ALCIDE DE GASPERI

Alcide De Gasperi è nato a Pieve Tesino il 3 aprile 1881 ed è morto a Borgo Valsugana il 19 agosto 1954. Esponente del Partito Popolare Italiano e fondatore della Democrazia Cristiana, fu l’ultimo presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia e il primo della Repubblica Italiana. Reputato uno dei padri della Repubblica Italiana, è considerato (assieme al tedesco Konrad Adenauer, ai francesi Robert Schuman e Jean Monnet, all’olandese Johan Willem Beyen, al belga Paul-Henri Spaak, al federalista Altiero Spinelli) uno dei padri fondatori dell’Unione europea. Oggi ricorre il 65° anniversario della morte. Nel 1995, quando già si era entrati nella fase cosiddetta post-democristiana, ho voluto ricordare il grande statista, sulla rubrica che tenevo su Proposte, con questo scritto.

In questi ultimi giorni di agosto la stampa ha ricordato il 41° anniversario della morte di Alcide De Gasperi, mettendo ancora in rilievo le polemiche tra le due fazioni della, ormai, “fu” democrazia cristiana: “Gli ex dc si dividono pure sulle spoglie di De Gasperi. Non solo separati in casa, ma anche sulla tomba. Anche ieri che correva il 41° anniversario della sua scomparsa, i post-democristiani hanno commemorato De Gasperi. Risultato: due messe, due cortei, due corone di fiori (quasi che anche quelle rischiassero di litigare fra di loro). E la constatazione che la ‘sopravvissuta nomenklatura democristiana’ ne ha dissipato l’eredità”. Ma, su buona parte della stampa, nessun rigo sui contenuti dell’eredità lasciata da De Gasperi… tanti giornali non hanno perso l’occasione per fare politica, piuttosto che ricordare “cosa ha trovato e cosa ha lasciato De Gasperi”. E, nonostante i tristi giorni che gli ex dc stanno passando, vale la pena di soffermarci su alcune cose. Prendiamo appunto quello che ha fatto per l’Italia Alcide De Gasperi. Il suo capolavoro (quello che gli guadagnò perfino l’ammirazione di laici come Pannunzio) fu la Ricostruzione. Parola ‘astrusa’, se non confrontata con qualche cifra. Le cifre sono sempre aride, ma talvolta contribuiscono a rappresentare meglio una situazione.

Innanzitutto fu un’opera immane. De Gasperi nel 1945 assunse la guida di un Paese a pezzi… in tutti i sensi. Macerie dalle Alpi alla Sicilia. Case, strade, ferrovie, ponti, acquedotti, distrutti per gran parte (le immagini che ci provengono dalla ex Jugoslavia sono niente rispetto alla distruzione del nostro Paese all’indomani della guerra). La flotta mercantile perduta al 90%, i treni al 75%. Danni di guerra nell’agricoltura per 300 miliardi, nell’industria per 550 miliardi, nell’edilizia per 100 miliardi, nelle ferrovie per 400, ecc. ecc. Era un’economia in ginocchio, con un futuro da Terzo Mondo. Lo Stato aveva 832 miliardi di uscite e 520 di entrate, con 360 milioni di dollari di risarcimenti di guerra da pagare come nazione sconfitta. Il patrimonio nazionale era perduto per tre quarti. Intanto nel Paese ogni giorno si era alle prese con il dramma della sopravvivenza quotidiana, cioè la fame, il dilagare di malattie (specialmente la Tbc) e una gigantesca disoccupazione. Il generale Caviglia paragonava l’Italia a “uno straccio su cui tutti potevano sputare”. L’Italia era un paese nemico e sconfitto. De Gasperi dovette sopportare umiliazioni ignobili. Ma il dramma non era solo l’ostilità internazionale, perché alle trattative di pace si decideva su piaghe aperte come la restituzione di centinaia di migliaia di prigionieri, le enormi ricchezze perdute dall’Italia nelle sue ex colonie, i pezzi di territorio italiano cui dover rinunciare, i danni di guerra.

Ancora nel 1947 De Gasperi doveva andare negli Usa (con un cappotto preso a prestito) a chiedere di aumentare la razione quotidiana di pane a 200 grammi a persona. E se questi erano i problemi con “l’esterno”, “l’interno” era ancora peggio, in quanto il Pese fu, per anni sospeso sul baratro di una guerra civile. Un formidabile Pci, con più di 2 milioni di iscritti (quando la Dc ne aveva 700 mila), legato a filo doppio a Stalin, non solo occupava posizioni strategiche nel governo e nei settori della sicurezza, ma disponeva esso stesso di un’organizzazione militare pronta al colpo di mano. Pur con questi insormontabili problemi (e senza farsi mai illusioni sui lupi che nei momenti di pericolo si vestivano da pecore), De Gasperi ha portato a termine un’impresa che sorprese il mondo.  Gli economisti prevedevano che, nel migliore dei casi, all’Italia sarebbe stata necessaria almeno una generazione per risollevarsi. Ebbene De Gasperi in quasi otto anni è riuscito a trasformare “l’Italia delle macerie” in una delle prime potenze economiche dell’Occidente ed in uno dei Paesi più liberi del mondo. Il New York Times definirà lo Statista trentino “il più grande italiano del dopoguerra”. Eisenhower dirà: “De Gasperi era uno dei grandi uomini di questa epoca; ed ha ispirato non solo l’Italia, ma tutto il mondo”.

Le teste d’uovo che fanno opinione sui media, di queste cose, oggi, non ne parlano. Si percepisce quasi la diabolica sensazione che su questo si “deve” tacere. Commemorano De Gasperi ricordando soltanto le beghe dei suoi “eredi”… Peccato.

E ciò non toglie l’onestà a riconoscere che, nei decenni successivi alla morte di De Gasperi, diversi cavalli di razza hanno cercato di raccoglierne l’eredità… senza che nessuno finora ha potuto, sinceramente, affermare “che la Dc abbia trovato fra le sua fila un altro De Gasperi o un altro statista cattolico ugualmente illuminato”. Già, il vero problema è che tutti si dichiarano eredi di De Gasperi. Ma poi…

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