LA VALLE DEI MULINI UNA CIVILTA’ SCOMPARSA

La nostra “valle del Metramo”, ancora oggi immersa in una natura incontaminata, ricca di alberi e animata dallo scorrere dei fiumi, negli anni passati era conosciuta (grazie alla presenza di tanti mulini alimentati da numerosi corsi d’acqua), come “la valle dei Mulini”.
I mulini hanno avuto un ruolo di primaria importanza nell’organizzazione del lavoro e nell’economia della nostra piccola comunità galatrese, attorno ad essi, infatti si svolgeva buona parte della vita quotidiana del paese, un’attività importante che diventò anche punto di incontro tra gli abitanti dei paesi vicini.
Di tutto quello che i mulini hanno rappresentato nella storia della nostra Galatro, purtroppo, oggi non vi è rimasta nessuna traccia; anzi, in più occasioni ho avuto modo di ascoltare come i ragazzi della nostra scuola vengono portati in qualche paese vicino, proprio per approfondire ed apprendere i metodi della macinazione usati dai mugnai, in un passato ancora non tanto remoto.
Discutendo con alcuni amici proprio di questo paradosso, cioè che i ragazzi abitanti nella “valle dei Mulini” devono recarsi “altrove” per attingere notizie sulla utilizzazione dell’acqua ai fini della molitura e sulla cultura che ne è stata tramandata dai mugnai, ho avuto modo di leggere un articolo di Umberto Di Stilo, pubblicato sulla Gazzetta del Sud verso la fine degli anni novanta, che ci permette una lettura tecnica e storica della presenza di tutta una realtà e cultura legata alla presenza dei mulini nella nostra cittadina, purtroppo, di cui oggi non è traccia neppure nel ricordo.

C’E’ UN ANTICO MULINO DA RIATTIVARE
Umberto Di Stilo

Umberto Di Stilo

Umberto Di Stilo

Uno dei discorsi ricorrenti tra quanti, guardiamo alla ormai imminente apertura delle nuove Terme, azzardando progetti per il futuro di Galatro, riguarda l’intelligente sfruttamento delle risorse turistico-culturali esistenti su tutto il territorio comunale. Risorse da sfruttare per offrire a quanto dovessero decidere di soggiornare in paese per tutta la durata della cura, dei momenti di riflessione e di studio, di nuove conoscenze e di approfondimento culturale.
Allora il discorso, inevitabilmente cade sull’importanze del recupero del vecchio monastero S. Elia e sulla indispensabile strada di accesso, sul cinquecentesco trittico attribuito al Gagini e sulla quattrocentesca statua marmorea di San Nicola. Nessuno ricorda la rarissima che vanta il paese che, unico in tutta la zona, nell’attrattiva della bianca collina su cui si erge l’agglomerato urbano della sezione Montebello sormontata dal Calvario, nasconde un plurimillenario segreto di una microfauna marina risalente al Pliocene. E, in quella che anticamente, grazie alla presenza di numerosi corsi d’acqua era conosciuta come “La valle dei mulini”, nessuno ricorda l’importante (ma negletto) rudere del Molino dell’Abbazia, il quale, nonostante sia, forse, la più antica testimonianza della millenaria civiltà galatrese, continua ad essere del tutto ignorato dalla comunità e dai responsabili amministrativi locali. Tutto ciò nonostante la sua data di “nascita” per essere stato originariamente costruito dai frati basiliani sia da far risalire ai primi del dodicesimo secolo, mentre se si vuol prendere come data di riferimento il periodo in cui il molino fu mandato avanti dai frati cappuccini, allora lo stesso è di poco più recente alla scoperta dell’America.
Quale che sia l’anno di nascita dell’antico molino del popolo, meriterebbe una maggiore attenzione da parte della “intellighenzia” locale e la sua memoria andrebbe custodita e tramandata ai posteri per ciò che esso è stato nella storia sociale del paese. Non ultimo perché ha il merito di avere salvato da distruzione certa il paese all’allorché la notte del 22 novembre del 1935 resistendo al violento urto del fiume in piena, deviò il corso delle acque evitando la perdita di vite umane.

Corso d'acqua vicino alla Chiesa della Montagna serviva a portare l'acqua ai mulini.

Corso d’acqua vicino alla Chiesa della Montagna serviva a portare l’acqua ai mulini.

Oltre a questo rudere, a testimonianza di quella che fu la laboriosa “valle dei mulini”, in pieno centro abitato esiste ancora un intero e funzionante impianto di molitura ad acqua. E’ l’antico “mulino del Carmine”, così chiamato perché nei secoli scorsi era gestito dai confratelli della omonima chiesa. In atto è di proprietà del sig. Salvatore Ferraro che, fino a qualche anno addietro, provvedeva a metterlo a disposizione dei cittadini per la molitura dei cereali due volte la settimana. Adesso, a seguito di una frana che ha danneggiato la condotta dell’acqua, è chiuso.
All’amministrazione comunale, convinti che il futuro turistico del paese si coniuga anche con la riscoperta di tutto ciò che è legato alle vecchie attività artigianali, vorremmo suggerire di avviare una seria campagna di recupero della molitura dei cereali mediante la requisizione (o l’acquisto) del vecchio “Mulino del Carmine” con il conseguente ripristino dell’attività anche a scopo didattico.
Essendo questo di Galatro l’unico molino ancora in grado di funzionare con lo sfruttamento della forza idraulica delle acque del Fermano, se riaperto, nel giro di poche settimane potrebbe divenire il punto di riferimento per moltissime scolaresche desiderose di conoscere il funzionamento del molino e di vedere come l’acqua incanalata e fatta scendere nella “saitta”, finendo sulle pale della ruota orizzontale opportunamente sistemata, produca una spinta capace di far girare la macina che gli esperti scalpellini locali hanno saputo ricavare da un enorme blocco di granito. E poi c’è la magia della tramoggia a forma d’imbuto da cui il grano scende lentamente nell’”occhio della macina” e, divenuto farina, attraverso la canaletta sistemata al centro del “farinaro”, va a finire prima nel contenitore di raccolta e poi nel sacco. C’è in questa semplice operazione un pizzico di magia che incanta i bambini e affascina gli adulti.
Anche per questo l’amministrazione comunale dovrebbe venire incontro alle contingenti e reali necessità del proprietario del mulino e accelerare i tempi di recupero dell’antico “Mulino del Carmine”, ieri punto di riferimento per una consistente fetta della società agricola del luogo, oggi importante testimonianza di un’epoca e anello di congiunzione tra la civiltà contadina di un tempo e la moderna civiltà tecnologica. Un anello di congiunzione che merita tutta l’attenzione di un’amministrazione che si dice aperta alle esigenze culturali di una società che, ricca di storia e civiltà, guarda fiduciosa al nuovo millennio.

La lettura dell’articolo di Umberto Di Stilo mi ha richiamato alla memoria un pregevole testo dal titolo “La via dei Mulini”, opera di due brave architette nicoteresi, Giuseppina Lapa e Chiara Naso, che ha dato vita, alcuni anni addietro, ad un interessante convegno nel Castello dei Ruffo di Nicotera, dedicato proprio ai nostri mulini “per troppo tempo considerati beni culturali minori ed abbandonati all’incessante opera distruttiva del tempo, per cercare di risvegliarli dal sonno in cui da alcuni decenni sono caduti, pur se fra le braccia di una stupenda natura circostante”.
Alla presentazione del libro “La via dei Mulini”, sono stato invitato ad intervenire insieme ad altri relatori ed in quella occasione mi è piaciuto soffermarmi su alcuni aspetti del libro che ritengo possano essere ben presentati anche in questo servizio, come contributo per rendere viva una pagina della nostra storia che non può cadere nell’oblìo.

LA VIA DEI MULINI
Michele Scozzarra

Michele Scozzarra durante l'intervento alla presentazione del libro "La via dei mulini"

Michele Scozzarra durante l’intervento alla presentazione del libro “La via dei mulini”

Avevo visitato la Mostra su “La Via dei Mulini”, allestita dagli architetti Giuseppina Lapa e Chiara Naso nel Castello dei Ruffo di Nicotera, con una certa inquietudine. Che cosa avranno fatto, mi chiedevo, le due Autrici in questa loro pregevole tesi di laurea realizzata e discussa presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Reggio Calabria? Un viaggio nella memoria? Un documento da consegnare agli archivi? Un’elegia del mondo contadino? L’elogio funebre di una forma di vita, e di lavoro, ormai scomparse? Girando tra i vari pannelli, e trascurando di considerare l’aspetto direttamente tecnico del lavoro, cercavo di raffigurarmi cosa la gente avrebbe potuto ricordare di quelle immagini, quale testimonianza avrebbe colto da essi, come le avrebbe interpretate, quale senso avrebbe dato al racconto di quella vita e di quelle modalità di lavoro, che le immagini dei mulini rappresentavano?
Tante domande, a dire il vero, sono rimaste senza risposta, anche se la prima cosa che è risultata immediatamente chiara, è stata la difficoltà a definire il lavoro con una formula, per cui mi è risultato più facile capire cosa il lavoro contenuto nella tesi e rappresentato nella mostra non era: non era un tentativo di recupero sentimentale delle radici della propria terra e della sua tradizione; non era un documentario, tanto meno una denuncia sociale per qualcosa che non meritava di perpetrare nel suo stato di abbandono.
Per questo, appena letto il libro, nel quale le autrici hanno raccolto tutta la loro fatica, ho tirato un respiro di sollievo: tante mie domande hanno avuto una risposta chiara e positiva: “La via dei Mulini”, edito dall’Associazione culturale Proposte di Nicotera, non è un viaggio nella memoria, non è una reminiscenza tra sogno e fantasia, un girovagare a ritroso nel labirinto dei ricordi… E’, invece, un atto di conoscenza generato da un atto d’amore: una conoscenza che riesce a portare l’occhio, la mente ed il cuore alla scoperta di un mondo che, anche se scomparso, riesce ancora a trasmettere una sua straordinaria bellezza. Non si tratta di nostalgia, forse è più giusto dire che si tratta di “poesia”, nel senso più autentico del termine, che è quello del far emergere la verità e la bellezza dalle parole e dalle immagini che il lavoro presenta.
Il libro non cerca di far capire com’era bella (o brutta!) la vita dei mugnai nicoteresi (anche se, simpaticamente, si scopre che “con l’introduzione del mulino ad acqua nasce la figura del Mugnaio, personaggio dal fascino ambiguo, molto spesso odiato e punito, giocando sull’infedeltà della moglie…”), ma semplicemente fa vedere com’era l’ambiente, rivela un mondo scomparso e con esso tutta la cultura che c’era dietro. Un lungo percorso che va ben al di là della realtà dei Mulini di Nicotera.

Copertina "La via dei mulini" Edizione Proposte

Copertina “La via dei mulini” Edizione Proposte

Significativo è il rilievo dato al mondo di valori, di usanze che l’abbandono di queste realtà lavorative ha fatto scomparire.
E qui viene l’osso più duro da masticare, perché la parola “mugnaio” oggi sta ad indicare un qualcosa che non c’è più, e non potrà mai più tornare ad esserci, anche perché i mugnai che vediamo oggi (e li vediamo solo in televisione), sono alle prese con le macchine, i prodotti sintetici, i programmi di produzione e magari lavorano il grano manovrando un computer.
E proprio qui si innesta, a mio modesto avviso, il valore del lavoro degli Architetti Giuseppina Lapa e Chiara Naso: avere avuto il coraggio di proporre la questione della cultura dei mulini, provocando ad un confronto critico l’attuale civiltà, che non è stata in grado salvaguardare questi grandi monumenti della nostra cultura rurale nei suoi molteplici aspetti.
Contro il presentimento (che poi solo presentimento non è!) di questo abbandono incombente, e all’esigenza istintiva di una rinascita culturale, è finalizzato questo lavoro che si concretizza in un progetto che prevede due alternative concrete e realizzabili: un percorso “di cultura” nella città ed un percorso nella natura. Ma lasciamo che le stesse Autrici si esprimano a riguardo: “Scopo principale del nostro progetto è di ridare vita ai nostri mulini, per troppo tempo considerati ingiustamente beni culturali minori ed abbandonati all’inarrestabile opera del tempo, risvegliandoli dal sonno di decenni tra le braccia della stupenda natura circostante. Ridare vita ai mulini… ripopolando luoghi che un tempo furono culla di una epoca fervente di lavoro instancabile. Ridare voce a quei ruderi perché non diventino rovine, ridare colore alla loro storia per troppo tempo vista come un ricordo in bianco e nero che sbiadisce con il tempo, fino a scomparire nella memoria”.
Per questo è bene mettere in rilievo, come tutta la realtà documentata nel libro è dimensione e testimonianza, non appena della cultura contadina, ma della cultura in quanto tale, intesa come lavoro dell’uomo perché si riappropri della sua verità e dignità.
Non so quanti nel libro hanno colto la limpida immagine che ha generato, alimentato e guidato la genialità creativa della nostra gente. Quest’immagine di un popolo geniale e laborioso è tra le espressioni più alte del libro, forse qui è racchiusa anche la forza della sua proposta, che si leva come un grido per destare l’interesse verso questo stato di degrado in cui sono stati sepolti per tanti anni i resti e le testimonianze di questa civiltà, che è nata proprio intorno ai vecchi mulini.
E queste grida sono indirizzate verso tutta la popolazione, verso i politici, verso gli studiosi e quanti hanno a cuore il loro recupero, affinché questo enorme patrimonio artistico-culturale, a molti ancora sconosciuto, non debba andare perduto.
Il libro ci mette davanti delle immagini che non possono non suscitare sbalordimento… in tanti può darsi anche che prevale l’incredulità, davanti a quello che si presenta davanti: sembra quasi impossibile credere che ci possano essere opere così importanti, senza nessuna protezione e salvaguardia.

Conduttura Acqua

Conduttura Acqua

Le Autrici del libro, egregiamente, hanno rappresentato la realtà di questi mulini proprio come fossero persone vive: e, sotto questo aspetto, il libro si presenta non solo come una documentazione di natura artistica, ma è anche un contributo alla ricerca della complessità e vastità dell’umanità che ha popolato quei luoghi e, per dirla con le loro stesse parole: “In una epoca dove tutti possiamo dire la nostra, lasciamo parlare anche i ruderi, e facciamoli rivivere per ritrovare il dialogo con un passato cui siamo legati da fattori storici, economici, politici ed affettivi… Molto è andato perso di una vita semplice operosa: manca il rumore piacevole dell’acqua che scorre e da la forza alle ruote, manca il canto delle instancabili macine e l’affaccendarsi dei mugnai, i sacchi di grano sui muli e giù per la collina. Oggi, tutt’intorno rimane la stessa natura verde e rigogliosa, ed il forte fascino per una tradizione persa nei secoli ma ancora viva nei racconti e nei ricordi degli anziani, tra i muri caduti dei vecchi mulini”.
Per questo ritengo che, facendo memoria del passato, La via dei Mulini, risponde a delle domande del presente e apre una strada al futuro: in quanto anche se analizza il problema, soprattutto da un punto di vista tecnico-operativo, si rivela opera di alta poesia, se del poeta è cogliere in un unico atto il ieri, l’oggi ed il domani; infatti il libro rispecchia la vita, in uno dei suoi aspetti più faticosi, ma più nobili, e poetare è saper riportare l’immagine della vita in tutta la sua verità e bellezza.

 

 

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