NEI BROCARDI L’ANTICA SAPIENZA DELLE NORME DI DIRITTO

Avvocato

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Mi è capitato, conversando con alcuni amici sulle “norme giuridiche contenute nei detti e proverbi”, di rendermi conto che non tutti sanno cosa siano esattamente i “brocardi”: secondo la leggenda, la parola “brocardo” deriva dal nome del canonista Burcardo, vescovo di Worms, che si sa nato nel 965 e morto nel 1025, e al quale si attribuisce la prima raccolta di aforismi giuridici, che è così databile, anno più anno meno, proprio nell’anno Mille… ma pare che questa è una leggenda.
Non è raro notare come oggi, in tanti arricciano il naso appena viene citato un “brocardo” sia per il cattivo latino in cui questi aforismi sono stati scritti, che per la subcultura giuridica di cui sembrano espressione. Ma non si può negare che, piaccia o non piaccia, i brocardi riescono a cogliere l’universale, e per quanti rivolgimenti il diritto abbia subito nei secoli essi appaiono tutti, o quasi tutti, veri ancora oggi, e veri al di là di ogni confine nazionale, riuscendo a custodire e tramandare nei secoli profonde verità in tanti campi, dove la legge ha lasciato vistose lacune.
Per un millennio, o quasi, la cultura dell’uomo di legge è stata una cultura per brocardi… si era tanto più sapienti quanto più brocardi si sapevano a memoria: chi ne conosceva mille, duemila, tremila, e sapeva pronunciare il brocardo giusto al momento giusto, quello che si rilevava risolutivo perché più di ogni altro pertinente al caso in discussione, era un grande avvocato, un grande notaio, un grande giudice.

Burcardo da Worms ( posta all'esterno del duomo di Magonza)

Burcardo da Worms ( posta all’esterno del duomo di Magonza)

Per secoli, tutta la cultura giuridica dei grandi avvocati risiedeva nelle centinaia, o migliaia, di brocardi che affollavano la loro mente, pronti a passare sulle labbra, opportunamente selezionati, non appena i loro occhi avevano finito di scrutare le carte… ed i brocardi che sono arrivati a noi sono il distillato di mille anni di sapienza giuridica, espressi nel linguaggio più elementare possibile, per essere compresi e, soprattutto, ricordati anche dalle menti più semplici.
Ai nostri giorni, negli anni Duemila, i brocardi, dopo avere superato il loro primo millennio, ci sono tutte le buone ragioni per ritenere che siano destinati all’estinzione, ma non perché siano sbagliati o superati o ridicoli, ma semplicemente perché si pensa che di essi non ci sarà più bisogno: alla memoria umana si è già sostituita la memoria artificiale… la funzione dei brocardi oggi è assolta da internet e dalle banche dati di cd e dvd.
E, proprio oggi che nei cd e dvd è stata memorizzata tutta la giurisprudenza della Cassazione e, purtroppo, sono in tanti che pensano che nessuno abbia più bisogno di memorizzare le conoscenze giuridiche tramandate attraverso i brocardi, perché tutti avranno in tasca o sul pc l’intero scibile giuridico… proprio per questo, ritengo importante e prezioso il libro pubblicato tanti anni fa dall’amico Umberto Di Stilo, dal titolo “’u ventu sparti”, che raccoglie le norme giuridiche della nostra civiltà contadina contenute nei detti e nei proverbi calabresi, in sostanza i nostri brocardi.

L'Avvocato

L’Avvocato

Il libro raccoglie le regole che appartengono, ancora oggi, in modo molto stretto, alla nostra storia, alla storia dei nostri padri, e sono state pensate per accompagnare, giorno per giorno, i gesti, le parole, i ritmi del tempo, la forma dei rapporti, l’accadere di determinati fatti… non come proverbi, ma come regole giuridiche che valgono nel mondo del diritto e, ancora oggi, conservano una attualità e validità impressionante.
Chi, dovesse scoprire il valore e l’importanza dei brocardi, ne tragga tutto il personale profitto che essi potranno offrirgli, perché non c’è banca dati capace di eguagliarne il contenuto e la sapienza che essi tramandano ancora oggi e, sotto questo profilo, il libro di Umberto di Stilo è una preziosa fonte, della quale mi piace riportare, di seguito, una piccola recensione, che ho scritto e pubblicato nel luglio del 1995.

Un altro gioiello dello scrittore galatrese
‘U VENTU SPARTI

Umberto Di Stilo

Umberto Di Stilo

“Secondo me è meglio rinunciare a qualcuna delle serate che, solitamente, si organizzano nel mese di agosto per allietare la presenza dei nostri emigrati, piuttosto che lasciare chiuso in un cassetto il minuzioso lavoro dell’amico giornalista Umberto Di Stilo”. Sono parole, scritte da Don Peppino Scopacasa nella premessa all’ultimo libro di Umberto Di Stilo, che rappresentano una proposta ed un richiamo, per chi sente l’esigenza di ritrovare una cultura ed una identità umana che ha lasciato un segno nei secoli e nella vita dei nostri avi: un mondo di valori, usanze, di tradizioni che sta scomparendo… ma che è possibile recuperare perché non scompaia anche dalla memoria.
In questo senso è da ritenere miracoloso il lavoro che da anni, con competenza, rigore e pazienza certosina sta portando avanti l’amico Umberto Di Stilo.
Il titolo del libro è “’U ventu sparti”, il sottotitolo “Norme giuridiche della civiltà contadina contenute nei detti e nei proverbi calabresi”: ultimo gioiello del Di Stilo che, a mio modesto parere, viene a rappresentare un ulteriore tassello di un unico mosaico, realizzato dagli altri lavori già pubblicati, uniti a quelli che lo saranno in futuro.
Questi “tasselli” rappresentano per i più anziani delle realtà ancora pulsanti nella memoria. Per i più giovani qualcosa di affascinante, anche se confinato definitivamente, per fortuna non irrimediabilmente, nel nostro passato.

Copertina "U ventu sparti" di Umberto Di Stilo

Copertina “U ventu sparti” di Umberto Di Stilo

Il libro raccoglie, per come dice il sottotitolo, norme giuridiche della civiltà contadina contenute nei detti e nei proverbi calabresi. Sono massime che appartengono, in modo molto stretto, alla nostra storia, e sono state pensate per accompagnare, giorno per giorno, i gesti, le parole, i ritmi del tempo, la forma dei rapporti, l’accadere di determinati fatti.
Sono elementi questi che danno al volume un interessante aspetto storico. Sono, infatti, riportati, detti che si sono spesso sentiti citati, ma sui quali non esiste praticamente alcuno scritto. Quindi il libro, o per meglio dire “i libri”, di Umberto Di Stilo ci danno la possibilità di scoprire e conoscere la nostra storia, anche se vissuta attraverso i detti popolari.
E qui sta un ulteriore merito dell’Autore: quello di aver fatto “rivivere”, dando dignità culturale a tutte quelle espressioni, sinteticamente definite “tradizioni popolari”, che non trovando ospitalità sui media ufficiali, rischiavano di non esistere più. Aver fatto rivivere una storia spesso non scritta, e perciò comunicata al di fuori dei tradizionali canali, legata a ciò che hanno pensato, creduto e vissuto uomini che non hanno lasciato alcuna traccia.
Sono pochi gli studiosi che si sono addentrati in una così delicata e paziente opera di “ricognizione” storica capace di offrire uno “spaccato” di vita ormai scomparso.
Non un mondo idilliaco né la ricerca del tempo perduto, ma la memoria di una tradizione, ancora capace di suscitare interesse e meraviglia.
CinghiaLe ragioni dell’interesse al lavoro del Di Stilo sono indubbiamente varie ma, tra di esse, non va sottovalutata quella attenzione posta alla valorizzazione degli insegnamenti tramandati sotto forma di detti e proverbi. In questa prospettiva non solo gli storici ma, più ampiamente, anche le persone culturalmente più sensibili desiderano conoscere le forme e le espressioni nelle quali, nel corso dei secoli, si è venuta delineando la fisionomia del nostro popolo.
In questo senso si comprende, quindi, come tutta la lunga e travagliata fatica di Umberto Di Stilo, assuma una singolare importanza ed attualità.
Tuttavia, nell’opera del Di Stilo non si intravede certamente la riesumazione di qualcosa di morto, ma la memoria di un patrimonio vivente, anche se sommerso… un patrimonio che mette in evidenza l’incontro con la vita quotidiana di un popolo, intessuta di usi e credenze, riti e superstizioni, pietà popolare e miracoli, lotte di sopravvivenza e feste dell’anno e delle stagioni, lavoro duro della terra e gusto di un serio e laborioso artigianato…
E, per ultimo, parlando di tradizioni popolari intese come patrimonio di esperienze e di memorie che hanno determinato e guidato la vita della nostra gente, il Di Stilo ha incastonato mirabilmente anche quell’insieme di consuetudini giuridiche per cui i contadini potevano far legna nei boschi, usare il pascolo, servirsi di una strada, raccogliere i frutti, ecc. “Siamo di fronte – scrive il Di Stilo – alle antiche norme… alla “sacralità della parola” quando gli accordi erano siglati da patti verbali e da un’amichevole stretta di mano”. Non a caso, nel diritto romano, la parola data dal “pater familias” veniva definita “sacramentum”. Altri tempi…
A questo punto mi resta poco da aggiungere… e quel poco si può sintetizzare in questo: conosco da anni Umberto Di Stilo, ho seguito il suo lavoro attraverso i suoi libri e, buona parte, degli articoli pubblicati.
UdienzaDovrei aggiungere, a questo punto, che invidio Umberto Di Stilo. Ma affinché la mia dichiarazione non sia fraintesa, voglio precisare che si sono due tipi di invidia. C’è l’invidia “rosa”: vedi uno più bravo, più competente, più studioso di te e ti capita di pensare che staresti bene al suo posto, o che comunque ti piacerebbe riuscire a realizzare quello che ha fatto lui. Punto e basta!
Poi c’è l’invidia “gialla”, anzi tendente pericolosamente al verde pisello (o al verde bile): è il sentimento di chi si rode nell’ombra e si augura che agli altri non capitino cose belle e buone. Questa è l’invida di chi, in realtà, soffre della fortuna, della bravura, della competenza degli altri.
Di quest’invidia turpe il sottoscritto è, grazie a Dio, del tutto immune. La mia invidia per Umberto Di Stilo è di un bel rosa solare… a lui auguro che trovi ancora il tempo, e le condizioni, di poter realizzare e pubblicare i lavori che da anni, a prezzo di sacrifici e di sudore, porta avanti.
Io gli posso solo augurare: “Buon lavoro”… Il tempo gli renderà gli innegabili meriti…

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