UN FIGLIO UCCIDE I GENITORI… QUALE CULTURA HA PRODOTTO QUESTI MODELLI DI DEMENZA?

La notizia dei coniugi di Ferrara uccisi dal figlio sta rimbalzando sui media in questi giorni: una piccola cifra data come acconto e mille euro a fatto compiuto. Questo era l’accordo per l’omicidio dove il più giovane dei due, avrebbe pagato l’amico per uccidere la mamma ed il patrigno, delitto che lui non aveva il coraggio di compiere.

Ho scritto, molti anni addietro, sulla vicenda di Pietro Maso, come di fronte a questi rantoli, a queste ombre di cui le nostre strade vanno riempendosi, come se una inarrestabile peste andasse dilagando per ogni dove, bisogna porsi la domanda: chi ha fabbricato questi modelli di demenza, di cecità, di morte? In questa domanda le responsabilità che la “cultura”, in questi ultimi anni, si è assunte risultano gravi e pesanti: esaltazione del profitto e dell’oggetto come valori assoluti o, addirittura, religiosi; scatenamento meccanico e cieco del sesso, prima divinizzato, poi mercificato, quindi deturpato e distrutto; destituzione d’ogni valore, d’ogni legge e d’ogni regola, come elementi a priori illibertari e castranti.

La vicenda di Pietro ha avuto diverse ripercussioni in seguito, prima positive dove il perdono della famiglia ha aperto una bella pagina ricca di umanità… poi, a quanto è dato sapere, la disumanità ha avuto ancora la meglio su Pietro.

Ripropongo il servizio che ho pubblicato, in due articoli, sulla vicenda di Pietro Maso, perché ha tanto da dire, anche sul fatto di cui la cronaca si sta occupando in questi giorni.

PIETRO MASO: ERA MORTO ED E’ TORNATO IN VITA

Nei giorni scorsi, su stampa e tv è rimbalzata la notizia della liberazione anticipata (condannato a 30 anni, ne ha scontati 22) di Pietro Maso, “il feroce viveur che spezzo il patto tra generazioni… trucidò i genitori per i loro soldi”.

Il 17 aprile del 1991, nella sua casa di Montecchia di Crosara, in provincia di Verona, aiutato da tre amici, servendosi di un tubo di ferro e di un bloccasterzo, a sangue freddo ed in un corpo a corpo, nel corso di una lunga aggressione, Pietro Maso massacrò sua madre e suo padre.

In questi giorni è stato scritto che Pietro Maso ha “l’età di una generazione il cui apprendistato alla vita è un apprendistato all’irrealtà. La più sfrenata. Nati, come lui, a cavallo tra ’60 e ’70, come lui avviatici all’età adulta negli anni ’80 delle tv simulacral-commerciali, abbiamo poi avuto un’economia che passava di bolla speculativa in bolla speculativa, un’educazione sentimentale basata sulla pornografia di massa, una politica ridotta a comunicazione pubblicitaria, una Nazione divaricata tra Paese reale e Paese mediatico”.

Ricordo che era il luglio del 1992 quando da più parti veniva invocata, a gran voce, la sua liberazione e “osannato” il suo gesto. Addirittura sono stati creati dei “Maso-fan club”… ed io non sono stato certamente tenero, in un mio articolo pubblicato su “Proposte” proprio nel numero di luglio del 1992

MASO-FANS CLUB: RESTARE IN SILENZIO E’ COLPA!

“Libertà per Maso… Maso Sindaco… Pietro Maso Fans Club…”. Applausi a scena aperta per il biondino di Montecchia di Crosara che, appena l’anno scorso, ha ucciso i genitori per godere subito della consistente eredità. Solo per caso non uccise anche le sorelle. I giudici lo hanno condannato a 30 anni di carcere, ma anziché suscitare orrore, è diventato un mito.

Anche allo stadio, rifacendo il verso a “Nella vecchia fattoria…”, i suoi “fans”, tutti in coro, hanno cantato le “nobili” gesta dell’omicida. Eppure, vorrei tanto vedere in faccia uno di quelli che, esaltando il fatto che Maso ha ucciso i genitori, per questo e solo per questo, lo richiedono a gran voce come Sindaco. Non è vero che, solo perché sono giovani, anche in questo, meritano ascolto e comprensione: questi sono soltanto dei delinquenti che meritano solo di essere presi a calci nel culo (e che nessuno si stracci le vesti per queste espressioni) perché l’assistere in silenzio a questo sfacelo non è solo viltà, ma colpa cosciente che porta perfino a vedere il giornale “Verona infedele” titolare una intera prima pagina, in dialetto ed a caratteri cubitali, “UCCIDI TUA MADRE COL CRICK!”. Così, di tolleranza in tolleranza, stiamo assistendo in silenzio a qualsiasi nefandezza. Fino a quando?… e fino a quanto?!

Di fronte a questi rantoli, a queste ombre di cui le nostre strade vanno riempendosi, come se una inarrestabile peste andasse dilagando per ogni dove, bisogna porsi la domanda: chi ha fabbricato questi modelli di demenza, di cecità, di morte? In questa domanda le responsabilità che la “cultura”, in questi ultimi anni, si è assunte risultano gravi e pesanti: esaltazione del profitto e dell’oggetto come valori assoluti o, addirittura, religiosi; scatenamento meccanico e cieco del sesso, prima divinizzato, poi mercificato, quindi deturpato e distrutto; destituzione d’ogni valore, d’ogni legge e d’ogni regola, come elementi a priori illibertari e castranti.

Il peggio è che tutto questo viene spacciato dalla “cultura” come tappe gloriose del progresso. E questa è una vergogna, sulla quale tanti “illuminati” uomini di cultura dovrebbero essere subito chiamati in giudizio, perché qualcuno deve pur sentire il dovere d’impedire questo pazzesco imbarbarimento… A qualunque costo!”.

 

Oggi, a distanza di più di vent’anni da questo mio scritto (che non rinnego!), perché negare che sono rimasto commosso nel leggere le parole di perdono e riconciliazione che ha pronunciato la sorella di Pietro, Laura Maso, in una intervista a Telepace nel 2008:  “Mio fratello era morto ed è tornato in vita… Sono la sorella di Pietro Maso che 17 anni fa uccise i nostri genitori. Noi sorelle insieme alla perdita dei due genitori avevamo perso anche un fratello e dunque ci trovammo a ricominciare un percorso nuovo e difficile, con una sofferenza dentro che era abbastanza forte, perché non è facile perdonare una cosa così grave. Ringraziamo don Guido per il suo aiuto: è stato lui ad andare a trovare per primo Pietro in carcere e a seguirlo in questi anni. Così anche noi piano piano abbiamo ricostruito un bel rapporto con quel fratello che avevamo perso, come avevamo perso tutta la famiglia. Lo potevamo anche abbandonare quel fratello, sarebbe stato facile. Invece perdonare è una cosa un poco più profonda e difficile ma che ci ha anche procurato una gioia dentro per i piccoli passi che vedevamo fare al nostro fratello, il suo cammino, la sua conversione. L’abbiamo perdonato in ascolto delle parole di Gesù “amatevi gli uni gli altri”. E’ facile amare quando ci si vuole bene, ma è difficile quando ci si sente dire “ha ucciso i genitori” e sono parole molto forti per noi, ma noi sappiamo che dobbiamo far nostre anche quelle altre parole di Gesù che dice “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Noi abbiamo perdonato con l’aiuto di Dio ed ecco che questo fratello che era morto è come risorto ed è lui, a volte, che ci conforta con il suo cammino. Oggi, che è il giorno di Pasqua, ci pareva bello di poter dire: “Eravamo morte e siamo risuscitate”. Alle volte andiamo alle tombe dei nostri genitori e li sentiamo in paradiso e che ci sono vicini e approvano il cammino che i loro figli stanno facendo.

 Perdonare non vuol dire voltare pagina e fare come se non fosse successo nulla. Vuol dire vedere tutto, anche quel delitto, alla luce della fede. Non è che uno dimentica. Il perdono è una cosa profonda e uno deve sentirsela dentro per poter vivere bene. Odiando non so come si potrebbe vivere.  

Tante volte siamo andate a trovarlo in carcere, ogni due o tre mesi circa. Non ce l’aveva chiesto, magari era don Guido che ce lo chiedeva e all’inizio noi eravamo contrarie perché temevamo che lui si approfittasse di noi. A poco a poco, trovandoci con lui ci riscoprivamo fratelli e ci dicevamo che magari tanti fratelli che vivono insieme non provano quel sentimento. Così è finita la nostra paura del suo approfittamento e oggi siamo sicure che ha compiuto un cammino senza del quale si sarebbe perso e ci saremmo perse anche noi, in fondo. I nostri mariti ci hanno assecondato in questa scelta. I nostri bambini piano piano hanno cominciato a capire e sanno e lo chiamano zio e vivono bene il rapporto con lui. La gioia che sentiamo nel cuore di aver ritrovato un fratello ci ha forse aiutate a dare questo insegnamento.  

Il vescovo Flavio Carraro che era informato da don Guido più di una volta ci ha detto: “Stategli vicino, perdonatelo, pregate per lui”. Noi abbiamo cercato di farlo”.

Mio fratello era morto ed è tornato in vita, ha detto la sorella di Pietro… che grande testimonianza di riconciliazione e perdono… non vale la pena che io aggiunga altro! 

 

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