OGGI L’EUROPA COMPIE 60 ANNI… MA QUALE EUROPA…?

Il 25 marzo 1957, un lunedì, sei Paesi europei firmarono in Italia i Trattati per la costituzione della Comunità economica (Cee) e per l’Energia atomica (Euratom). Quel giorno, a Roma, nacque l’Europa unita. A firmare “I trattati di Roma” furono sei Paesi: Italia, Francia, Germania Ovest, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. La cerimonia era stata fissata per le 18 in Campidoglio, nella sala degli Orazi e Curiazi. Dietro un lungo tavolo, sedevano i rappresentati dei sei Stati. Per l’Italia c’erano il ministro degli Esteri Gaetano Martino e il presidente del Consiglio Antonio Segni. La cerimonia fu trasmessa dalla Rai in una delle sue prime eurovisioni. L’ultima firma fu messa alle 18.51. Dalla folla, che nonostante la pioggia si era raccolta fuori dal Campidoglio per partecipare a un evento storico, si alzò un applauso.

Nell’aprile del 2009, in occasione delle elezioni per il Parlamento Europeo, ho pubblicato un commento per chiedere e chiedermi “quale Europa ci troviamo oggi davanti”. Questo articolo, oggi, lo trovo più attuale di quando l’ho pubblicato.

PER QUALE EUROPA ANDIAMO A VOTARE?

E’ sotto gli occhi di tutti come l’Europa di oggi è lacerata da interessi strategici ed economici e deformata in riduttive e precarie unità fondate solo su questi interessi: non si può negare che, nonostante la scadenza elettorale, di Europa si è parlato pochissimo, infatti l’Europa degli ultimi decenni ha sofferto di un forte deficit politico, oltre che democratico, e di questo ne è prova la totale disaffezione dei popoli europei alle istituzioni dell’Unione, in primis al Parlamento Europeo.

Da più parti è arrivata la domanda di come può esserci una autorità politica, in rapporto diretto con gli elettori, se tra essi non vi è nemmeno un’unione linguistica: il Presidente degli Stati Uniti d’America viene eletto da persone che almeno lo comprendono nella lingua, questo non avviene nell’Unione europea. Non è mai esistito al mondo un soggetto politico i cui sudditi, o abitanti, o cittadini, non potessero capirsi reciprocamente. E questo è un problema di non secondaria importanza.

Non per spirito di contraddizione, semmai per consapevolezza di profonda amarezza, occorre affermare che la verità da proclamare sull’unità europea (quale Europa è ancora da scoprire!), è tutt’altra da quella che l’arroganza della logica dell’economia e della politica pretendono di imporre sotto gli slogans della propaganda che, mentre parlano di unità, di fatto chiedono il consenso per la divisione.

L’intera costruzione dell’Europa, negli ultimi decenni, è stata fatta su una scommessa: che dall’economia si arrivasse alla politica. Ma questa scommessa è chiaramente fallita, infatti non si riesce a capire qual’è, e quale sarà, il volto dell’Europa del XXI secolo: le sfide storiche che si sono profilate negli ultimi anni sono davanti agli occhi di tutti… il terrorismo internazionale, l’imponenza dei flussi migratori, la crisi energetica e, da ultimo, l’inaspettata crisi economica di proporzioni mondiali.

Queste sfide non sono meno ardue di quelle delle origini. Ed è probabilmente ritornando allo spirito delle origini che si può trovare lo slancio per affrontarle.

Nessuno stato europeo può pensare di poter affrontare e risolvere da sé i problemi dell’immigrazione, del terrorismo, dell’energia, della crisi economica. Da questo punto di vista l’Europa non è un’opzione, ma una vera necessità.

Per questo, per poter parlare veramente di Europa bisogna, innanzitutto spostare il dibattito dal piano politico al piano culturale: bisogna avere il coraggio di ritornare a parlare della verità sull’uomo, non homo oeconomicushomo politicus, ma semplicemente uomo.

L’Europa di oggi è attraversata da correnti, ideologie, ambizioni che hanno svolto un processo che ha portato a costruire sistemi che hanno messo in discussione l’uomo stesso, la sua dignità, la sua sete di assoluto, i suoi valori essenziali.

Per questo, non solo il solo a ritenere che gli europei, per incontrarsi realmente, hanno bisogno di riconciliarsi: questa parola non appartiene né alla logica dell’economia né alla logica della politica, anzi l’una e l’altra la odiano, per questo la censurano e cercano di isolare chi la mette in campo.

Riconciliazione è la parola più radicalmente, ed inesorabilmente, contestatrice dell’assoluto economico e politico, ma è anche la parola che riesplode piena di  verità ogni volta che la divisione porta a compimento la sua follia sterminatrice: è la parola esplosa ad Auschiwitz, a Dachau, a Varsavia, dopo che l’uomo ha vinto il terribile mostro della violenza nazista.

La vera unificazione dell’Europa si fa nella costruzione di un uomo riconciliato con se stesso e con il mondo…

Parlare così, forse per tanti, suona come qualcosa di astratto, e per come si presentano le cose sembra proprio così, anche se, personalmente, sono convinto che si tratta del più realistico discorso che si possa fare.

Però, mi voglio augurare che quanti ritengono questi discorsi “astratti”, non siano quelli che poi si stupiscono e si scandalizzano quando sui nostri quotidiani non si parla d’altro che di analisi cervellotiche della crisi, di strategie di partito, di politica delle clientele, di corrotti e corruttori, di decisionismo e ostruzionismo e… chi più ne ha più ne metta!

Il tutto per la grande gioia della nostra cultura (?) che, così spassionatamente, continua, sempre di più, a girare a vuoto…

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