“UNA PENNA A PRESTITO”… ANCHE LA MIA LO E’

Due anni addietro, proprio in questo periodo, nel presentare la mia pagina web, mi è piaciuto evidenziare della bellezza che percepivo nel soffermarmi sulle sensazioni che più volte ho provato nello scrivere, sul grande senso di libertà e di “servizio” che provo quando mi trovo davanti alla pagina bianca che aspetta uno dei miei tanti, e talvolta disperati, assalti.

Ricordo che ho scritto di come, qualche volta, ho avuto l’impressione, con qualche articolo, di andare “sopra le righe”, tal’altra di mancare di prudenza (l’arroganza no!). Che dire… nessuno è perfetto e ci sono anche gli errori… ed io, appunto, in questi anni ho scritto per Proposte, Galatro Terme, e altre testate, più di un migliaio di articoli cercando di trasmettere una testimonianza calda, anche se talvolta drammatica, implorante e giudicante, che smetta di ridurre il mondo a sequenze di dati, la storia come cucitura di eventi, il lettore come puro soggetto passivo che legge.

Ho fatto emergere come più volte mi sono trovato a ragionare, tra me e me, di questo mio scrivere, della fatica e del rischio di farlo diventare un guinzaglio…  e vi assicuro che tante volte mi ha sfiorato la tentazione di levarmelo questo guinzaglio, di salutare gli amici che mi seguono forse, più che per la fatica, per la paura che anche un solo lettore si sia stancato a leggermi.

Ancora oggi mi piace rimarcare come nel continuare a “sfornare” articoli, nella sua sorprendente e affascinante “fatica”, nella sostanza, il mio “lavoro” rimane quello che è sempre stato: un gran fritto misto di scritti che mi piace “rubacchiare” un pò dappertutto (non di rado, nella loro estrema semplicità, si sono rivelati caratteristici e originali), e che sono presentati senza alcuna pretesa né di migliorare i costumi, né di peggiorarli.

E non penso di aver peccato di presunzione nel pensare che, nel riproporre in un mio sito tutta la mia, lunga e molteplice, “fatica giornalistica”, non correvo il rischio di appesantire il fardello spirituale di chi ha avuto la pazienza di leggermi. Penso invece, e soprattutto spero, di riuscire a dare la sensazione a chi mi legge, di aver vagato per qualche minuto, nell’aria placida di una delle centomila banali faccende quotidiane, che hanno per teatro un mondo sempre più strampalato, nel quale non fa certamente male, ogni tanto, immergersi nella tiepida tinozza familiare di buoni sentimenti e, perché no!, anche dei vecchi e salutari luoghi comuni.

Sono andato a rileggere quanto avevo scritto due anni fa dopo che, nei giorni scorsi, nel leggere un articolo scritto sul “Blog di Berlicche”, ho sentito una strana quanto bella familiarità con quello che lui riportava: “Non è tanto il tempo trascorso da quando ho pubblicato il mio primo post su questo blog, quanto quello che c’è stato in mezzo. Avere scritto così tanto, su cose tanto diverse, ed avere voglia di scriverne ancora. Mi correggo: riuscire a scriverne ancora… la ragione dice che avrei dovuto finire gli argomenti mille post fa. Che avrei dovuto terminare l’originalità da un sacco. Che Dio mi perdoni la mancanza di umiltà, ancora non è accaduto. Ogni volta che penso di avere finito le cose da dire mi accorgo che ne ho ancora altre in un cassetto, e svuotato il cassetto altre ancora nell’armadio. Rileggo quanto ho messo giù negli anni trascorsi e mi dico, accidenti, qui c’è roba buona”.

Perché negare il sussulto che ho provato nel leggere l’articolo di Berlicche, una sintonia di pensieri così totale, mi è capitata di provarla poche volte, soprattutto nella parte dove scrive: “E’ una specie di miracolo. In piccolo, un po’ come la Provvidenza per quei santi che ci si affidano: a loro spunta fuori il pane per gli orfani o i soldi per pagare la chiesa, a me una nuova idea. Mi è chiaro da molto tempo: non è farina del mio sacco, io sono solo una penna a prestito. Se vi annoio, se dico bestialità ecco, quello sono io. Quando mi lascio scrivere, sono stupito anch’io di me stesso.
Perdonatemi, quattro lettori miei: se sono ancora qui non è per voi… è per sorprendermi di questo povero battitasti, e quindi credere ancora a questa evidenza di qualcosa di più grande di me. Il memento costante che sono niente, che le mie parole confuse saranno dimenticate da tutti, ma che in questo piccolo frammento di tempo sono segno per alcuni, e il primo sono io. Quando scalpiterò, quando sarò stufo di scrivere, senza idee, con troppo poco tempo e troppa vita nelle vene, ricorderò il momento in cui ho buttato giù queste righe. E mi stupirò ancora di quanto, malgrado me, sono amato
”.

Ecco, non vedo presentazione più bella per la nuova serie di articoli (non solo già conosciuti), che pubblicherò in questo anno appena iniziato.

Grazie a tutti per l’attenzione…

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