CONVEGNO DIOCESANO 2016: DOVE STA ANDANDO LA NOSTRA CHIESA…?

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Nei giorni 27 e 28 ottobre 2016, a Rizziconi nell’auditorium diocesano “Famiglia di Nazaret”, si terrà l’annuale Convegno Pastorale Diocesano che quest’anno avrà come tema: “Con Maria, Amoris Leatitia, Madre, Maestra e Regina di Misericordia“.

Appena ho letto del Convegno sono andato a rileggere una mia “nota” pubblicata tempo addietro, sui “dubbi e speranze di un cristiano in crisi”, espresse da GianFranco Svidercoschi nel suo libro “Mal di Chiesa”: una crisi nei rapporti con la modernità, e con la cultura laica, che sta creando ogni giorno di più un conformismo estremamente pericoloso, perché rischia di innalzare una cortina fumogena intorno alla Chiesa, rendendola ancora più lontana dalla gente e, peggio ancora, da quell’immagine di Dio che dovrebbe invece riflettere nella Chiesa e nelle Parrocchie della nostra Diocesi.

Tante sensazioni insieme emergono dalla lettura dell’introduzione del libro che, a mio avviso, sono da tenere ben presente quando si parla della Chiesa… soprattutto della “nostra” Chiesa così come si presenta nella realtà dei nostri giorni: incredulità, sconcerto, sdegno, pena, una grande pena, e perfino rabbia, una fortissima rabbia, nel vedere ciò che sta accadendo nella Chiesa.

Scriveva Svidercoschi: “Un mio amico romano ha proposto al suo parroco di organizzare una serata culturale sull’enciclica di Benedetto XVI. E il parroco: “non c’è bisogno. Ci sarà un grande incontro a S. Giovanni in Laterano. Parleranno il cardinale… e il professovignettar…”. Il mio amico: “Ma padre, là ci andrà la gente che è già convinta. Lei deve conquistare gli altri…”. Il parroco non ha risposto ma forse non aveva nemmeno capito. Molte parrocchie continuano a esercitare, spesso esemplarmente, i loro compiti, ma forse tanti parroci, si sono dimenticati che cosa significa evangelizzare. O non hanno ancora compreso che cosa significhi evangelizzare oggi”.

Mi auguro che volendo affrontare il problema della nostra Chiesa, si vada al nocciolo della questione nella sua radicalità evangelica, soprattutto nel momento in cui si raduna il popolo di Dio di tutta la Diocesi.

Don Gildo Albanese

Don Gildo Albanese

Ricordo come dopo aver letto la mia “nota”, sulla mia pagina facebook, sono intervenuti tanti amici, tra i quali, in maniera precisa, concreta e attenta sulla nostra Diocesi, è intervenuto anche don Gildo Albanese, del quale mi piace riportare integralmente il suo pensiero: “Condivido pienamente, è in sintonia con la problematica posta da noi nei giorni passati. E’ necessario porre continuamente il problema e non stancarsi anche se apparentemente sembra emergere il quieto-vivere di certe comunità dentro le quali c’è sempre il lievito che non sempre piace perché disturba la quiete e mette in discussione certe posizioni autoreferenziali. Sarebbe opportuno e doveroso che dal generale scendessimo al particolare, cioè alla Chiesa Particolare e ci domandassimo seriamente : “Dove sta andando la nostra Chiesa Pamons_paparticolare di Oppido-Palmi?” e avessimo l’umiltà di confessare con onestà le derive trionfalistiche e clericali che ci coinvolgono tutti in prima persona nelle realtà in cui siamo chiamati ad operare, insieme alle note positive.

Questo coraggio l’ha avuto tanti anni fa il grande Vescovo Mons. Benigno Papa; forse nessuno ricorda più la sua Lettera Pastorale “Questa è la Chiesa che amo” e la verifica pastorale che ne conseguì (che è rimasta incompleta a motivo del suo trasferimento a Taranto). Dai grandi anni delle Fede e della Carità, che lasciano le persone e le strutture nella loro immobilità e “grandeur”, dovremmo scendere alle nostre micro realtà pastorali per aiutarle in semplicità e povertà di vita a seguire più da vicino Gesù Cristo”.

Mi auguro che anche questo Convegno non passi nell’indifferenza generale, ma possa rappresentare un punto di partenza della nostra Chiesa locale, verso un impegno concreto che ci riporti ad un cristianesimo “essenziale”, nel quale si riaccenda la speranza che, ancora oggi vale la pena continuare ad essere cristiani.

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Di seguito riporto i due miei interventi pubblicati dopo i Convegni Pastorali Diocesani del 2013 e 2014 

MONS. RINO FISICHELLA AL CONVEGNO PASTORALE DIOCESANO

milito1Il Convegno Pastorale Diocesano della Diocesi di Oppido-Palmi, convocato da Mons. Francesco Milito a Rizziconi nei giorni 4 e 5 ottobre, già nel titolo “Il fuoco della carità”, ha voluto volgere lo sguardo alla “Nuova Evangelizzazione”. Dopo l’introduzione dei lavori da parte di Mons. Milito, che ha tracciato una linea di lavoro della nostra Chiesa locale per il prossimo anno, con una importante indicazione pastorale “Dall’Anno Cantiere agli orizzonti della nuova evangelizzazione”, è seguita la relazione di Mons. Rino Fisichella (già vescovo ausiliare di Roma e rettore della Pontificia università lateranense, nonché Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione) che soffermandosi sul tema “Trasmettere la fede nel mondo di oggi”, ha voluto puntualizzare perché la fede cristiana ha bisogno di una nuova evangelizzazione, cioè di un nuovo annuncio? Che cosa è mutato o sta mutando nel mondo perché si renda necessaria una simile impresa? E quali sarebbero potuti essere i suoi contenuti e i suoi metodi?

fisichellaNel suo applauditissimo intervento Monsignor Fisichella ci ha spiegato in che cosa consiste il grande compito a cui la Chiesa è chiamata: proporre la centralità della famiglia, riappropriarsi la tradizione cristiana nella vita dei nostri paesi e soprattutto invitare le persone a non perdersi nella solitudine e nell’indifferenza anche all’interno della propria famiglia. Mons. Fisichella ha, quindi, parlato dell’anno della fede, del Concilio e di una essenzialità della fede che permette di parlare all’uomo di oggi: “L’anno della fede è stata un’esperienza di nuova evangelizzazione, cioè il tentativo di mettere Cristo al centro: Cristo deve ritorna al centro della nostra vita e della nostra azione pastorale, questo ci dice che la nuova evangelizzazione non è “nuova” ma è sempre la stessa… ed è la centralità di Gesù Cristo che ci permette di uscire da questa indifferenza che ci ha coinvolto tutti. A 50 anni dal Concilio qual’è stato il cammino della Chiesa nell’annunciare Cristo all’uomo contemporaneo? C’è stato bisogno di abbattere le muraglie cinesi che si erano costruite intorno alla Chiesa che non comunicava più: riappropriarsi della capacità di comunicare, di poter dire al mondo l’importanza che la fede riveste nella nostra vita. Questo è il punto fondamentale, d’altronde già chiaramente formulato nell’Evangelii Nuntiandi: chi vuole riflettere sulla nuova evangelizzazione non può prescindere dall’attualità che questo testo riveste. La fede va annunciata, celebrata, vissuta… se ci fosse solo la fede enunciata e celebrata (magari con belle liturgie) non sarebbe la fede, la fede non è tale se non vissuta. Paolo, nella lettera ai Tessolonicesi parla di una dimensione circolare della fede, una circolarità continua; ma se guardiamo bene la realtà com’è oggi, con tristezza dobbiamo constatare che nella nostra vita cristiana domina la stanconvegno-fisichellachezza, diciamo sempre le stesse cose, siamo demotivati. Se non comprendiamo che il nostro tempo è tempo di semina, e se la nostra fede non si coniuga con questa speranza, il nostro impegno non è essenziale. E questo accade perché ci siamo troppo burocratizzati: dobbiamo, invece, puntare all’essenziale e l’essenziale ci chiede di guardare il volto di Cristo, perché non sarà il nostro impegno a salvarci, ma la certezza di avere incontrato Gesù Cristo. Questa essenzialità ci porta a cogliere la dimensione profonda a cui noi siamo chiamati, che si può riassumere in un duplice movimento: memoria viva del passato e profezia per il futuro, è questo l’impegno che deve toccare la nostra pastorale. Domandiamoci cosa trasmettiamo alle generazioni che verranno dopo di noi. Il nostro compito è quello di essere un archivio vivo di Gesù Cristo. La trasmissione è sempre qualcosa di vivo. “Tradere” significa consegnare: abbiamo ricevuto il Figlio non per tenerlo nascosto, ma per consegnarlo agli altri. Eppure noi che dobbiamo essere la memoria viva del passato non abbiamo più memoria”.

logo-convegno-2013Riferendosi al ruolo della Chiesa nella società di oggi, Mons. Fisichella ha voluto sottolineare una interruzione della tradizione della fede che non tocca solo la Chiesa, ma parte dalle famiglie e tocca tutte le componenti della società: “Non credevo potesse essere vero quello che mi hanno detto alcune catechiste, cioè che vengono dei bambini per la prima comunione e non sanno neanche fare il segno della croce. Che significa tutto questo? Significa che in quella famiglia si è interrotta la tradizione della fede, dell’appartenenza alla Chiesa, non si vive più nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Per trasmettere la fede dobbiamo recuperare la “semplicità della fede”, abbiamo messo troppe strutture, che ostacolano un vero cammino spirituale, che distolgono i nostri occhi da Gesù. Dobbiamo riportare i nostri occhi fissi su di Lui (che poi questa è la vita della Chiesa che annuncia, celebra e vive) perché solo questo, oggi, permette alla nostra azione pastorale ordinaria di diventare straordinaria. Chi sono io, perché credo in Gesù Cristo? Di fronte a queste domande dobbiamo pur chiederci: se noi non ci educhiamo all’essenzialità della nostra fede come possiamo dare Cristo? Nemo dat quod non habet, nessuno può dare ciò che non ha! Come possiamo spiegare questo spaventoso analfabetismo in fatto di fede: stiamo vivendo delle situazioni paradossali, abbiamo intorno a noi delle persone che sanno di tutto (ingegneri, avvocati, professori, esperti in computer ecc.) ma non sanno niente di fede. E bisogna anche dire che la “generazione digitale” non è un nuovo strumento oggi in uso, ma una nuova cultura che si sta imponendo. E’ cambiato tutto il comportamento, nelle persone si stanno creando nuove patologie. Per la nostra generazione, le novità di comunicazione con i cellulari, sembra solo l’introduzione di nuovi “strumenti”, ma per i ragazzi non è così, siamo di fronte ad una nuova “cultura” che si sta imponendo con questi nuovi strumenti”.

Concludendo il suo intervemons-fisichellanto, Mons. Fisichella ha ricordato Benedetto XVI, Papa Francesco e, augurandosi che la Chiesa oggi sia in grado di dare quella parola di speranza che il mondo attende, ha ricordato le parole di Zaccaria, come augurio per la costruzione di una Chiesa più affidabile: “La liturgia è lo spazio di una nuova evangelizzazione (basti pensare alle persone presenti in chiesa durante l’omelia per battesimi, cresime, matrimoni… sono persone alla quali con la parola di Dio si può veramente toccare il cuore). Benedetto XVI ha detto che bisogna tendere alla “formazione di una coscienza che riguarda le domande che l’uomo pone”, nella consapevolezza che senza la Chiesa non possiamo andare da nessuna parte, perché non si cresce da soli. Ritrovare il senso di appartenenza alla Chiesa è importante quanto recuperare la nostra identità: sono questi i due poli su cui dobbiamo maggiormente lavorare. Perché se uno pensa di fare la catechesi solo perché deva fare la prima comunione, o la cresima… una volta finito non ha più niente da raggiungere! C’è bisogno di un cammino progressivo, altrimenti se chiedo “perché credi?”, che risposta mi dai? Dobbiamo portare a fare della fede una scelta di vita non un contenuto vuoto. convegno-fisichella-2Fede che, in primo luogo, è l’incontro con una persona: Gesù Cristo. E’ questa la nostra fede, non una serie di precetti. Dove c’è una comunità, lì c’è una comunione, se non c’è questo tutte le strutture sono maschere, sia che si chiamino consigli Pastorali, Economici, Coro, ecc. ecc. Intorno vediamo troppa solitudine, che porta tanta gente ad avere bisogno di appartenere a qualcosa, c’è bisogno di essere operai in quella vigna, mediante una serie di impegni che ci coinvolgono tutti, servizi vari, attività varie, ma attenzione a diventare clericali, perché la stessa paura che ho della laicizzazione del clero, è identica per la clericizzazione dei laici. Noi non siamo stati cercati da Gesù per passare un attimo spensierato, ma per dare senso alla nostra vita: noi dobbiamo dare il sapore, il mondo ci disprezzerà quando non siamo in grado di dare la parola di speranza che attende da noi. L’effimero lasciamolo agli altri, la differenza tra la comunità cristiana e gli altri sta tutta qui. Noi in 2000 anni abbiamo considerato prezioso ciò che per il mondo non ha importanza (i malati, i bambini, i vecchi, i diseredati, gli abbandonati…), dobbiamo rimboccarci le maniche e lavorare, ognuno di noi, perché la comunità cristiana non concede delega a nessuno, come dice Papa Francesco, tutti siamo chiamati a costruire una Chiesa affidabile. E vi lascio con un augurio, preso dalle parole di Zaccaria: “… e allora i popoli diranno: vogliamo venire con voi, perché abbiamo visto che Dio è con Voi”.

IL VESCOVO MILITO: LA NOSTRA DIOCESI VIVE UN TEMPO “STRANO” 

mons_francesco_militoIl Convegno Pastorale Diocesano sul tema “Il fulgore della Verità”, tenuto a Rizziconi nei giorni 7 e 8 novembre, ha chiuso per la nostra Diocesi “l’Anno della carità” ed ha aperto “l’Anno della verità”, con una solenne celebrazione presieduta dal nostro Vescovo Mons. Francesco Milito nella cattedrale di Oppido sabato 15 novembre.

Non si può nascondere che è un tempo “strano” quello che sta vivendo la nostra Diocesi negli ultimi mesi: l’ha detto apertamente Mons. Milito all’apertura dei lavori a Rizziconi, facendo ben capire che non si riferiva certamente alle ”condizioni metereologiche”. In tutte queste “stranezze”, in cui il Diavolo ci sta mettendo molto del suo, la nostra realtà diocesana è messa a una dura prova: una prova nella quale non bisogna essere “tiepidi o paurosi”, ma bisogna tirare fuori tutto il coraggio che abbiamo dentro.

posti-vuotiIl Cardinale Ratzinger, poco prima che venisse eletto Papa, più volte in diverse occasioni ha detto che abbiamo “nuovamente” bisogno di metterci alla ricerca della verità, abbiamo “nuovamente” bisogno del coraggio della verità. Visto il grande silenzio che abbiamo intorno (non mi pare che del Convegno ci sia stata chissà quale grande eco, così come per quelli degli anni passati!), visto il grande deserto che sta avanzando davanti a noi, rimbombano con grande forza le parole di Ratzinger, quando dice “che ci manca il coraggio della verità”. Per certi versi può anche essere triste, stucchevole e deprimente che per affermare la verità, per affermare come stanno le cose, ci voglia coraggio; però è ancora più evidente che senza questo coraggio non si viene a capo della crisi nella quale la Chiesa, non solo nella nostra Diocesi, si dibatte da anni. La retorica dei giochi linguistici e tutti ugualmente possibili, il pensiero debole incapace di qualsiasi giudizio a difesa della vita della Chiesa, hanno distrutto sia la verità che la realtà e si apprestano anche a distruggere la libertà… e, quindi, la verità!

La realtà che ci circonda ha perduto ogni sua stabilità, così almeno sembra… visto che nessuno parla dell’incidenza nel reale di ciò che la Chiesa deve avere più a cuore, la persona stessa di Gesù Cristo. Il coraggio della verità non può passare attraverso insipidi e sdolcinati link su facebook, che non fanno storia e non aiutano certamente ad indicare quella Via, Verità e Vita che solo in Gesù Cristo può trovare risposta. Ci affanniamo per “costruire” una realtà della Chiesa che sta in un modo, ma potrebbe stare indifferentemente anche in un altro. Lo stesso possiamo dire anche dei nostri discorsi: sembra insomma che non ci sia alcun criterio che ci consenta di distinguere quelli veri da quelli falsi. Discorsi puramente prospettici, mobili, indifferenti e purtroppo è di questi discorsi, di questi pregiudizi che si nutre anche l’odierno dibattito sulla vita della Chiesa nelle nostre realtà.

Perché negare che affiorano senconvegno-2014-xsazioni strane, in certe zone del mondo cattolico. Lo si è visto bene, per esempio, in occasione del Sinodo sulla famiglia. Non tanto per quanto è successo in aula, nel dibattito tra i padri sinodali sulle “nuove sfide” la vita familiare, ma in molti commenti circolati tra stampa, blog e siti vari. Sono commenti che segnalano uno smarrimento, un ritrovarsi spiazzati… come se, per il fatto stesso di discutere di certi temi in modo aperto, la Chiesa corresse il rischio di smarrire la rotta. Come se accompagnare l’umanità ferita e dispersa di oggi fosse sinonimo di perdersi, a propria volta nel caos. Perché se è vero che la realtà ci mette davanti a sfide impensabili, fino a pochi anni addietro: e “impensabili” vuol dire proprio “non immaginabili”, non previste prima, non assumibili immediatamente nelle categorie che abbiamo già in testa. Da questa prospettiva, l’ultimo Sinodo sulla famiglia ci ha dimostrato, in tutte le sue umane contraddizioni, che il problema dell’adesione alla “Verità di Cristo” che la Chiesa ci indica, sta nel riuscire a restare fedeli in una “continuità evangelica” che non permette né ritorni all’indietro, né fughe in avanti, né nostalgie anacronistiche, né impazienze ingiustificate. Difendere oggi la Tradizione vera della Chiesa significa difendere il Concilio, senza riserve che lo amputino. E senza arbitri che lo sfigurino. Così come per i saggi dell’Aeropago di Atene, ogni epoca, compresa la nostra, conosce il sorriso di scherno degli intellettuali di Ares, e guarda con sufficienza gli “ingenui” che sognano la libertà di una vita più bella e più vera: “Di questo ci parlerai un’altra volta…”, risposero ironici gli intellettuali di Atene, sulla collina di Ares, a San Paolo che raccontava del Cristo risorto. Eppure quella era gente che dedicava tutto il suo tempo a parlare di qualcosa, oppure ad ascoltare qualche novità, credevano a tutte le divinità e, per non recare offesa a qualche divinità ignota, avevano innalzato anche un altare sul quale campeggiava l’iscrizione: “Al Dio sconosciuto”.

io-convegno-2014Il 7 novembre sono intervenuto, brevemente, al Convegno Pastorale Diocesano di Rizziconi: il breve tempo a disposizione mi ha impedito di entrare nello specifico, cioè come anche nelle nostre piccole realtà, non è necessario andare lontano per cercare il nuovo Aeropago di oggi, ce ne sono tanti, grandi e piccoli, a cominciare dall’Ares “politico”. Nell’ordine di valori stabilito dal potere, purtroppo, il metro “politico” continua a rappresentare il criterio in base al quale è misurata la vita. In ultima analisi, si cerca di far passare la convinzione, anche all’interno della Chiesa, che solo ciò che è politico rappresenta “la verità”: dunque è reale solo chi ha il potere e reali sono i “sudditi”, non in quanto uomini, ma perché visti come strumenti e, spesso, come vittime dello stesso potere che li dovrebbe tutelare… il più delle volte questa menzogna viene perpetrata in nome di una “verità”, che massacra i più deboli… i “poveri cristi”! Questa situazione è apparsa in tutta la sua chiarezza, nello scontro che si creò fra Cristo e Ponzio Pilato: al “politico” cui interessava solamente verificare se l’accusato che gli stava davanti fosse o no da considerarsi suo “avversario” (“Dunque tu sei re?…”, chiede Pilato), Cristo risponde rivelandogli tutta la realtà del suo essere “venuto al mondo per rendere testimonianza alle verità”. Al che Pilato, sicuramente disorientato, ribatte con una frase che rimbalzerà nei secoli: “Cos’è la verità?”. Nella domanda di Pilato, come del “politico”, vi è un senso ambivalente, quasi a significare: “cosa c’entra qui, adesso, la verità? Mi interessa altro, questa faccenda non mi riguarda”. E può anche voler dire: “la questione è teorica, astratta, non è reale”. Nell’una e nell’altra versione Pilato pronuncia sulla verità una sentenza che resterà, per tutta la durata della storia, il paradigma, definitivo ed irrevocabile, dell’atteggiamento politico di fronte al manifestarsi di una Verità che trascende la dimensione politica. Ma nell’uno e nell’altro caso, Pilato commette un errore “politico” di eccezionale gravità: Pilato è stato così astratto, da non riuscire ad avere, di fronte a Cristo, altro criterio che quello politico, né altra determinazione che quella del potere e questa astrazione lo portò a commettere l’orrendo delitto.

logo-convegno-2014Qualcuno potrebbe giustificare Pilato attribuendogli la qualità di “pessimo politico”… anche se oggi, a distanza di 2000 anni, si ripete ancora, secondo lo stesso archetipo il conflitto tra la verità e la menzogna: ovunque nel mondo gli uomini del potere si scontrano in un conflitto sempre più violento con gli uomini della Verità. La lotta per il diritto alla vita nella verità, e per la conquista di spazi per fatti di vita vera, è diventata oggi la lotta decisiva per la sopravvivenza e, spesso, per la resurrezione dell’uomo. La menzogna non ha altro mezzo per imporsi che il sopruso, la violenza, la delazione, la vendetta; cioè per imporsi, la menzogna deve operare una manipolazione della realtà… e quindi della verità! Da noi, oggi, in tutti quegli ambiti dove “il potere” copre la sua pretesa totalitaria con sempre più scaltre apparenze di rispetto, può sembrare che l’alternativa verità-menzogna non imponga scelte radicali: occorre che la voce dei “senza potere” si faccia così potente da ricondurre il potere dentro i confini che la verità gli assegna. Solo questa può essere la strada per uscire dalla gravissima crisi che attanaglia la nostra realtà, anche all’interno della stessa Chiesa, e rischia di sgretolarne i fondamenti morali e culturali… perché il suo centro non è più Gesù Cristo.

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