PASQUINO CRUPI : LA POLITICA, LA LETTERATURA, LA PREGHIERA… E LA MADONNA DI POLSI.

Pasquino Crupi e L incoronazione della Madonna della Montagna Polsi

Pasquino Crupi e L incoronazione della Madonna della Montagna Polsi

Pasquino Crupi

Pasquino Crupi

Il 19 agosto 2013 è morto a Bova Marina, Pasquino Crupi: tanti giornali ne hanno dato la notizia scrivendo di lui come “intellettuale meridionalista e giornalista, considerato uno dei maggiori studiosi della storia calabrese”. Ed è tutto vero!
Così come anche per il suo impegno politico, che lo ha visto acceso protagonista per diversi lustri, è stato descritto come “rosso per dispetto” riportando una delle sue ultime prese di posizione: “Non volevo che le gloriose bandiere della lotta operaia e bracciante finissero nelle mani di chi del Capitale conosce solo il titolo, e sa di Gramsci grazie alle tante vie che portano il suo nome”.
E’ stato anche scritto che “Pasquino era talmente fuori dagli schemi che da ateo-credente aveva fatto riaprire una Chiesa, così come ha sfidato le piazze della ‘ndrangheta quando non era di moda farlo, e non ha svenduto la sua terra per la pubblicazione o un titolo in prima pagina…”.
Ho letto di tutto sulla morte di Pasquino Crupi, ma non ho letto di come, negli ultimi anni (ma non solo negli ultimi anni), non ha esitato a rivolgere lo sguardo a “Colei che è al di sopra di tutto”, la Madonna (per lui con l’abito della Madonna di Polsi), la cui devozione ha sempre guidato la mano di poeti, scrittori, pittori: “La Madonna ha il suo canto perpetuo –scrive Pasquino- non nei monumenti scritti, ovvero nei libri, ma nei monumenti orali, ossia nella preghiera, affondata nel cuore del popolo, altare di carne, che palpita sempre e non muore mai”.

Incoronazione della Madonna della Montagna Polsi.

Incoronazione della Madonna della Montagna Polsi.

In questo inizio di settembre, periodo in cui hanno luogo, soprattutto a Polsi, i festeggiamenti in onore della Madonna della Montagna, mi piace ricordare Pasquino Crupi con un suo articolo, pubblicato il 3 settembre del 2008 su CalabriaOra, dove non scrive di politica, o di omicidi, o di ‘ndrangheta, ma dell’importanza della devozione alla Madonna di Polsi, racchiusa nel suo Santuario come in una conchiglia, con la gente che pigia per entrare e avvicinarsi all’altare: i muti vogliono parlare, i ciechi vedere, gli infermi guarire… mentre le donne intorno dicono le parole più lusinghiere alla Madonna, perché si commuova.

Un Gambero Rosso - Pasquino Crupi

Un Gambero Rosso – Pasquino Crupi

Con il solito impeto e chiarezza che lo ha sempre contraddistinto, Pasquino non ha avuto alcuna esitazione nello scrivere che: “… i letterati calabresi sono stati laici e progressisti… ma non sono riusciti ad essere popolo. L’esperienza luminosa non l’hanno avuta. Per loro sfortuna e per sfortuna della letteratura calabrese… Santi, Sante, la Madonna di Polsi appartengono alle umane genti affaticate, che hanno collocato nella pia valle la primogenitura della loro speranza inespiata. Non possono appartenere a narratori e poeti che a quella primogenitura hanno rinunciato per un piatto di lenticchie verbali. La preghiera precede la letteratura. E’ così.”.
Voglio ricordare Pasquino Crupi in questa sua “sacra” ricerca, in questa sua “preghiera”, così inquieta quanto autentica e vera, che testimonia la capacità di andare al “cuore” di quello che di più caro abbiamo dentro il nostro intimo, quello che ci costituisce e ci spinge a buttarci dentro l’umana avventura che è la vita di ognuno di noi, con l’onestà, non solo intellettuale, di riconoscere che c’è un tempo in cui si può anche pensare che “tutto è politica”, ma alla fine, le menti più profonde e attente alla realtà che ci circonda, non possono non arrivare ad ammettere che, grazie a Dio, “la politica non è tutto”.
Pasquino Crupi di tutto questo ha dato grande testimonianza!

A POLSI LA PREGHIERA PRECEDE LA LETTERATURA

di Pasquino Crupi

Pasquino Crupi

Pasquino Crupi

Con i piedi per terra e la testa nel cielo, i letterati calabresi hanno attraversato la Storia infetta di questo nostro territorio con la parola di san Nilo, la profezia incendiaria di Gioacchino da Fiore, restituito attualità alla Obama, con la rivoluzione scientifica di Bernardino Telesio, con l’utopia di Tommaso Campanella, con i primitivi di Vincenzo Padula, per la prima volta ospitati nelle pagine astiose della letteratura nazionale.
Ma verso l’Aspromonte tardarono ad incamminarsi e furono preceduti, con buon gruzzolo di secoli, da Andrea da Barberino che con “I reali di Francia” (1491) deposita Papa Silvestro e alcuni suoi discepoli cristiani sulla aspra montagna, non ancora fatta maschera del negativo dai giornalisti con il casco coloniale. Si capisce.
Camminare a piedi in montagna, verso la montagna è una fatica enorme. Bisogna riposarsi e prendere fiato.

Madonna di Polsi

Madonna di Polsi

Insomma i letterati calabresi si affacciarono sull’Aspromonte solo sul principio del Novecento.
Vi guardarono con movimento verticale: dall’alto verso il basso. La testa dei letterati calabresi, che era ritta verso il cielo, reclinò verso il basso, là, nel punto luminoso, nella pia valle dove la chiesa fa da riposato albergo a Maria di Polsi.
E tutti erano stati anticipati dal millenario pellegrinaggio dei poveri di Calabria.
Come il Regno dei Cieli ai ricchi, così il Santuario di Polsi ai letterati calabresi non fu di facile accesso. Si capisce perché.
Non si può immaginare l’inimmaginabile. I letterati calabresi devono avere pazienza oltre che umiltà. Hanno da attendere che l’inimmaginabile, cioè il sacro, diventi il concreto-sensibile dell’avventura storica del popolo dentro la sua fede, che costruisce vicinanze umane con i grandi Santi e le grandi Sante della Chiesa, e ne racconta apparizioni, miracoli, placamento di pene.
Santi, Sante, la Madonna di Polsi appartengono alle umane genti affaticate, che hanno collocato nella pia valle la primogenitura della loro speranza inespiata. Non possono appartenere a narratori e poeti che a quella primogenitura hanno rinunciato per un piatto di lenticchie verbali. La preghiera precede la letteratura. E’ così.

Santa Maria di Polsi, Altare -Polsi.

Santa Maria di Polsi, Altare -Polsi.

Le donne che si avvicinavano a Santa Maria di Polsi, lavando con la lingua il pavimento della prodigiosa Chiesa; gli uomini, che dalle loro spalle, ferite dal sole e infradiciate dall’acqua, sporgevano verso la bella Madre di Gesù i figli del bisogno e della notte: anemici, smunti, muti, storpi, sordi, ciechi; il ricco, il quale già schifò persino nella Casa del Padre, che sta nei cieli, di sedere accanto alle vecchie fasciate di stracci, e che ora nel tempio della beata Vergine implora dai terrazzani un po’ di largo per potersi inginocchiare e pregare; il giovane toro, che fu insolentemente minaccioso sulle balze dell’Aspromonte e che adesso piega le zampe dinnanzi alla Miracolosa; l’urlo trionfatore, che annuncia per i rimasti fuori dal Santuario: “Miracolo! Miracolo!”: è questa l’onda che mette in movimento le teste dei letterati calabresi.
Sono i puri di cuore e gli infettati dalla fatica irredenta a guidare la mano di scrittori e poeti. Il racconto del sacro, il racconto del sacro, che comunque è sempre un racconto, è senza inventiva e senza fantasia. I letterati calabresi se vogliono raccontare il sacro, devono ubbidire a questa castrazione.

Pasquino Crupi

Pasquino Crupi

Il Santuario di Polsi è un luogo di devozione.
Anche di ispirazione. Ma di ispirazione di santi pensieri. Non mai di ispirazione letteraria autonoma. Il soffio dell’arte colà, dove il rimbombo del cuore in piena è la poesia, tace. I letterati sono obbligati a rassegnarsi. Per poter raccontare, sono necessitati ad aderire al detto, al tramandato, alle pieghe dell’anima popolare come la pelle ai nervi. Quanto alla materia del racconto, non possono accrescerla. Quanto alla forma, le carambole sono disdette.
L’orfismo della parola, che ha esitato la sua inconcussa superbia trasformatrice, si arresta sulla soglia del santo Convento. Qui il popolo, muto da sempre, balbettante da sempre, stacca gli accenti dalle sillabe tormentate, indecise a diventare parola, e li solleva, al di là della geografia del digiuno linguistico, alla geografia dell’Eterno, ossia alla preghiera, parola compiuta.
Sulla soglia sacra, dentro la Chiesa di Maria di Polsi, si attua un rovesciamento epocale: i letterati, che pure hanno il dominio assoluto dei significati e dei significanti, balbettano, rallentano come chi è costretto a trascrivere e, addirittura, a copiare.
Gli uomini e le donne del popolo, che da sempre si sono espressi con gesti e mugugni, con frasi strozzate in gola, acquistano un’oralità effabile e matura. Ed è a quell’oralità che i letterati calabresi sono implicati a piegarsi, ridursi, porgere l’orecchio se davvero intendono ad una plausibile descrizione del sacro.

Pasquino Crupi

Pasquino Crupi

Propriamente in questo modo. La Madonna non è che il gemito verbale dei ricordi e delle preghiere del popolo, della folla unanime. Il racconto diretto è impedito ai letterati calabresi.
Questo impedimento cade solo quando si ha l’esperienza luminosa, vale a dire quando ci si abbandona alla fede.
Ma i letterati calabresi sono stati laici e progressisti, illuministi, ma non democratici. Non sono riusciti ad essere popolo. L’esperienza luminosa non l’hanno avuta. Per loro sfortuna e per sfortuna della letteratura calabrese. Infatti, hanno ritirato la loro testa dalla sacra montagna e da Maria di Polsi. Poco importa.
La Madonna ha il suo canto perpetuo non nei monumenti scritti, ovvero nei libri, ma nei monumenti orali, ossia nella preghiera, affondata nel cuore del popolo, altare di carne, che palpita sempre e non muore mai.

Tratto da CalabriaOra di mercoledì 3 settembre 2008.

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