Categoria: Cultura

CHI ERA L’ABATE MARTINO, QUESTO STRANO PRETE GALATRESE DELL’OTTOCENTO?

Ho provato, negli anni passati, a chiedermi “Chi era l’Abate Antonio Martino?”, e perché sulla figura di questo “strano” prete è stato scritto tanto. Anche io ho scritto diversi articoli che ho raccolto in un mio personale, e ancora inedito, volume composto da 11 capitoli che, per ora, pubblicherò su questa mia pagina web.

“IL POSTO VUOTO”: RACCONTO NATALIZIO DI UMBERTO DI STILO

L’inesorabilità del Natale diventa per Umberto di Stilo anche l’inesorabilità del tempo che passa. Ma è anche molto altro ancora, così come si percepisce nell’ultimo suo racconto natalizio “Il posto vuoto”: un libro agile e riflessivo che ha il merito di scavare in modo “drammaticamente umano e attuale”, mettendo in risalto la realtà di tanti immigrati che, ormai da anni, vivono nei nostri paesi.

IMPORTANZA DEL DIALETTO E VOCABOLARIO GALATRESE DI UMBERTO DI STILO

Perché negare che l’attenzione che hanno destato due miei post, pubblicati ieri sera su facebook, sull’importanza del dialetto e sul vocabolario del dialetto galatrese pubblicato dal prof. Umberto Di Stilo, mi ha fatto piacere. Qualche anno addietro, un giovane studente liceale mi ha chiesto di cercare ad aiutarlo in una ricerca sull’importanza del dialetto. Scopiazzando da più parti, forse proprio dall’introduzione al Vocabolario di Umberto Di Stilo, abbiamo cercato di dare un breve giudizio che riporto di seguito, insieme alla nota di cronaca del 26 maggio del 2010 sulla presentazione del Vocabolario presso la Sala Convegni delle Terme di Galatro.

UMBERTO DI STILO CHIARISCE I DUBBI LASCIATI APERTI DALLA MOSTRA ITINERANTE “IL VOLTO DELLA MADONNA”

Operando per “affinità” alcuni critici – tra cui Lucia Loiacono e, recentemente, Paola Coniglio – hanno ritenuto di dover attribuire la nostra “Madonna della Valle” allo scalpello di Giovambattista Mazzolo, che dalla natia Carrara, nei primi anni del 1500, si è trasferito a Messina (ed a Palermo) per continuare in Sicilia il suo apprendistato nella bottega di Antonello Gagini. L’attribuzione è giusta? Fino a quando, sulla base di valida documentazione non sarà dimostrato il contrario oppure un altro critico proverà che essa è azzardata, dobbiamo necessariamente accettarla. La statua è veramente del Mazzolo? L’interrogativo è d’obbligo. Da quanto ho letto e studiato ho acquisito la certezza che è stata realizzata nella bottega del Gagini nella quale, come già riferito, tra gli altri apprendisti e lavoranti c’era anche il giovane Mazzolo. E poiché l’impostazione stilistica della statua è gaginesca, è legittimo ritenere che il Mazzolo se ha lavorato su di essa, lo abbia fatto solo sotto l’occhio vigile del “Maestro”.

DUE DUBBI SULLA MOSTRA “IL VOLTO DELLA MADRE”… E DUE DOMANDE A UMBERTO DI STILO

Caro professore Umberto, proprio stasera, nella Chiesa della vicina Feroleto, ho avuto modo di vedere la mostra fotografica organizzata dall’Ufficio per i beni culturali della nostra Diocesi, dal titolo “Il Volto della Madre”. Non entro nel merito del “percorso” della Mostra: non avendo partecipato ai momenti di inaugurazione e presentazione, mi mancano (nonostante le belle immagini della presenza della Madonna nella nostra Diocesi) gli elementi di “giudizio” per capire come gli autori hanno voluto legare in un “unicum”, e rapportare ad unità, i vari volti con i quali la Madonna è presente nei paesi della nostra Diocesi.

“CERCATORI DI TE”… PREGHIERE DI DON MIMMO CARUSO

In tempi difficili come i nostri, le preghiere che don Mimmo Caruso (Cancelliere della Curia della Diocesi Oppido-Palmi e Parroco di Varapodio) ha affidato al suo bel libro “Cercatori di Te”, ci aiutano, per dirla con le parole di Paolo VI, a fare “un salto nella speranza”, senza soffermarsi in sottili e amene divagazioni: va subito al concreto, ai temi essenziali della nostra fede e della nostra vita. Il libro è preceduto da una prefazione di mons. Francesco Milito, vescovo della nostra diocesi, che prendendo spunto dalla sintonia spirituale che c’è con le preghiere di Don Caruso, rivolge “l’invito a saper trarre ispirazione e scrivere le proprie preghiere, come riflessioni e spazi di luce dell’anima”.

IL TEMPO ED IL SUO SIGNIFICATO NELLA POESIA DI VINCENZA ARMINO

Scrivere di un poeta, anche se non si conosce personalmente, significa assumere il suo sguardo sulle cose, sulla realtà, sulla vita: io non conosco la professoressa Vincenza Armino (se non come la moglie dell’amico prof. Michele Zito), ma mi è bastato leggere le poesie dei suoi tre volumi (“Pentagramma”, “A piedi nudi, nell’anima” e “Percezioni-Ricordi”) per capire come la dirompente potenza dei suoi versi risiede nella capacità di modificare lo sguardo del lettore… nel riuscire a far sentire e gustare ogni verso nella sua assoluta unicità, componendo le parole, in modo diverso dal nostro abitudinario modo di scrivere, mettendo maggiormente a fuoco il “segreto della vita”, della sua vita in particolare, proprio con delle tematiche che toccano e riflettono profondamente l’animo dell’autrice… la sua coscienza che si fa “parola” di una tensione legata all’espressione della sua vita e nella poesia crea un “qualcosa”, in forma di parole, da consegnare all’Infinito, anzi stavolta è lecito chiamarlo “un silenzio consegnato all’Infinito”

GIOVANNI CONIA: ORAZIONE FUNEBRE PER L’ANNIVERSARIO DELLA MORTE DELL’ARCIPRETE ANDREA MUMOLI DI LIMBADI

Ma, a dire il vero, non pensavo mai che, inaspettatamente, venisse fuori uno scritto totalmente sconosciuto anche ai più approfonditi studiosi del poeta galatrese: infatti, fino ad oggi, dell’abate Giovanni Conìa sono state pubblicate solo le poesie.

Per questo, mi considero fortunato di aver avuto la fortuna di far conoscere, grazie alla gentilezza della Signora Tina Mumoli-Martorana di Limbadi, l’elogio funebre che l’abate Conia, il 28 giugno 1817, quando era arciprete di Zungri, compose per l’anniversario della morte dell’Arciprete di Limbadi Don Andrea Mumoli. E’ questo un documento di grande importanza, perché contribuisce a far conoscere, ancora di più e meglio, la vera dimensione culturale, oltre che oratoria, di Giovanni Conia.

SULL’ABATE GIOVANNI CONIA

Giovanni Conia nacque a Galatro nel 1752, da Francesco e da Rosa Siciliano, per come si ricava dall’atto di morte, anche se il canonico Giuseppe Pignataro ha scritto che “non è possibile indicare lo anno di nascita di lui perchè nel verbale di morte accertata, è segnato con una cifra globalmente espresso”. Quanto al luogo di nascita è sempre il canonico Pignataro che scrive “nella domanda di ammissione al concorso di Zungri, egli stesso si dice di Galatro”.