“IL POSTO VUOTO”: RACCONTO NATALIZIO DI UMBERTO DI STILO
Penso che nel corso di tutta la sua vita, l’amico-scrittore Umberto di Stilo ogni anno, durante le feste di Natale, ha saputo descrivere, come pochi hanno saputo raccontare una testimonianza, una riflessione sul Natale, anzi, penso proprio che molte delle sue pagine più profonde sono proprio ispirate a questa ricorrenza.
L’inesorabilità del Natale diventa per Umberto di Stilo anche l’inesorabilità del tempo che passa. Ma è anche molto altro ancora, così come si percepisce nell’ultimo suo racconto natalizio “Il posto vuoto”: un libro agile e riflessivo che ha il merito di scavare in modo “drammaticamente umano e attuale”, mettendo in risalto la realtà di tanti immigrati che, ormai da anni, vivono nei nostri paesi.
Vengono messi in risalto nel libro gli anni lontani “quando il senso del vincolo parentale era profondamente radicato e nel periodo natalizio, tempo dedicato alla sacralità della famiglia, e le sere si trascorrevano in allegra compagnia nella stanza-cucina dei nonni”.
Anche in questo racconto l’Autore si muove su un terreno già battuto: una continua nostalgia del passato, di altri Natali, più umili e semplici di questi del nostro tempo, non asfissiati dal folle turbinare dei centri commerciali che oggi hanno mercificato tutto, e hanno ridotto il Natale, per come scriveva il non credente dubbioso Dino Buzzati “ad una realtà di uomini e donne che corrono, indaffaratissimi, lungo le vetrine splendenti, carichi di pacchetti con le più stupefacenti stoltezze comperate all’ultimo istante”.
Umberto di Stilo con questo racconto ci dice che la notte di Natale non è una notte qualsiasi, ma è la notte dell’attesa, del mistero della vita come attesa di qualcosa di tremendo e imprevedibile e che, nel Natale a quell’attesa è associato qualcosa che assomiglia alla speranza, una speranza resa presente da “una porta d’ingresso lasciata sempre aperta ai vicini di casa che vivevano nell’indigenza ed agli emarginati che si presentavano per chiedere l’elemosina”.
E’ un momento difficile questo per il nostro Paese. Umberto di Stilo lo sa, lo sente, e le sue parole interpretano e danno voce a dei sentimenti diffusi, primo fra tutti l’ospitalità, l’accoglienza, l’aiuto a chi ha bisogno. Nelle vicende di Tonino, di Lina, del vecchio Bruno, del piccolo ucraino Maxim e della mamma Alina, viene fuori la storia attuale di tanti nostri paesi, evidenziando come “si registra la presenza sempre più numerosa di donne di varia età che dalla Polonia, dalla Romania, Russia, Bulgaria e Ucraina, arrivano per fare le badanti di persone anziane e sole”.
Ed in questa cornice l’Autore fa dire a “nonno Bruno” come “nei giorni delle festività più solenni mia madre apparecchiava la tavola per una persona in più. E alla sedia vuota che veniva posta attorno al nostro desco corrispondeva anche un piatto pronto ad essere riempito di cibo… La sera della vigilia di Natale, poi, al povero che infreddolito e stanco si fosse presentato a casa nostra avremmo dovuto riservare il posto più importante, quello di capotavola, perché, secondo la convinta credenza di mia madre, era Gesù Bambino che sotto le spoglie del più umile dei pastori del presepe, ci onorava della sua presenza”.
Nel racconto il piccolo Maxim, e la sua mamma, passano la notte di Natale a tavola con la famiglia dell’amico Tonino, e si avverte tra le righe una sottile incredulità, una forma di timoroso pudore a lasciarsi andare, a tornare alla grande solidarietà che non conosce barriere… un Natale veramente bello, dove la parola “bello” può significare anche terribile e profondo. Anzi le più grandi bellezze, in questo mondo, forse stanno proprio qui: nel rimpianto di ciò che è stato e non sarà più, nella nostra solitudine, della quale noi in genere non ci accorgiamo, o preferiamo non pensarci.
Sul Natale Umberto di Stilo ha scritto decine e decine di articoli e racconti e, a prima vista sembra che, per parlarne ancora, ci voglia una buona dose di coraggio. Ma non è vero. Non se ne parlerà mai abbastanza. Il Natale ritorna ogni dodici mesi, allo stesso giorno 25. Tutti sano come è fatto, tutti potrebbero descrivere in anticipo quello che accadrà nelle loro case. Eppure si resta sempre sbalorditi.
La lettura del libro devo dire che mi è stata subito quasi familiare. Come una storia che già conoscevo. Ma ciò che ancora mi torna in mente, a lettura finita da un pezzo, è soprattutto una cosa. Una sedia vuota attorno ad un tavolo… con la sensazione di vedere seduto a quel tavolo un terzo convitato… La mente mi fa cadere lo sguardo su quella sedia vuota, legata da un filo invisibile alle parole del racconto. Anche adesso, davanti alla tastiera del pc, mi si è insinuata addosso una strana inquietudine, pensando a una sedia vuota… e, nel grigiore dei rapporti che viviamo quotidianamente, abbiamo bisogno di credere che un leggero alito di vento aprirà quella porta chiusa, e quel posto vuoto sarà occupato da quella presenza che il nostro cuore desidera avere vicino.