IN SILENZIO… CHINIAMO LA FRONTE
Ho scritto su questa mia pagina web come, nel 1992, ho “osato” sul mensile “Proposte” di Nicotera, creare una rubrica alla quale ho dato nome “Osservatorio” e, con scadenza mensile, ho tentare di rappresentare un diario del costume, un luogo di giudizio per consentire una libera veduta verso dei fatti che, in particolari momenti, hanno destato interesse e curiosità. Ho indirizzato l’attenzione verso una serie d’istantanee, scattate a caldo dalla trincea dei fatti quotidiani, con tutti i rischi che l’immediatezza ha comportato, con la consapevolezza che il nostro Paese (quello che vive e si esprime nel cuore della gente più semplice e meno attaccata al potere e alle sue seduzioni), è migliore dei politici che lo rappresentano o dei moralisti che vorrebbero conformarlo.Nel susseguirsi degli anni, mese dopo mese, articolo dopo articolo, è stata questa la consapevolezza del mio scrivere e oggi, nel voler inserire nel mio sito web tanti articoli pubblicati sull’Osservatorio, penso che, nonostante siano passati tanti anni, ancora abbiano qualcosa da dire e si presentano nella loro, piacevole o drammatica, attualità. Quello che riporto di seguito, pesno che nella su drammaticità, non smette mai di presentarsi “attuale”… (m.s.)
IN SILENZIO… CHINIAMO LA FRONTE
Ho avuto modo di scrivere, su queste colonne, come, per colui che si mette a scrivere, la realtà scorre sotto la tastiera tra durezze e asperità che nessun altra attività conosce. E come, avendo la necessità di rendere leggibile ed intellegibile ciò che accade, si è costretti ad “intendere” cosa significa la vita degli uomini e come sta sospesa sul filo della precarietà. Effettivamente scrivere è, essenzialmente, come intraprendere un viaggio dove si può incontrare di tutto: difficoltà, gioie, dolori, sgomento, paura… Sgomento e paura è quanto le mie dita stanno trasmettendo alla tastiera della mia macchina da scrivere. Talvolta la realtà, così come viene raccontata sui media, mi spaventa. E penso che lo spavento è uno stato d’animo normale nel leggere notizie come queste.
La prima è una lettera apparsa nel dicembre del 1980 sul Giornale. La risposta è di Montanelli: “Caro direttore, le segnalo uno di quei casi che, per quanto minimi nel generale bailamme, ogni tanto ci inducono nella tentazione di emigrare e cambiare cittadinanza. Qui a Milano, all’angolo fra piazza Cavour e via Manin, proprio all’ingresso dei giardini, c’è una piccola rivendita all’aria aperta di caldarroste, noccioline e becchime per uccelli, accudita da una povera donnina che, malgrado gli anni (ne ha più di settanta) e i reumatismi, passa la giornata al freddo, dall’alba al tramonto, per vendere la sua povera mercanzia. Da quando, pochi mesi fa, le è morta la madre ultranovantenne, cui dedicava la sua vita, non ha nessuno, salvo i piccioni che le fanno corona. Ieri l’ho trovata in lacrime. Soldino su soldino, era riuscita ad accumulare un risparmio di duecentomila lire, e stava per portarlo al fornitore di castagne che le aveva anticipato la mercanzia, quando un gruppo di ragazzi fra i sedici ed i vent’anni, probabilmente drogati, le ha strappato di mano la borsetta e si è dileguato. Volevo darle io quei soldi, ma non li ha voluti. Come fare per aiutare quella povera creatura, che rifiuta l’elemosina? (Lettera firmata – Milano) Risposta: Caro lettore, il caso vuole che anch’io conosca abbastanza bene quella povera donnetta. Mi fermo sempre a parlare con lei, così coraggiosa e dignitosa nella sua estrema povertà, quando vado a passeggiare ai giardini; e per aiutare il suo piccolo commercio, compro sempre un pò di caldarroste. Ignoravo la sua disavventura, e avrei preferito seguitare a ignorarla perché mi riempie di furore e di scoraggiamento, molto più di una rapina a qualche negozio di lusso. Che qualcuno abbia potuto depredare una creatura come quella, ritratto dell’indigenza e del sacrificio, e che a farlo siano stati dei ragazzi, mi fa disperare del tutto. Lei ora mi chiede come si può aiutarla. Ma questo, grazie a Dio, mi sembra semplice ed alla portata di qualunque tasca. Chi di voi, cari lettori, ne ha il tempo, vada a fare una passeggiata ai giardini, si fermi dalla donnina (la si riconosce subito dietro il suo banchetto al cancello d’entrata accanto al distributore di benzina), e con la scusa di non avere spiccioli, le lasci per un cartoccio di caldarroste due o tre mila lire. Quelle, sono sicuro che le accetterà. Ma non dimenticatevi di farlo. Sentirete come sono buone, quelle caldarroste. (i.m.)”.
La seconda notizia è stata riportata dai giornali durante le festività natalizie. Non appena l’ho letta sono subito andato a “rispolverare” la lettera indirizzata a Montanelli, sopra riportata e da me conservata gelosamente. Le situazioni, per molti versi si rassomigliano, ma qui, purtroppo, non ci è stato neanche dato il tempo di domandarci “come fare per poter aiutare quella povera creatura?”. Ecco il racconto del fatto, accaduto proprio nel nostro comprensorio: “Non si fermano neppure dinanzi alle festività più sentite le amare storie di povera gente. A Moladi di Rombiolo, sull’altipiano calabrese del Poro, in provincia di Vibo Valentia – dove la criminalità comune non risparmia gli allevamenti di bestiame e i prodotti dell’agricoltura – una vecchietta di 70 anni è morta perché particolarmente colpita dal furto di una manciata di olive. Proprio così. Rosaria Ferraro – così si chiamava la sventurata -, raccoglitrice di olive fin dall’infanzia, non aveva mai smesso di esercitare questo mestiere. Ogni giorno si recava nel suo appezzamentino di terreno ulivetato e accumulava il raccolto in una baracca per poi portarlo al frantoio. Nella notte di Natale glielo hanno portato via e quando, nel giorno di Santo Stefano, ha scoperto il furto si è fortemente disperata fino a picchiare più volte la testa contro una pianta. La donna, che viveva sola in casa, è morta di crepacuore, non avendo resistito al dolore per il furto del frutto del suo lavoro. Particolare curioso: siamo nello stesso paese dove, circa un anno fa, un’altra donna è morta in simili circostanze. Non aveva sopportato il secondo furto della sua auto, strumento indispensabile per il suo lavoro, e aveva picchiato la testa contro il muro fino a morire. ‘La Calabria è una terra – dice Mons. Domenico Pantano, Vicario Episcopale – oltre che di rapimenti di uomini, anche di povere cose. La gente viene sistematicamente spogliata di tutto. E lo Stato si è limitato solo a fare promesse'”.
Cosa si può scrivere per commentare simili notizie. Forse, dinanzi a storie come queste, di vero esiste solo il silenzio: quel silenzio che s’affaccia sugli abissi della nostra nullità e, umilmente, china la fronte… e niente altro!
Pubblicato su Proposte n. 1 del 1-31 gennaio 1996