IL TEMPO ED IL SUO SIGNIFICATO NELLA POESIA DI VINCENZA ARMINO

Scrivere di un poeta, anche se non si conosce personalmente, significa assumere il suo sguardo sulle cose, sulla realtà, sulla vita: io non conosco la professoressa Vincenza Armino (se non come la moglie dell’amico prof. Michele Zito), ma mi è bastato leggere le poesie dei suoi tre volumi (“Pentagramma”, “A piedi nudi, nell’anima” e “Percezioni-Ricordi”) per capire come la dirompente potenza dei suoi versi risiede nella capacità di modificare lo sguardo del lettore… nel riuscire a far sentire e gustare ogni verso nella sua assoluta unicità, componendo le parole, in modo diverso dal nostro abitudinario modo di scrivere, mettendo maggiormente a fuoco il “segreto della vita”, della sua vita in particolare, proprio con delle tematiche che toccano e riflettono profondamente l’animo dell’autrice… la sua coscienza che si fa “parola” di una tensione legata all’espressione della sua vita e nella poesia crea un “qualcosa”, in forma di parole, da consegnare all’Infinito, anzi stavolta è lecito chiamarlo “un silenzio consegnato all’Infinito”

Parla il silenzio

con voce altisonante.

Racconta la vita

con tutte le sue pieghe.

Scolpisce volti e gesti

nel cuore e nella mente,

annulla e amplia

le umane cure e i tempi.

 

E proprio in questo silenzio, in questo desiderio di “infiniti silenzi e infiniti spazi”, ecco come la poesia porta la Armino alla ricerca dei valori eterni con cui dare un senso al suo umano esistere:

Mi prendi all’improvviso, come il sonno

come la nostalgia, come il rimpianto.

Mi avvolgi or con dolore or con incanto,

mi guidi, mi sazi o mi lasci inquieta:

sei mia compagna o irragiungibil meta.

 

Bastano questi pochi versi a presentarci la poesia di Vincenza Armino come spaventosamente ricca di riecheggiamenti personali, immediatamente percepibili… la “parola” diviene subito accessibile al lettore, in tutto lo stupore che ne scaturisce… e quando una poesia suscita delle emozioni in qualcuno, ad un certo punto è come se si allontanasse da chi l’ha scritta e fosse scritta da colui che la legge… avviene come una inversione di senso: c’è in chi ascolta, una sorpresa derivata dal sentirsi colui che inventa e prova queste cose. Tra lettore e poeta si viene a creare come un patto segreto, una misteriosa connivenza… una sorta di “riconciliazione” in un incontro misterioso quanto improvviso:

Intorno il silenzio, la pace nel cuore.

Voli e desideri dentro come fuori.

Suoni, richiami, passi lontani.

Nelle  sue opere si nota un forte desiderio di dare senso e significato alla sua “quotidiana fatica”, e si percepisce anche un disagio, il disagio di chi si accorge del “deserto che avanza e del vuoto che ci circonda”, dove, spesso, la fatica per la costruzione di una realtà più “umana”, appare sempre più frustata e inutile, e in tutto un addensarsi di ricordi, espliciti o meno, cerca di trovare quel senso del presente che attira a se anche il passato e il futuro,  quasi come il tentativo di trovare una risposta lasciata “nel tempo”, o meglio, quei “momenti di tempo che danno significato al tempo”, che ci ritorna in mente attraverso le parole di T.S. Eliot nei “Cori della Rocca”: “Quindi giunsero, in un momento predeterminato, un momento nel tempo e del tempo, Un momento non fuori del tempo, ma nel tempo, in ciò che noi chiamiamo storia: sezionando, bisecando il mondo del tempo, un momento nel tempo ma non come un momento di tempo, Un momento nel tempo ma il tempo fu creato attraverso quel momento: poiché senza significato non c’è tempo, e quel momento di tempo diede il significato”.

Questa ricerca di significato nel tempo, come momenti di tempo che danno significato al tempo, la Armino la esprime in una delle sue poesie più belle

 

Tempo verrà di un tempo

che sarà altro tempo.

Scorrerà, lasciando impronte

da percorrere a suo tempo,

dimentichi del tempo.

 

La poesia della Armino si presenta anche come una testimonianza di fede…  anzi dell’intelligenza della fede,  intesa come capacità di cogliere una parabola umana nel suo tendere, nel tempo, al vero senso della nostra esistenza. Intelligenza di fede, dunque, perché di fede è la tensione (la spada che trapassa, che giudica e che condanna), che si impone nelle sue poesie, dove al centro del suo pensiero, spesso, non c’è il male, ma la mancanza di bene e quindi la mancanza di significato.

Anche se, nelle sue poesie, c’è sempre spazio per una preghiera, con il desiderio di aprirsi a questa forma, questo volto, questa vita che ci fa andare avanti per “vivere” in un mondo che, anche se ci impone dei ritmi che superano i nostri limiti e le nostre “speranze”, non ci allontana mai dalla via della Salvezza.

 

Parlami, o Dio,

fa’ ch’io senta, forte, la tua voce

ora che, il buio non mi fa vedere,

ora che, sono priva di parole,

ora che il cuore tace,

ora che non so qual è la via,

ora che la speranza, non ha più una scia.

articolo pubblicato a giugno 2011

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