RICOMINCIA LA SCUOLA: CON TANTI ILLUSTRI SCOMPARSI… E ALTRO ANCORA!

Anche quest’anno la scuola italiana sta per riaprire i battenti: alunni e docenti sono di nuovo pronti ad affrontare la fatica, e le problematiche, di un nuovo anno scolastico, mentre sono sempre più numerosi quelli che alzano la voce contro i clamorosi “buchi”, che tanti sembrano non vedere. E tranne che a voler essere ciechi, in una scuola con dei buchi tanto grandi, il risultato che si ottiene non potrà non essere triste e sconvolgente.

Chi ha provato a mettere il naso fino in fondo, ha avuto modo di notare dei “buchi” eclatanti nella preparazione scolastica della maggior parte degli studenti: ha scoperto un panorama grottesco di “dimenticanze” inspiegabili, di disinvolte cancellazioni, negli stessi programmi ministeriali. Insomma, i “desaparecidos” della scuola italiana. Poi ci sono i casi di “lupara bianca”: si tratta dell’eliminazione di interi argomenti, pur previsti nei programmi, ma semplicemente scomparsi nella didattica corrente, senza che si sappia chi, come, dove o perché abbia sparato, né dove sia il defunto. Il più celebre è Dante. Ma con lui ci sono Agostino, Tommaso, Omero, Virgilio, lo stesso Manzoni, la povera grammatica, Gentile e tanti protagonisti della storia. Tutti hanno in comune un triste destino: dalle cattedre non li si insegna più, vengono saltati del tutto o li si sopporta per il minimo necessario.

La grammatica risulta l’ennesima “desaparecida”: la salma è stata tumulata senza troppe cerimonie, per lasciare spazio all’oralità, alla scrittura libera, spontanea, sui consueti argomenti d’attualità. Così i fatti dicono che gli italiani, grazie alla loro scuola, perdono sempre più la loro lingua. Ma la perdita del linguaggio segnala sempre anche una perdita di esperienza. Era l’idea fissa di Pasolini: “Il genocidio delle antiche culture popolari, che ha avuto come prime vittime i giovani, ha manifestato nella lingua i suoi sintomi”.

Ma la colpa è da ricercare solamente nei programmi? Credo che questo valga solo in piccola parte… in gran parte, invece, la colpa è da ricercare in una consuetudine culturale che rischia di soffocare la memoria delle ultime generazioni.

E che la ripresa dell’attività didattica susciti in molti anche un sentimento di “angoscia”, c’è da crederci: basta guardare la disaffezione e l’indifferenza con cui la “classe insegnante” riprende il suo lavoro… un lavoro di cui, il più delle volte, non si conoscono le fatiche e le sofferenze.

Che nella scuola la funzione del docente sia decisiva, nonostante il gran parlare di nuove tecnologie e della spiritosa proposta di qualcuno di sostituire i professori con delle videocassette, lo sanno bene i ragazzi, ma lo sanno in primo luogo i professori.

Tenendo conto delle ragioni degli insegnanti, senza andare ad affondare la lama in argomenti più scottanti e senza risalire a responsabilità e corresponsabilità, mi ha molto colpito una lettera apparsa anni addietro (anche se allora c’era ancora la lira, anche con l’euro è tuttora attuale), sul Messaggero.

Sotto il timbro della Posta Prioritaria una Commissaria d’esame ha espresso un risentimento, in gran parte motivato, della classe docente, non soltanto con intento puramente contestativo, ma semmai, con una velata ironia, per la soluzione di un problema ormai irrimandabile.

Vale la pena trascrivere la lettera per intero… lasciando libero il commento, ma sperando in un rapido e motivato esame di coscienza: “Caro Direttore, sono un’insegnante di scuola superiore con, a tutt’oggi, venti anni di servizio in ruolo. Attualmente insegno presso il Liceo scientifico statale… Nello scorso anno scolastico ho accettato l’incarico di Commissario governativo e di Presidente di commissione esaminatrice presso la scuola media parificata di …, incarico definito ‘delicatissimo’ dalle circolari ministeriali in materia.

Il mio mandato ha comportato un impegno di lavoro di due mattinate e di due pomeriggi (ad anno scolastico non ancora terminato) per prendere visione dei documenti della scuola e per lo svolgimento degli scrutini; dal 17 giugno in avanti ho presieduto la Commissione d’esame per nove giorni consecutivi, compresi gli scrutini finali, dalle otto del mattino fino alle diciotto pomeridiane, accollandomi circa due ore di viaggio, tra andata e ritorno, dalla zona dove risiedo, alla sede della scuola che si trova esattamente agli antipodi.

A distanza di un anno dallo svolgimento degli esami, ho ritirato il compenso che l’amministrazione pubblica mi ha assegnato per quel ‘delicatissimo’ compito: l’assegno (non trasferibile) ammonta a lire 4.315 (quattromilatrecentoquindici), una somma che è il prodotto del trattamento giornaliero di missione di lire 772 moltiplicato per nove giorni, a cui sono state sottratte le imposte. Considerando le ore di lavoro, un compenso orario che non arriva a cento lire.

La mia educazione, i miei studi e il rispetto di me stessa mi impediscono di accettare elemosine ed è per questo motivo che ho rispedito al ministro l’assegno conferendogli la piena autorità di devolverlo, come meglio riterrà opportuno, per il bene della scuola italiana. Vorrei aggiungere che mi sarei sentita più gratificata professionalmente se nulla mi fosse stato corrisposto in aggiunta al mio stipendio regolare. Avrei almeno evitato un’umiliazione. Mi resta una curiosità intellettuale: perché proprio 772 lire e non 773, o 802, o 341?

Se il ministro è in condizione di rispondermi lo prego di farlo, sarà un piccolo contributo alla legge sulla trasparenza. Firmato E. G.”.

E, tranne che a voler essere ciechi, in una scuola con dei buchi tanto grandi da perderci dentro le nostre radici e la nostra identità, il risultato che si ottiene non potrà non essere triste e sconvolgente…

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