, nel momento in cui ne siamo alla ricerca.

 Nello studio del passato del nostro paese, che nasconde le proprie origini nel mistero dei tempi, l’amico Umberto ha speso gran parte della sua vita, cercando con rigore certosino ogni traccia che potesse costituire un segno della grande storia che abbiamo nel nostro passato. Leggiamo ancora nella premessa: “Come il paziente lettore potrà notare, in questo volume tratto argomenti completamente nuovi e ignoti a tutti insieme ad altri che pur essendo in parte conosciuti (perché anticipati in diversi articoli) sono qui arricchiti di particolari inediti, di nomi e di circostanze. Ho messo insieme queste pagine per non lasciarle ancora ingiallire. L’ho fatto, perché dopo anni di ricerche nei vari archivi pubblici e privati e nelle diverse biblioteche nazionali e regionali, avevo il dovere morale – verso me stesso e verso la mia famiglia che ha tollerato il mio pluridecennale peregrinare – di mettere sulla carta una pur se minima parte delle notizie raccolte. L’ho fatto – inutile negarlo – per soddisfare il mio orgoglio di galatrese e di appassionato cultore della storia locale, ma anche perché ho ritenuto doveroso cominciare a squarciare la cappa di indifferenza che da decenni grava sul percorso di civiltà compiuto dai nostri progenitori; percorso sul quale pesa come un macigno il disinteresse e, cosa assai più grave, l’assoluta mancanza di attenzioni delle istituzioni. Prima fra tutte la scuola”.

Ed ecco Umberto di Stilo, appassionato ricercatore, commuoversi ed esaltarsi a rievocar le vicende antiche della nostra Galatro e cercare di dare ai posteri le sue più minuziose ricerche, a cominciare dalla storia del complesso bandistico, rievocandone minuziosamente la storia impreziosita dai documenti allegati al libro, dall’atto costitutivo a tutte le vicende che si sono succedute dal 1890 in poi, quando ostacoli di natura amministrativa resero difficile la sopravvivenza del complesso bandistico, anche se l’allora sindaco Buda non si diede per vinto e chiamò in  causa il Ministro dell’Interno, che il 29 ottobre del 1900 ha annullato i provvedimenti precedentemente adottati contro la banda di Galatro. E abbiamo modo di approfondire come

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Fu così che nel 1909 anche a Galatro si ebbe la “banda rossa” e la “banda bianca”. La prima, composta di 40 elementi e diretta dal maestro Mazziniani, faceva capo al suo mecenate Avv. Giovanbattista Buda (che in quel periodo sosteneva la candidatura politica del socialista Arcà candidato al Parlamento per il collegio di Cittanova); la seconda, diretta dal giovane maestro De Angelis e voluta dal capitano Francesco Trungadi, sostenitore politico del liberale onorevole Alessi, anch’egli candidato al Parlamento nel collegio di Cittanova) … Due complessi bandistici in un paese di poco più di tremila abitanti che, anche senza volerlo, avrebbero creato delle rivalità… Subito dopo la conclusione del primo conflitto mondiale il maestro “Peppino” De Angelis lasciò Galatro e il maestro Mazziniani ebbe la favorevole opportunità di unificare i due complessi bandistici creandone uno di prim’ordine. Finirono così le rivalità e il nuovo “gran concerto bandistico di Galatro continuò a primeggiare in tutta la Calabria”. E, oggi, della tradizione musicale galatrese resta solo il ricordo e, in qualche anziano cittadino, forse anche il rimpianto”.

E man mano che andiamo avanti nella lettura del libro, ci rendiamo conto della sua preziosità, soprattutto quando leggiamo alcune pagine di storia nostra di cui è svanito pure il ricordo, come la scoperta dell’esistenza della Chiesa dei santi Gregorio ed Elia: uno dei più antichi luoghi di culto che nel corso dei secoli sono stati eretti sul territorio galatrese è sicuramente quello che inizialmente è stato dedicato a san Gregorio vescovo e taumaturgo e, successivamente, anche a sant’Elia. Luogo di culto del quale, però, anche tra i fedeli locali non è giunta memoria.

Così come dei “Galatresi nella Guardia Nazionale” e le varie situazioni nelle quali si distinsero nella lotta al brigantaggio postunitario, tanto da essere additati per il coraggio dimostrato in diverse azioni e premiati con la medaglia d’argento al valor militare. Galatro fu uno dei primi comuni della Calabria ad avere una guarnigione della guardia nazionale ed il giovane Alfonso De Felice fu il suo primo comandante.

Non so quanti galatresi lo sanno, ma l’epopea garibaldina aveva generato grande entusiasmo in tante comunità. A Galatro si era progettato anche di fondare un nuovo nucleo urbano da chiamare “Garibaldipoli”. Umberto di Stilo, in un capitolo del libro, descrive dettagliatamente questa vicenda: “I galatresi che in modo concreto hanno lasciato traccia della loro ammirazione per Garibaldi, furono diversi. Lo hanno fatto proprio all’indomani dell’Unità con l’iniziativa di dare vita ad un nuovo villaggio che si chiamasse Garibaldipoli. Subito dopo ha provveduto il giovane Alfonso Defelice dando vita ad un circolo culturale… La fondazione di Garibaldipoli non si realizzò e rimase solo una nobilissima aspirazioni di quel gruppo di cittadini galatresi che desideravano ricordare e glorificare nei secoli a venire la loro devozione a Garibaldi”.

Dettagliato nei particolari il capitolo dove vengono elencati i Sindaci, i Commissari ed i Podestà che si sono succeduti alla guida di Galatro dal 1589 ad oggi, senza alcuna censura, da parte dell’autore, di come “ad ogni tornata elettorale, le divergenze ideologiche sono diventate causa di contrasti e dissensi che riportano in vita ataviche inimicizie tra persone e tra famiglie e scavano improvvisi e profondi solchi di indifferenza (se non addirittura di inimicizia) tra le giovani generazioni. E’ storia di ieri e dell’altro ieri. Purtroppo, però – a pensarci bene – lo è anche di oggi”.

Sulla ricostruzione dell’assassinio del socialista Francesco Pronestì, ho scoperto che non è stato ucciso a Galatro, come erroneamente ho sempre pensato, ma a Laureana: dopo il ferimento è stato ricoverato all’ospedale di Taurianova e essendo le sue condizioni gravi, per suo espresso desiderio, fu riportato a morire a Galatro nella sua abitazione.

Interessante il capitolo sulle nostre acque, del Metramo e degli altri fiumi, causa di molti danni a causa delle alluvioni che ci sono state negli anni. Ma Galatro vanta un patrimonio anche di acque termali, che rappresentano, e hanno rappresentato tanto, nella storia della nostra cittadina, infatti il libro presenta una dettagliata ricostruzione della storia delle terme, che parte dal 1842 fino ai giorni nostri, con ampia documentazione sia nel periodo precedente il 1981 che successivamente a questa data, quando l’Amministrazione comunale, allora guidata dal sindaco Bruno Marazzita, diede il via alla gestione diretta dello Stabilimento termale.

Tra storia e leggenda Umberto di Stilo racconta di come “tra i galatresi è stato molto diffuso e ben saldo anche il “sacro” culto delle acque… Si deve, certamente, ai profughi medmei che decisero di stabilirsi nelle vicinanze dei fiumi galatresi la realizzazione sulle rive del Fermano, di un tempio dedicato alle ninfe delle acque. I popoli antichi, infatti, nella fattispecie quelli di origine greca, conoscevano l’importanza dell’acqua al punto da erigere templi in prossimità delle fonti o delle sponde dei fiumi. Nella gola del Fermano, che per loro rappresentò la sacra “gola delle ninfe” i profughi magnogreci di Medma eressero il loro tempio. Scelsero l’argine del fiume, in prossimità delle sorgenti solfuree, giacché, per loro, quelle acque calde erano la testimonianza diretta e concreta della potenza divina”.

Dobbiamo pur dire, e vantarci anche, che sono pochi i paesi che hanno un passato così ricco di arte, storia, cultura come Galatro, così come bisogna dire che nessuno come Umberto Di Stilo ha avuto la passione e la capacità di tramandare quanto è insito nella nostra storia più cara, facendoci sentire e vivere lo stato d’animo di un memorabile e fantastico mondo che ci costituisce anche nella nostra fisionomia; infatti la più autentica anima galatrese non si è staccata dai ruderi nascosti nella campagna di Cubasina, che nella loro solennità ancora oggi rompe il silenzio: il Convento di Sant’Elia.

Alto è il silenzio tra quelle rovine, sgretolate, smozzicate ricoperte di muffe verdastre, mentre la natura incombe sullo sfacelo con le sue lussureggianti vegetazioni. Ancora esistono squarci, sagome, mucchi informi sui quali lo sterpo contorce i suoi steli spinosi, solo la fantasia commossa crede di vedere, tra quelle mura ormai disfatte e cadenti la celestiale melodia del canto dei monaci “italo-greci”, successivamente chiamati “basiliani” (perché seguaci della regola di san Basilio Magno).

Con il capitolo dedicato alla storia del Convento di Galatro, l’Autore colma un grande vuoto storico e culturale, essendo quasi inesistenti gli studi rigorosi pubblicati sulla materia. E non ci sono parole più efficaci di quelle riportate nella premessa: “Ho privilegiato il Convento Sant’Elia perché dopo aver scritto per anni della necessità di valorizzare e far conoscere i suoi ruderi per tramandare alle generazioni future ciò che esso ha rappresentato per la nostra cultura, mi son dovuto convincere che mentre in altre zone c’è il culto della memoria e della valorizzazione dei luoghi fino ad inventarsi siti di importanza storica, a Galatro ci comportiamo esattamente al contrario e, refrattari alla storia locale, lasciamo che le antiche testimonianze vadano in malora o, peggio, che tra l’indifferenza generale delle istituzioni, diventino proprietà privata. Stanco di attendere e nella speranza che gli amministratori – prima o poi – decidano di rivolgere la loro attenzione anche su quel poco che resta dei nostri beni storico-artistici, dopo che il cemento e l’incuria hanno seppellito quanto rimaneva dell’antica civiltà galatrese, ho deciso di fermare l’attenzione sul “nostro” convento Sant’Elia e, sulla scorta dei documenti d’archivio, pubblicare la sua secolare e documentata storia”.

Umberto Distilo

Forse non sono riuscito a fare, in maniera esaustiva, una recensione al mirabile lavoro di Umberto di Stilo, ma non posso non evidenziare le belle sensazioni, misteriose e profonde che, le rievocazioni fatte nel libro, hanno acceso nel mio intimo, facendo vivere tutta la bellezza e la memoria di un passato che ancora oggi è in grado di trasmettere nuovi germi di vita: per questo penso che ci troviamo di fronte ad una grande opera, che Umberto di Stilo offre alla nostra bella Galatro, perché chi verrà dopo di noi conosca il glorioso passato della nostra bella cittadina, che non merita di cadere nell’oblìo.

Forse dirgli solo “grazie” è ancora poco… ma bisogna pur dirglielo, perché è grazie a lui e ai suoi studi se nei secoli a venire, del nostro paese resterà qualche traccia.

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